M. K. è uno studente siriano.
Per ragioni di sicurezza, ci ha chiesto di rimanere anonimo.
I prigionieri che scioperano fanno parte dei 6500 carcerati palestinesi “amministrativi.”
Dall’ascesa dei poteri populisti nei paesi occidentali alla questione nucleare in Corea del Nord, passando per un Medioriente in fiamme… il mondo è costantemente impegnato a informarsi sulle ultime novità su questi fronti. Ma mentre il mondo monitora e analizza quelli che considera gli eventi più rilevanti, circa 1500 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane continuano uno sciopero della fame iniziato due settimane fa per protestare contro le condizioni di detenzione disumane e il fallimento dell’occupazione nel rispondere alle loro richieste.
I prigionieri che scioperano fanno parte dei 6500 prigionieri da parte delle autorità israeliane, tra cui anche 57 donne e 300 bambini secondo stime ufficiali palestinesi. Il prigioniero palestinese più anziano tra loro è Marina Al-Barghouti — considerato da alcuni come il “Nelson Mandela della Palestina” — che deve scontare cinque ergastoli dal 2002.
Scioperi della fame collettivi come questi sono pericolosi perché, a differenza di uno sciopero individuale, non prevede il consumo di integratori, latte o glucosio, ma solo acqua e sale per impedire l’atrofizzazione dell’intestino. Lo scopo non è farsi del male, ovviamente, la scelta dello sciopero della fame non è facile, ma difficile e dolorosa: i prigionieri non hanno altra scelta per esprimere il proprio diritto al rifiuto e difendere la propria dignità, di fronte al silenzio della comunità internazionale e l’incapacità delle organizzazioni che dovrebbero tutelare i diritti umani a costringere Israele a rispettare e implementare i trattati internazionali riguardanti il trattamento dei prigionieri.
Le richieste dei prigionieri sono i diritti garantiti dalle leggi internazionali, a partire dal porre una fine alle politiche di detenzione amministrativa nei Territori palestinesi occupati. Una detenzione amministrativa, secondo Amnesty International, è basata su ordini da parte dello stato o dell’esercito, senza un processo o una corte di giustizia, per ragioni correlate alla sicurezza nazionale. Le persone sotto detenzione amministrativa spesso passano mesi o anni in cella, senza ricevere alcuna informazione riguardo le proprie accuse. Circa 580 palestinesi sono tenuti da Israele sotto detenzione amministrativa. Dato che gli ordini amministrativi possono essere riemessi un numero illimitato di volte, i detenuti amministrativi non possono sapere quando verranno rilasciati. Anche dopo il rilascio, gli ex detenuti amministrativi continuano a vivere nell’incertezza, sapendo che potrebbero venire arrestati di nuovo in qualsiasi momento.
Le altre richieste sono correlate a interrompere la pratica dell’isolamento e la negligenza medica, migliorare le modalità di visita da parte dei parenti, fornire libri, vestiti e telefono pubblico per le comunicazioni, spezzare l’isolamento imposto, e infine consentire ai prigionieri di iscriversi alle scuole superiori e agli esami delle università pubbliche israeliane.
Intanto, le amministrazioni delle prigioni israeliane stanno provando a spezzare lo sciopero seguendo alcune procedure arbitrarie, come forzare i prigionieri a bere acqua calda anziché fredda e privarli dei loro vestiti, secondo i prigionieri palestinesi.