L’accoglienza dei rifugiati ucraini è in stato di emergenza
L’arrivo di rifugiati dall’Ucraina rivela le debolezza del sistema di accoglienza italiano, distrutto dai decreti Sicurezza. Serve un progetto serio e di lungo periodo, che riporti in vita l’integrazione sul territorio
in copertina, foto CC BY 4.0 Oleksіj Samsonov / Amministrazione statale città di Kyiv
L’arrivo di rifugiati dall’Ucraina rivela le debolezza del sistema di accoglienza italiano, distrutto dai decreti Sicurezza. Serve un progetto serio e di lungo periodo, che riporti in vita l’integrazione sul territorio
Continuano ad arrivare, ogni giorno, migliaia di rifugiati. Secondo i dati del ministero dell’Interno sono già 83 mila le ucraine e gli ucraini arrivati in Italia dall’inizio del conflitto, la maggior parte di questi viene ospitata in casa di parenti, amici o conoscenti. L’Italia già prima della crisi aveva la seconda comunità ucraina più numerosa d’Europa, con 235 mila persone, dopo solo quella polacca.
Sulla progettualità il nostro sistema di accoglienza si è già dimostrato più che carente. “Come emerge dal nostro ultimo rapporto, il sistema era già gestito con una logica emergenziale anche in mancanza di una vera emergenza, non sorprende quindi che ora ci troviamo in affanno” dice Cristiano Maugeri, programme developer di ActionAid, ONG che segue da tempo l’accoglienza nel nostro paese, aggiornando continuamente la piattaforma centriditalia.it da cui è possibile monitorare la situazione nei diversi comuni, anche per quanto riguarda l’erogazione di fondi pubblici.
“A inizio febbraio, prima dell’invasione russa in Ucraina” continua Maugeri “avevamo stilato un rapporto che dimostrava come il 70% del nostro sistema di accoglienza si basava ancora su una struttura emergenziale. Quasi tutto era gestito dalle prefetture e affidato ai CAS (Centri di accoglienza straordinaria), grosse strutture spesso gestite da realtà con scopo di lucro. Questo significa che la maggior parte delle persone non è stata inserita in un sistema ordinario e coordinato dagli enti locali con la partecipazione delle realtà del territorio, volto al reale inserimento dei rifugiati nel tessuto sociale.”
Il Sai, il Sistema accoglienza integrazione, si basa sulla libera adesione dei comuni che in questo modo possono evitare di vedersi attribuire dalla prefettura un numero di arrivi che non tiene conto delle effettive capacità di integrazione nel territorio. Molti degli sforzi per far fronte all’emergenza ucraina pesano sugli enti locali anche se molte città medio-piccole, proprio perché non hanno una rete forte di associazioni, ONG o perché sono senza CAS, accolgono molti meno migranti sottraendosi quindi agli obblighi imposti dalla prefettura e scaricando su altre città gran parte della pressione. Proprio il sistema Sai–Sprar è stato quello più ridimensionato dai decreti Sicurezza del 2018.
Gli ultimi dati ufficiali sul sistema di accoglienza italiano risalgono a due anni fa: “Il Ministero dell’Interno,” prosegue Maugeri, “dovrebbe pubblicare un report sull’accoglienza ogni anno: le ultime informazioni che abbiamo sono quelle relative al 2020 e mostrano già una situazione di pesante sottofinanziamento del sistema.”
Rifugiati ucraini arrivano a Przemyśl, in Polonia. Foto CC BY 2.0 Mirek Pruchnicki
Secondo le informazioni raccolte da ActionAid, uno dei territori che ha visto maggiori tagli alle realtà dell’accoglienza è la provincia di Milano. Il capoluogo lombardo si trova a fronteggiare un flusso improvviso di rifugiati visto anche la numerosa comunità ucraina in città: “se pensiamo che a Milano ci sono 8.500 residenti di origine ucraina e oltre 22 mila in città metropolitana” fa sapere l’ufficio stampa dell’assessore al welfare e alla salute Lamberto Bartolè, “possiamo immaginare che, se ognuno di loro richiamasse parenti o amici venuti dall’Ucraina, avremo un flusso di circa 40mila persone in entrata.”
Milano si sta concentrando sui ricongiungimenti familiari e sui centri d’accoglienza straordinaria per far fronte all’emergenza. “Il coordinamento dell’accoglienza e di tutte le misure lo sta tenendo la prefettura,” afferma il comune. “Comunque, come ha detto il prefetto, molte delle persone che arrivano in città hanno contatti con parenti e amici che vivono già a Milano, per cui spesso si sistemano da loro e per chi non ha una soluzione, la prefettura mette a disposizione i CAS, mentre il comune può appoggiarsi sui centri di accoglienza di Casa Jannacci e in viale Puglie, oltre al dormitorio pubblico di Viale Ortles. Si tratta di prime accoglienze di emergenza perché l’obiettivo è puntare sull’accoglienza in famiglia e sugli appartamenti. Ci siamo appoggiati a realtà del Terzo settore come Refugees Welcome Italia, Caritas Ambrosiana, Emergency ed eQwa. Negli ultimi giorni, il comune ha aperto due punti di primo contatto gestiti dalla protezione civile comunale e dalle associazioni, accanto alla stazione Centrale e a Lampugnano (dove di solito arrivano i bus). Lì è possibile fare un primo tampone, ricevere le informazioni sugli adempimenti formali e fare richiesta di alloggio, se necessario.”
Fare rete con il terzo settore può essere un buon punto di partenza per un progressivo inserimento dei rifugiati perché si dovrà pensare anche a chi nel sistema CAS era già inserito prima di marzo 2022. “La protezione temporanea è una risposta importante,” precisa Maugeri, “questo apre però un dibattito più ampio: c’è da chiedersi se sia giusto che questo strumento si adotti solo con persone ucraine o che vi soggiornavano legalmente prima dell’invasione. Questa misura si poteva estendere a tutti coloro che sono arrivati dall’Ucraina e in merito andrebbe fatta una riflessione sul perché per migranti e rifugiati di altre nazionalità questa modifica non sia stata introdotta.”
Lo scoglio forse maggiore, soprattutto in Lombardia, è rappresentato dal poter avere accesso alla STP (Straniero temporaneamente presente), ovvero una tessera sanitaria provvisoria rilasciata dalle Agenzie sanitarie territoriali della regione. Le ATS però risultavano già ingolfate dalla pandemia, e perciò ora in Lombardia si è deciso di cambiare la modalità con cui si possono fissare le visite mediche: nelle prime settimane di pandemia (?) erano le agenzie a chiamare le famiglie ospitanti o gli stessi ospiti e questo ha contribuito ad allungare notevolmente i tempi, oltre che a creare situazioni scomode per i nuovi arrivati, visto che gli appuntamenti tenevano conto solo degli slot liberi negli ospedali della zona e non delle esigenze dei rifugiati. Questo ha portato ad appuntamenti fissati senza preavviso e in strutture lontane e difficili da raggiungere per chi non è autonomo negli spostamenti.
Ora c’è la possibilità di prenotare le visite, ma comunque quello sanitario resta un problema centrale. In Ucraina, solo il 34% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale e circa un terzo di questi è vaccinato con Sputnik, che in Italia non è riconosciuto. Dal primo aprile le restrizioni relative al green pass sono diminuite, però queste hanno contribuito a ritardare l’iscrizione alle scuole di italiano per stranieri.
Fortunatamente, le cose sono andate diversamente in molte parti d’Italia per i minori di sedici anni, che già dalla scorsa settimana hanno iniziato ad andare a scuola. Molti istituti hanno optato per un ingresso graduale, inizialmente per poche ore al giorno così da favorire un’integrazione dei nuovi arrivati nelle classi, mentre molti ragazzi appena arrivati stanno frequentando le lezioni in DAD, ancora fornita dalle scuole ucraine che non si sono fermate.
ll Governo italiano sta seguendo la direttiva del Consiglio Europeo sulla concessione di protezione temporanea agli sfollati, la quale permetterà a queste persone di avere un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di studio o lavoro. Tra circa 90 giorni si spera che le domande verranno inoltrate andando poi a sostituire i documenti rilasciati fino ad oggi, ovvero i permessi di ospitalità. Sarà una tappa importante per verificare come si sta muovendo il sistema: in quel momento l’accoglienza ordinaria dovrà essere più efficace.
Sul lungo periodo, affidarsi continuamente a soluzioni d’emergenza può portare all’emarginazione di richiedenti asilo o di protezione complementare, ma anche ad altre gravi problematiche, come ricorda Maugeri: “Ci sono già arrivate segnalazioni di chi chiede di ospitare queste persone per finalità totalmente diverse rispetto all’accoglienza o l’inserimento; in diversi vogliono farli lavorare da subito senza documenti o tutele.” ActionAid, che già in Campania, Puglia, Calabria e Basilicata cerca di sensibilizzare le donne ucraine sull’importanza dei diritti del lavoro, ha recentemente lanciato l’allarme sui rischi di sfruttamento sessuale che è possibile incontrare in questo periodo.