La questione è parte di una battaglia politica che si sta portando avanti da anni e che ha trovato qui, sulla vita di un bambino e sugli affetti di una famiglia, il modo di fare leva sulla passione delle persone.
Da settimane ormai internet è pieno di notizie, opinioni, tweet e commenti riguardanti la triste vicenda di Charlie Gard, il bambino inglese affetto da una malattia incurabile al quale verranno — probabilmente — staccate nei prossimi giorni le macchine che lo tengono in vita. L’aspetto cronachistico di questa storia è noto: vorrei allora provare fare qualche osservazione su come l’opinione pubblica e la politica abbiano usato la vita di Charlie e quella dei suoi genitori, facendone il campo per combattere le proprie sfide, contro l’Europa e contro la scienza.
L’accanimento terapeutico da molti anni sta generando battaglie di medici e bioeticisti, il cui principale argomento per contrastarlo è questo: quando non ci sono cure in grado di fornire una ragionevole speranza di guarigione, la più grande forma di rispetto verso la persona è quella di fornire un contenimento ai sintomi del paziente, permettendogli una morte il più possibile dignitosa e, soprattutto, priva di dolore.
Ogni conquista frutto di queste battaglie, che tentano di dare delle risposte umane quando l’uomo si trova ai confini estremi dell’umano, sembra però essere stata dimenticata, svanita nel nulla. Basta farsi un giro su internet o, ancor più grave, su molte testate cartacee italiane, e la realtà argomentativa più diffusa sembra essere soltanto una:
Stanno uccidendo un bambino. Il tribunale inglese, assieme ai potenti d’Europa, ha già firmato la condanna a morte.
Questa storia è di certo capace di metterci a nudo e di mettere in crisi le nostre capacità razionali, mossi da ovvia compassione per la sofferenza e per un bambino. Ma usare la vicenda per assecondare le proprie ideologie è un fatto ben più grave.
Molti politici italiani, gli stessi che non sono stati capaci di concludere una legge sul testamento di fine vita, si sono sentiti in dovere di muoversi come carri armati su delicatissime questioni di bioetica normativa, gettando benzina sul fuoco sull’odio contemporaneo verso la scienza e l’Europa.
Matteo Salvini sostiene che la vita di un bambino sia sotto la totale responsabilità e giurisdizione di nessun’altra figura se non quella dei genitori. Questo è lo stesso argomento portato avanti anche dalle frange più radicali degli anti-vaccinisti, per i quali qualsiasi intromissione da parte di un’autorità statale è vista come una limitazione della libertà individuale. E accade la stessa cosa per i testimoni di Geova o altre religioni che rifiutano le trasfusioni di sangue, salvo che in questi casi la maggior parte dell’opinione pubblica è improvvisamente d’accordo nel sottrarre ai genitori i figli per permettere di curarli.
Non è da meno, l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi:
L’intento di Renzi è probabilmente quello di allinearsi con la maggioranza degli italiani, sbigottiti, increduli e – sinceramente – sofferenti di fronte a questa vicenda. Tralasciamo pure l’imbarazzante dicitura “cucciolo d’uomo,” e concentriamoci sulle domande. Perché un ex-presidente del consiglio, un politico che crede nell’Europa e che da anni vive a contatto con le più alte istituzioni italiane e mondiali, ha giocato in quel modo la carta del pietismo e dell’incredulità come strategia social?
La prima domanda che pone nel post non merita una risposta: la sentenza è pubblica, la risposta seria e razionale è tutta lì.
La seconda è straziante, “perché non consentire alla scienza un ultimo tentativo?”. Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con il metodo di ricerca scientifica contemporaneo e conosca come viene impostato — seguendo cioé procedure specifiche, verifiche e protocolli — storcerà il naso di fronte all’insensatezza della questione: già è stata dimostrata l’impossibilità di cura per Charlie, non esistono in questo ambito fantomatici “tentativi”.
L’ultima domanda, che chiama in causa le “autorità europee”, ci lega direttamente alle frasi di Giorgia Meloni —
Hanno vinto i giudici, i burocrati, gli ideologi dell’omicidio di Stato, e quelli che pensano che sia un costo tenere in vita un piccolo essere umano. Hanno perso i genitori del piccolo…
— che ha certamente bisogno di assecondare gran parte dell’elettorato facente parte dell’estremismo cristiano, e di Beppe Grillo, che fa sostanzialmente se stesso, riferendosi ad un’Europa senz’anima e a una fantomatica cura di cui solo lui è in grado di mostrare l’esclusiva.
Quello che si intuisce da questi interventi è che il nemico principale di Charlie è l’Europa, le non meglio precisate “autorità europee,” dipinte come un giudice freddo e implacabile che abbatte la sua sentenza sulla povera vita di un piccolo uomo e distrugge l’affetto di una famiglia. In tutta questa faccenda, sia chiaro, i genitori hanno certamente il diritto di agire mossi da passione e disperazione, combattere contro decisioni struggenti per la vita del loro figlio e continuare a sperare in qualcosa. La Corte Suprema Britannica, però, e la Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo hanno la necessità e il dovere epistemologico e deontologico di agire con asetticità e distacco, prerogative di ogni organo di giudizio, il motivo lo spiego più avanti ed ha a che fare con uno dei fondamenti del diritto occidentale.
Il motivo per cui molti politici italiani hanno investito questa vicenda di un ennesimo scontro con l’autorità europea diviene quindi lampante: la questione è parte di una battaglia politica che si sta portando avanti da anni e che ha trovato qui, sulla vita di un bambino e sugli affetti di una famiglia, il modo di fare leva sulla passione delle persone: questa vicenda viene dopo molte altre simili, che partono dal fantomatico “è l’Europa che ce lo chiede” fino ad arrivare alle accuse – seppure fondate – di abbandono dell’Italia sulla vicenda dei migranti.
If we can help little #CharlieGard, as per our friends in the U.K. and the Pope, we would be delighted to do so.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) July 3, 2017
L’antieuropeismo italiano, però, non basta a giustificare quest’avversità verso la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e questo tentativo di difesa di una madre dalla falce del “potere”. Vaccini, fantomatiche cure per il cancro e l’odio complottista verso le case farmaceutiche ci hanno portato ad una radicalizzazione di un sospetto più profondo di quello verso l’Europa: quello verso la scienza.
L’assunto di fondo che ha scaricato la sua potenza contro la decisione di non provare a curare Charlie può allora essere ridefinito in questa formula:
“Perché affidare le cure del bambino alla scienza? È la sua mamma che deve decidere!”
Su tutta questa faccenda è necessario leggere l’articolo dell’amico e ricercatore di bioetica Giovanni Spitale, che ci porta ad analizzare le due questioni in modo distinto, partendo dalla seconda: è davvero una madre che deve decidere la sorte del proprio figlio?
Negli ultimi tempi si è lentamente insinuata l’idea, nell’opinione pubblica italiana, che la posizione dei genitori rispecchi l’interesse del figlio, visto in questo caso come un “diritto naturale” di chi lo ha messo al mondo. Quest’idea è molto pericolosa, perché porta con sé molto rapidamente la conseguenza giuridica che il genitore possa, per esempio, picchiare o agire sul figlio non come una persona a sé stante ma come una proprietà: so io cosa è meglio per mio figlio è una delle frasi più comuni sottintese a questa vicenda e a tutta la narrazione anti-vaccini.
Sottintendere che un privato cittadino possa sempre e in piena facoltà decidere per un altro privato cittadino è un’alternativa allo stato di diritto su cui si fonda la società occidentale. Se crediamo a valori ultimi come il diritto alla libertà, alla vita e alla salute, è necessario che ci sia un organo pubblico il cui compito è tutelarli.
La prima questione, invece, della formula d’indignazione di tutta Europa di fronte alla vicenda di Charlie è l’argomento fondamentale su cui basa tutta la faccenda, e sulla risposta alla domanda la posta in gioco è molto ampia:
“Perché è permesso alla scienza di sostituire Dio? Perché la scienza può permettersi di fare quello che vuole con la vita delle persone?”
Da quando l’umanità si è scoperta capace di guardare il mondo in modo analitico, di sezionare problemi complessi e reali e usare la propria intelligenza per comprendere il mondo, non è stata più capace di smettere di farlo. Affrontare la realtà che ci sta attorno in questo modo è uno dei tratti più specifici della civiltà occidentale:
“Le scienze biomediche ci stanno fornendo sempre più strumenti che permettono di intervenire sulla vita, da sistemi sempre più efficaci per la manipolazione genetica a promettenti linee di ricerca per la rigenerazione di organi o tessuti danneggiati. Si tratta di possibilità a volte ipotetiche, a volte reali,” scrive Spitale, e quando sono reali non possiamo fingere che non esistano.
Decidere quando, come e con quale intensità queste scoperte vadano utilizzate è compito della bioetica, frutto di studi scientifici, pensiero filosofico, storico e letterario assieme. È il problema della bioetica. E non consiste nel “giocare a fare Dio”, scegliendo chi debba vivere e chi no, ma nell’affrontare caso per caso eventi al limite dell’umano attraverso tutto il sapere che nei secoli l’umanità è stata capace di creare, al di fuori dei dogmi e delle ideologie.
Volenti o nolenti, c’è un unico modo per evitare questo problema: smettere di usare la scienza come metodo di indagine del mondo. Una decisione come questa, assieme all’invocata sospensione dello stato di diritto per dare ad un genitore pieni poteri sulla vita di un figlio, sarebbe come decidere di porre fine alla civiltà occidentale per come la conosciamo.
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