Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International USA pubblicato lo scorso 25 aprile, Donald Trump, in meno di 100 giorni di mandato, avrebbe minacciato i diritti umani in almeno 100 modi diversi, sia all’interno degli Stati Uniti che nel resto del mondo.
35 sono le potenziali violazioni dei diritti umani solo nelle politiche di immigrazione del neopresidente americano, tra cui il divieto di reinsediamento negli Stati Uniti, la proposta della costruzione del muro di confine con il Messico, la demonizzazione dei rifugiati come criminali e sostenitori del terrorismo, la detenzione dei richiedenti asilo, e la crescente difficoltà nell’inoltrare la richiesta di asilo.
Particolarmente sfavorevole la sorte toccata agli iracheni: anche se il secondo ordine esecutivo ha eliminato l’Iraq dalla lista delle banned countries, le pratiche aperte dagli iracheni che hanno fatto richiesta per lo status di rifugiato saranno bloccate. Il Paese rientra infatti in quelli menzionati nella 120-day suspension of refugees, provvedimento che va a colpire, per paradosso, anche molti iracheni che hanno lavorato con l’esercito americano in Iraq.
Ricorderete poi la proposta di John Kelly, costretto a tornare sui suoi passi: il Segretario della Homeland Security intendeva separare le famiglie al confine, dividendo i figli dai genitori — i primi sarebbero stati mandati in centri di accoglienza, mentre ai secondi sarebbe toccato il centro di detenzione.
Diventa sempre più spinosa anche la questione del confine tra Messico e Stati Uniti, e ancora più pericoloso tentare il passaggio della frontiera: i richiedenti asilo sono stati allontanati, costretti ad aspettare un’altra opportunità per chiedere nuovamente che gli venga accordato l’accesso o a trovare un altro modo per attraversare il confine, ricorrendo spesso – vittime della disperazione – all’aiuto dei contrabbandieri. I cartelli e le bande fanno pressioni su coloro che sperano e attendono di entrare negli Stati Uniti, che spesso finiscono vittime di sequestri o di violenze sessuali: invece di dissuaderli dal fare un viaggio pericoloso, l’amministrazione Trump li mette in pericolo maggiore. Si è anche registrato un aumento drammatico delle tariffe dei contrabbandieri da quando Trump è stato eletto: John Kelly ha recentemente dichiarato che dal novembre 2016 il dazio richiesto in alcune aree lungo il confine sud-occidentale degli Stati Uniti è salito da 3.500 a 8.000 dollari, ovviamente non comprensivi della certezza di passare il confine indenni. L’ostinazione, da parte di Trump, nel non riconoscere la crisi dei rifugiati in America Centrale – ostinazione che passa direttamente attraverso le inasprite misure di controllo delle frontiere – sta mettendo più potere nelle mani dei gruppi criminali, oltre a esporre i più deboli e vulnerabili a sempre maggiori pericoli.
Lo scenario profilato dal report di Amnesty è chiaro: i provvedimenti di Trump riguardanti l’immigrazione, oltre alle previsioni di bilancio per l’anno fiscale 2017/2018, “mettono le basi per un aumento esponenziale della detenzione di migranti”, e potrebbero finire per intrappolare più di 80.000 persone innocenti.
“Questi primi 100 giorni mostrano quanto sia pericolosa l’agenda di Trump, ma rappresentano anche una tabella di marcia per come fermarla, e proteggere così i diritti umani negli Stati Uniti e in tutto il mondo,” ha dichiarato Margaret Huang, amministratore delegato di Amnesty International USA. “Quando ci siamo seduti per documentare i primi 100 giorni, non ci è voluto molto per identificare almeno 100 modi in cui questa amministrazione ha cercato di violare i diritti umani. Quello che è incredibile non è solo il modo in cui l’amministrazione Trump ha cercato di negare la libertà, la giustizia e l’uguaglianza, ma tutti i modi in cui la gente ha rifiutato di accettare che ciò accadesse, protestando contro quei provvedimenti, e ostacolandoli.”
E se una buona parte della lista è dedicata al tema dell’immigrazione, ampio spazio è lasciato anche ai rischi di abuso dei diritti umani perpetrato attraverso la politica estera di Trump: “Trump e la sua amministrazione ignorano costantemente gli abusi dei diritti umani al di fuori dei confini statunitensi (in alcuni casi, lodando i leader che li commettono), fatti che potrebbero incoraggiare quegli individui al potere che, in diverse parti del mondo, abusano dei diritti umani, come avviene in Turchia, Paese con cui Trump vanta un rapporto molto stretto, e dove difensori dei diritti umani e giornalisti devono far fronte a minacce quotidiane: l’attivista per la difesa dei diritti umani Tahir Elçi è stato assassinato; l’avvocato per i diritti umani Eren Keskin è stata condannata oltre 100 volte per il suo lavoro; 120 giornalisti sono attualmente in stato di fermo, in detenzione preventiva.”
Il report identifica inoltre minacce alla giustizia penale, alla comunità LGBTQ, alle minoranze etniche, alla libertà di espressione, arrivando a definire la presidenza Trump “”un gabinetto pieno di minacce per i diritti umani,” in riferimento ai suoi funzionari.
“Il presidente Trump sembra intenzionato ad alimentare i fuochi di conflitto al di fuori delle frontiere statunitensi, sbarrando le porte a coloro che fuggono dalla violenza”
— ha continuato Huang.
Ma l’intento apertamente dichiarato del documento di Amnesty è uno sopra tutti: evitare che le azioni politiche di Trump – atte a violare i diritti umani non solo entro i confini americani, ma in tutto il mondo – vengano normalizzate, come è avvenuto anche tramite le campagne mediatiche veicolate da alcune delle principali emittenti statunitensi, in molti casi utilizzate – come già accaduto in passato con altre amministrazioni – a mo’ di canali di propaganda. “Tuttavia questo report non è esaustivo, e le minacce ai diritti umani del governo Trump persistono, ma lo stesso vale per la ferma decisione e voglia di sconfiggerle ed eliminarle” conclude la relazione. “I primi 100 giorni di Trump dimostrano quanto sia pericoloso il suo programma per i diritti umani negli Stati Uniti e in tutto il mondo, ma è altrettanto chiaro che l’attivismo, l’organizzazione di iniziative dal basso e l’opposizione politica possono fare la differenza.”