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Foto Stefania Proietti, via Facebook

Il centrosinistra ha vinto in entrambe le elezioni regionali che si sono svolte negli scorsi giorni, in Emilia–Romagna e in Umbria. I prossimi governatori saranno rispettivamente Michele De Pascale e Stefania Proietti, che hanno vinto con il 56,77% e il 51,13%. Si sono fermati più indietro sia i due candidati di destra, Elena Ugolini e Donatella Tesei — quest’ultima governatrice uscente della sua regione — che i candidati indipendenti, come Federico Serra in Emilia Romagna e il segretario dell’autoproclamato Partito comunista Marco Rizzo in Umbria. Sono rilevanti anche i dati sull’astensionismo: in Emilia Romagna hanno votato il 46,42% degli aventi diritto, mentre in Umbria si è arrivati al 52,3%. È un netto calo rispetto al 67,72% e 64,69% della scorsa tornata, quando le elezioni vennero per motivi diversi balcanizzate dalla destra — ma bisogna anche notare che nel 2014 in Emilia–Romagna l’affluenza era stata addirittura notevolmente più bassa, al 37%.

Il vincitore complessivo di queste elezioni è soprattutto il Pd e in particolare la sua segretaria, Elly Schlein: il partito è arrivato oltre al 42,94% in Emilia Romagna e al 30,23% in Umbria, dove nel 2019 si era fermato al 22%. Inoltre è stata premiata la linea dell’unità della coalizione della segretaria, che nel bene e nel male si conferma come l’unica strada percorribile per il centrosinistra per sconfiggere la destra alle urne — il paragone con il caos e la sconfitta in Liguria è evidente. In questo scenario risalta ancora di più lo sprofondamento del M5S, che in Umbria si è fermato sotto il 5% in Emilia Romagna non è arrivato nemmeno al 4% pur essendo in coalizione, e del suo presidente Conte, che arriva sempre più debole alla costituente del proprio partito. In queste ore si stanno facendo diverse analisi, ma la più semplice resta quella probabilmente più costruttiva: un Partito democratico schierato e connotato su alcuni argomenti di base, come sanità pubblica, diritti civili, crescita dei salari e no all’autonomia, può essere un soggetto credibile per guidare una coalizione di centrosinistra anche a livello nazionale. Il rischio, anzi, è che alcuni degli altri partiti della coalizione, a cominciare proprio dal M5S, siano schiacciati da un Pd elettoralmente sempre più dominante all’interno della coalizione.

Nella coalizione di destra, invece, è caduto il silenzio: la vittoria del centrosinistra in Emilia–Romagna era scontata — anche se forse non ci si aspettava una sconfitta così dura — mentre invece in Umbria fino a tre giorni fa si parlava di un testa a testa che non c’è stato. L’analisi matematica del voto passa per forza dal tracollo della Lega. In Emilia–Romagna il Carroccio è passato dal 32% — quasi 690 mila voti — al 5,2%, con 78 mila voti: più di 8 elettori su 10 non hanno confermato il proprio voto al partito di Salvini. In Umbria, dove la Lega aveva la candidata di coalizione, le cose sono andate marginalmente meno peggio: nel 2019 si era arrivati al 36,95% — 154 mila voti — ieri si è chiuso al 7,7%, con meno di 25 mila voti. È ovvio che in larga parte si tratta di un travaso: chi alle scorse elezioni ha votato Lega, questa volta ha votato Fratelli d’Italia. Ma un problema di ritenzione del voto, e mobilitazione dell’elettorato, c’è stato: la coalizione di centrosinistra ha guadagnato 16 mila voti, mentre quella di destra ne ha persi 91 mila. Al netto della candidatura fragile di Tesei, che anche a Roma era cosa nota, è importante registrare il fallimento dell’operazione Stefano Bandecchi, il sindaco in odore di fascismo di Terni: lui dichiara che con lui candidato si sarebbe vinto, ma in realtà Proietti ha vinto anche nella provincia di Terni, e a livello regionale Alternativa popolare ha preso il 2,16% delle preferenze, meno di 7 mila voti — sotto Noi moderati, e, nell’altra coalizione, perfino sotto Umbria Futura, la megalista che raccoglieva le sigle neoliberali di centro.


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