Pietro Fuccio, direttore di DNA Concerti, è una delle menti dietro al Siren Festival, quello che a detta di molti è tra i migliori festival italiani e uno dei pochi in grado di rapportarsi con i festival europei.
Dal 2014 DNA Concerti porta a Vasto (Chieti) artisti internazionali in una cornice mozzafiato.
Nato dal sogno di Luis Avrami, il Siren è oggi una realtà solida che sfugge alle regole più o meno scritte dei festival nostrani.
Ciao Pietro, spiegaci un po’ cosa succede dal momento in cui si spengono le luci sul Festival a quello in cui si annunciano i primi artisti dell’anno successivo. Come si lavora per tutto un anno ad un evento come il Siren?
Dici bene, il lavoro dura più o meno tutto l’anno. Passi agosto, in cui ci prendiamo una piccola pausa, già da settembre si incomincia a lavorare alla nuova stagione. Molti artisti iniziamo a sondarli già in questo periodo. Poi spesso, soprattutto ultimamente, le risposte si fanno attendere, ma il lavoro prosegue quasi senza sosta per tutto il periodo.
Dalla nostra abbiamo l’esperienza, facendo questo di mestiere, nel trattare e gestire gli artisti. Il periodo più caldo di solito è verso la fine dell’anno ma ancora adesso stiamo ultimando alcune cose e chiudendo gli ultimi nomi.
Una delle cose più complicate per un festival come il vostro credo sia la convivenza con la cittadinanza. Chi è stato al Siren nota come questo giochi a vostro favore. Come ci siete riusciti?
Guarda, quando per la prima volta mi hanno parlato di questo progetto, lo ammetto, non conoscevo assolutamente Vasto. Il grosso del lavoro è stato fatto da Luis Avrami che per quasi 20 anni ha preparato il campo, parlando con le persone e le istituzioni locali. Non è facile anche perché noi veniamo da Roma, quindi siamo esterni. La convivenza è un vero miracolo ed è parte del successo del festival. Posso dirti però che la prima volta che ho visto la città, con Luis, mentre mi parlava io immaginavo già cosa sarebbe diventato poi il Siren. Chiamala magia o se vuoi credere a un qualcosa di più romantico, è come se la città mi si fosse mostrata per quello che sarebbe stata in grado di offrire.
Ho letto in una tua intervista del rapporto tra Italia e Estero nella gestione dei Festival e della critica verso la scomposizione in tante piccole realtà. Non pensi però che questo possa essere un vantaggio per il nostro Paese?
Hai perfettamente ragione! Mi spiego meglio. Il problema secondo me sta nel frazionamento degli artisti nei tanti diversi festival. Sicuramente noi in Italia siamo più bravi nel curare le specificità piuttosto che uno stile a “grande catena di produzione.” Manca però più che un unico grande festival italiano (in stile Primavera Sound) una certa esperienza e predisposizione nella gestione, anche di diversi festival, con l’attitudine delle realtà medie o medio grandi.
Come si è evoluto il Siren in questi anni e cosa ci si può aspettare di più per i prossimi anni, a partire da questa edizione?
Non vorrei essere frainteso se dico che quello che stiamo provando a fare con il Siren è già di per sé un progetto molto ambizioso. Curare più aspetti, dalle letture, al cibo, ai diversi palchi in grado di offrire qualcosa di più e di diverso che un semplice insieme di concerti. Migliorare questa esperienza è certamente possibile e ci proviamo ogni anno. Stando più attenti nella gestione di tante piccole cose, a partire dall’organizzazione fino ad arrivare ai rapporti con la città e le attività locali. Nelle prossime edizioni ci piacerebbe (non è detto non avvenga già da questa) essere più presenti anche sulle spiagge di Vasto, con più attività anche durante il giorno.
Chiudo con una domanda sull’aspetto artistico. Quest’anno, forse più che mai (anche se l’attenzione è sempre stata molto alta), gran parte della line-up è costituita da artisti “da scoprire” meno blasonati ma di ottima qualità e soprattutto in grado di differenziare il Siren da un certo appiattimento che si nota ormai nei cartelloni dei festival. Amate le sfide? O è solo un modo per definire la vostra identità?
Io onestamente non trovo tutto questo squilibrio nel cartellone, anzi, quest’anno più degli altri trovo maggiore uniformità. Ovviamente i nomi di richiamo servono e ci sono serviti molto nelle prime edizioni. Io però non approvo i festival in cui vai a sentire un nome di punta e basta.
Venire al Siren vuol dire prendersi un week-end di pausa, farsi tanti chilometri, godersi un’esperienza completa. Se vieni fino a Vasto per sentire il concerto di un artista solo forse qualcosa non quadra in quello che noi cerchiamo di offrire al nostro pubblico. Vogliamo evitare in tutti modi questo approccio, cercando di avvicinarci il più possibile a un’idea di festival internazionale dove ci sono sì i grandi nomi ma dove la differenza tra i primi e gli ultimi nel cartellone non è così marcata. Da anni cerchiamo di andare verso quella direzione e ci accorgiamo che il pubblico ci segue. Questo è quello che si aspetta dal Siren e noi ci riteniamo soddisfatti delle nostre scelte.
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