Tredici banalizza a tal punto la propria premessa da ridursi a un teen drama per ragazzini.
Se anche voi avete passato 13 ore della vostra vita a guardare 13 episodi di Tredici allora vi farà piacere sapere che ci sono molte cose che avreste potuto fare in quelle 13 ore: seguire corsi online di yoga, imparare a usare Photoshop, fare il corso online di fotografia di Harvard — che in realtà dura solo 12 ore, ne avreste avuta persino una libera per tipo uscire di casa.
Ne hanno già scritto tutti, è vero, quindi non c’è nessun motivo per cui tu debba leggere questo articolo sull’ultima discutissima serie di Netflix — a meno che tu non sia uno dei miei amici con cui ho furiosamente discusso di questa serie nell’ultima settimana davanti a innumerevoli birrette e vuoi sapere se alla fine ti ho dato ragione.
No, la mia opinione è la stessa dalla mattina in cui ho chiuso il pc dopo una notte di violento binge watching: TH1RTEEN R3ASONS WHY ha perso l’occasione di trattare un argomento importante e di far parlare di bullismo.
La storia inizia con il suicidio di Hannah Baker e si sviluppa in tredici puntate intense, strutturate con lunghi flashback sulla vita della ragazza. Ogni puntata è raccontata dalla voce fuori campo di Hannah: prima di morire ha lasciato 13 cassette in cui spiega chi sono le persone che l’hanno spinta al suicidio — ogni puntata è dedicata a un “colpevole” diverso.
Sappiamo da subito che anche il protagonista Clay Jensen è presente nelle cassette, e la sua faccia da angioletto ci tiene attaccati allo schermo a chiederci “Cosa potrà mai aver fatto?”
Nel calderone della trama c’è di tutto: suicidio, violenza sessuale, bullismo nelle sue varie declinazioni quali public shaming, revenge porn e altri.
Negli Stati Uniti il bullismo è un tema molto delicato per la diffusione del fenomeno e spesso ha portato giovani vittime al suicidio. In particolare nel periodo scolastico, è uno dei maggiori problemi di salute pubblica in Nord America.
L’ultima statistica sul tema riporta che 1 ragazzo su 3 negli Stati Uniti è stato vittima di bullismo durante le scuole superiori.
Annesso al bullismo per quanto riguarda questa delicata fascia d’età c’è il suicidio: è la terza causa di morte tra i giovani e si contano circa 4400 morti all’anno, secondo il Center for Disease Control and Prevention.
Tra le vittime di bullismo che hanno deciso di togliersi la vita, Dominique Rain Camacho è l’ultima della lista. Si è impiccata l’8 febbraio 2017 dopo essere stata maltrattata perché transgender dai suoi compagni e dalla comunità cristiana in cui viveva che non le voleva permettere il cambio di sesso.
Analizzando questi casi in cui giovani vittime di bullismo si sono tolte la vita, ci si rende conto che tutte, o quasi, si sono trovate ad affrontare problemi più grandi di loro: l’elenco si compone, infatti, di ragazzi transgender, omosessuali o vittime di cyberbullismo.
Lo studio del Center for Disease Control and Prevention riporta inoltre che la percentuale di studenti gay, lesbiche e bisessuali che non hanno frequentato almeno un giorno di scuola nei 30 giorni precedenti l’indagine a causa di preoccupazioni di sicurezza varia dall’11% al 30% per gay e lesbiche e dal 12% al 25% per gli studenti bisessuali; il 61,1% degli studenti LGBT delle scuole medie o superiori è più probabile che si senta in pericolo rispetto ai compagni non-LGBT.
Ma questa situazione non viene analizzata nelle 13 puntate. Tutto è banalizzato al punto da far sembrare Tredici un teen drama per ragazzini: i personaggi sono estremamente tipizzati – il bullo, la cheerleader, il secchione –, la trama semplice, i temi mai troppo sviscerati; eppure quando si tratta di inscenare i due stupri e il suicidio, le scene sono estremamente crude e stridono con tutto ciò che è stato rappresentato prima.
Secondo studi condotti dall’Università di Yale il bullismo non porta direttamente al suicidio, ma le vittime di bullismo hanno un’alta probabilità di prenderlo in considerazione. Tuttavia, nessun caso di bullismo è la singola causa di un suicidio, ma partecipa ad una serie di concause che influiscono su atteggiamenti depressivi, autolesionisti e su problemi alimentari, relazionali.
Tra i campanelli d’allarme che devono destare l’attenzione di amici e genitori di chi è stato vittima di bullismo troviamo
- depressione che porta all’isolamento, alla perdita di interesse per le attività preferite, o problemi a dormire o mangiare;
- Parlare o mostrare un interesse per la morte;
- Impegnarsi in attività pericolose o nocive, compresi comportamenti sconsiderati, abuso di sostanze o lesioni personali;
- Dare via gli oggetti preferiti e dire addio alle persone;
- Fare commenti che le cose sarebbero meglio senza di loro.
Tutti questi aspetti non vengono rappresentati nel personaggio di Hannah. La protagonista è una ragazza circondata da amici e con una situazione familiare serena: è il soggetto qualunque di una qualunque serie americana. Lo spettatore sente, infatti, una forte spinta nell’identificarsi in lei perché nel suo comportamento non c’è nulla di sbagliato e, se la serie non iniziasse informandoci che la protagonista è morta, nulla ci farebbe pensare che sia una potenziale suicida.
Ma il rischio di essere riduttivi davanti a un tema del genere è molto alto. Nelle conversazioni con gli amici il topic è:
Tutti abbiamo passato quello che ha passato lei, l’unica differenza è che lei si lagna dall’inizio alla fine.
No, l’unica differenza è che lei ha subito violenze verbali e sessuali e tu no.
E non si esce da questo morale circolo vizioso. C’è chi accusa e chi difende.
Ma il problema non sussiste perché il tema del bullismo non viene analizzato, resta sullo sfondo nel momento in cui nei sentimenti espressi dalla protagonista prevale la vendetta sul dolore. Hannah incolpa a gran voce i suoi compagni, ben conscia di chi le ha causato cosa, ma tutto questo stride con il tragico epilogo. Perché non riesce a incanalare la stessa forza con cui punta il dito, nel rialzarsi? Perché viene posto come unico esito possibile la vendetta peggiore?
Il sentimento di incomprensione che sperimenta Hannah e che abbiamo percepito tutti in età adolescenziale quando sembra tutto nero, la spinge a pensare che forse i suoi compagni la ascolterebbero se fosse troppo tardi, quindi si uccide, per vendicarsi dei torti subiti. Ma il personaggio delineato fino a quel momento non è un personaggio debole e mentalmente fragile; anzi, la stessa forza che mette nel vendicarsi la potrebbe incanalare nel reagire.
La colpa più grande della serie, infatti, è che non pone alternative davanti al sentimento di incomprensione adolescenziale, se non togliersi la vita. Oltre a essere un messaggio molto diseducativo è anche altamente rischioso. Non ci troviamo di certo davanti a un nuovo effetto Werther, ma il rischio è alto. Qualunque adolescente che si trovi nella stessa situazione di Hannah, che si senta incompreso, identificandosi con la protagonista, potrebbe essere spinto a emularla.
Quello che non traspare dalla serie è che lei fa una scelta non obbligata e che il dialogo è una soluzione reale ai problemi adolescenziali — dialogo che però lei non cerca con i genitori o con Clay.
Insomma, tutto ciò che era importante analizzare è stato banalizzato e ciò che era superfluo, amplificato. Infatti, meme che hanno iniziato a girare puntano tutti a ironizzare sull’esagerazione della reazione di Hannah nell’incolpare i suoi compagni di azioni, sì cattive, ma che non possono essere direttamente legate alla cruda scelta finale.
Le scuole hanno iniziato a proibirne la visione ai minori non accompagnati. In Canada i consigli scolastici stanno vietando addirittura le discussioni riguardo la serie 13 Reasons Why, perché troppo violenta e negativa, come per esempio in una scuola di Edmonton, la St. Vincent Elementary School, che ha comunicato ai genitori degli studenti che è vietato anche nominare lo show dentro all’edificio scolastico.
“La discussione che si sta svolgendo a scuola è preoccupante. La serie non è adatta ai minori e parla del suicidio di una ragazza liceale. Lo show include violenza, sangue, blasfemia, alcol, droghe, fumo, oltre a scene molto intense. Lo scopo di questa email è avvertirvi della situazione. Vi preghiamo di comunicare ai vostri figli che, a scuola, è vietato parlare di Tredici, per via della sua natura inquietante.” — si legge sulla circolare.
La produzione di Tredici — nella persona di Selena Gomez, che doveva inizialmente interpretare Hannah Baker e che probabilmente avrà un ruolo nella seconda stagione — si è difesa dicendo: “Molte persone accusano lo spettacolo di aver reso glamour il suicidio, ma io e tutti coloro che hanno realizzato lo spettacolo abbiamo fatto l’esatto contrario. Abbiamo ritratto il suicidio come una scelta brutta e soprattutto dannosa.”
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