In Italia le persone transgender e transessuali devono confrontarsi con una vita di diritti vacillanti. La parola ad Antonia Monopoli, responsabile dello sportello trans di Milano, e agli scout italiani che offrono solidarietà.
“La parte più difficile della transizione, a livello medico, è quella iniziale. Quando si inizia a contattare i professionisti per iniziare un percorso, prima di valutazione, poi per iniziare la terapia ormonale. Quella è una fase critica.”
Sono le parole di Antonia Monopoli, responsabile dello sportello trans di ALA Milano Onlus, attivo dal 2009 e punto di riferimento principale a Milano per chi vuole intraprendere un percorso di transizione, o semplicemente ha bisogno di ascolto e supporto. Ci siamo rivolti a lei per capire meglio la condizione delle persone trans in Italia.
“Quando si inizia la fase della terapia ormonale, lo sguardo cambia. La terapia ormonale non fa altro che amplificare la tua visione. Ti fa diventare anche vulnerabile. È una fase delicata, perché fondamentalmente si sta facendo un passaggio tramite la terapia ormonale. A livello psicologico se ne risente moltissimo, perché la terapia agisce sia sul corpo che sulla psiche. Diciamo che la tua visione può non essere come prima. Lo sguardo nei confronti di te stesso/a, ma anche nei confronti della società, cambia. Potresti anche vedere ciò che magari non esiste neanche. Un momento molto complesso e molto delicato, che ha bisogno davvero di avere persone accanto che ogni tanto ti mettono un po’ con i piedi per terra.”
Quando una persona si può definire transgender? Solitamente, spesso erroneamente, questa parola viene usata come sinonimo di transessuale. In realtà si riferisce a tutti coloro che non si sentono “maschio” o “femmina,” piuttosto sono in una fase di transizione che vede i due termini usati per identificare i sessi biologici come due punti ai vertici opposti nella scala di identificazione di genere. Poiché una persona transessuale è costretta a intraprendere un percorso di cambiamento in cui si cerca di far combaciare fisicamente e psicologicamente il genere a cui ci si sente di appartenere, l’aspetto fisico con cui si è nati e l’aspetto a cui si vuole arrivare, nella transizione è anche una persona transgender.
In Italia le persone transgender e transessuali sono trattate secondo il sesso indicato sulla carta di identità — in altre parole, sono gli organi riproduttivi maschili e femminili a identificarci come “uomo” o come “donna,” anche se l’aspetto esteriore rispecchia le caratteristiche del sesso opposto di appartenenza.
Un piccolo passo in avanti è stato fatto nel 2015: con una sentenza della Corte Costituzionale e della Cassazione, una persona può cambiare il nome e il genere senza rettificare chirurgicamente il sesso. Prima non si poteva cambiare neanche il nome. La regola vale sia per persone maggiorenni, sia per minorenni che hanno il consenso dei genitori.
Per le persone trans la vita di tutti i giorni diventa un fardello pesante da sopportare, insieme al lavoro fisico e psicologico a cui devono sottoporsi. Anche negli Stati Uniti, dove la scorsa amministrazione si è ampiamente spesa per i diritti LGBTQ+, i casi di discriminazione nell’ambito dello svago e del tempo libero sono ancora tantissimi — come il caso del ragazzo trans costretto a competere nelle gare di wrestling femminili riportato dai media in queste ore. In questo contesto è stata davvero fondamentale e inaspettata la decisione degli gli scout americani di ammettere ragazzi e ragazze transgender di non considerare il sesso di appartenenza indicato sul certificato di nascita per inserire il richiedente nei programmi maschili o femminili, ma il genere di appartenenza indicato sulla carta d’identità al momento dell’iscrizione.
L’universo degli scout, che non è vincolato nel seguire i comportamenti dello Stato nei confronti dei membri della comunità LGBTQ+, potrebbe permettere ai giovani ragazzi di vivere momenti di integrazione meno pesanti.
Dopo la svolta degli scout statunitensi, ci siamo chiesti come fosse la realtà degli scout italiani. Abbiamo chiesto ad Agesci e CNGEI, le due più grandi associazioni di scout italiane, come si comportano nei confronti delle persone transgender. Da Agesci — associazione cattolica — non abbiamo ricevuto risposta. Tuttavia, da un articolo su Il secolo XIX, sembra che la tendenza sia quella dell’inclusione, anche se i capi scout non possono essere dichiaratamente gay — figuriamoci transgender.
CNGEI, invece, è un’associazione laica e ci ha risposto condividendo la sua “Carta di Identità,” uno scritto in cui sono elencati tutti i loro principi e obiettivi. Il fronte su cui si muovono è quello dell’inclusione di tutti. I vari gruppi sono divisi solo per età e non per sesso, quindi non c’è a monte il problema di dover decidere se smistare i ragazzi in base al sesso e/o al genere. I componenti sono chiamati a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare le diversità, comprenderle e rispettarle. La preparazione che CNGEI propone – oltre alla ben nota vita nella natura – è quella della solidarietà verso la persona in quanto tale e verso i suoi bisogni.
Inoltre, è esplicitamente scritto che uno scout CNGEI è chiamato a rispettare i diritti e i doveri propri e degli altri, a diffondere i diritti fondamentali degli uomini e a “sviluppare una coscienza collettiva sul tema.” Insegnare ai bambini e ai ragazzi ad essere empatici e rispettosi verso gli altri servirà anche a formare adulti empatici e rispettosi.
Ma ci sono casi in cui si ha una transizione più avanzata: per esempio, persone che non sanno come uscire dalla prostituzione, o persone trans che lavorano ma subiscono mobbing.
“Lo sportello offre accoglienza, ascolto e accompagnamento verso i servizi del territorio. Vi si rivolgono, innanzitutto, le persone che vogliono iniziare un percorso di transizione,” ci ha spiegato Monopoli. “Sicuramente fanno una ricerca sul web e scoprono di tutto. Però poi per non incappare in situazioni difficili vengono qui, dove almeno hanno un punto di riferimento che li può guidare in questo percorso. Quindi, io cerco di dire alla persona un po’ come muoversi in questo cammino, almeno all’inizio — perché l’inizio è un po’ difficile. Mi piace paragonarli a dei bambini: i bambini sono curiosi, però hanno bisogno di una guida. Allora qualcuno li prende per mano e li guida. Io faccio questo: li prendo per mano fino a quando loro poi riescono a camminare per conto loro.
“Vengono qui, magari, anche trans che subiscono violenza domestica, per i quali devo attivare la rete sociale per trovare posti di accoglienza per vittime di violenza domestica. Sono capitati dei casi in cui venivano trans che volevano rinnovare l’asilo politico: persone che nel loro paese potevano essere ammazzate. Con alcuni di loro faccio la mediatrice culturale. Io svolgo sì, un servizio di accoglienza e di ascolto, ma anche di segreteria. Mi prendo in carico delle situazioni e cerco di attivare dei servizi.”
Il ruolo di una struttura di sostegno, familiare o di amici è fondamentale per il percorso di transizione, che resta comunque “sicuramente un percorso solitario. Solitario nel senso che la rielaborazione della propria identità è tuo. Però, la persona trans ha comunque bisogno di una rete familiare, amicale e di professionisti intorno a sé, perché si confronta, si interfaccia con ciò che la circonda. Quando si sente troppo sola e cade – perché la persona trans cade, a livello psicologico crolla – almeno ha un salvagente sotto, che si è precedentemente costruito.
Per quanto riguarda gli scout, beh se ce ne sono qui in Italia che accolgono le persone trans, potrebbero strutturarsi con una rete. Infatti, all’interno di questi contesti, una persona trans non deve sentirsi a disagio e discriminata. Deve sentirsi accolta. Quindi, per me, vanno fatte anche delle formazioni ad hoc per chi è a capo degli scout.”