In piena emergenza abitativa continuano gli sfratti
In un momento critico per l’economia delle famiglie e per la salute pubblica, lo sblocco degli sfratti e la mancanza di un piano per l’edilizia popolare rappresenta un ulteriore elemento di instabilità sociale
In copertina, Sgombero in via De Stael a Dergano. 21 febbraio 2021, Milano. Foto: Marta Clinco
Dopo lo sblocco voluto dal governo, 100 mila persone sono a rischio sfratto, con la Caritas che chiede una moratoria. I 230 milioni di euro per il contributo all’affitto stanziati dal governo sono “una cifra irrisoria” a fronte di 600 mila famiglie che ne hanno fatto richiesta già nel 2020, commenta il segretario nazionale dell’Unione inquilini. In un momento critico per l’economia delle famiglie e per la salute pubblica, lo sblocco degli sfratti e la mancanza di un piano per l’edilizia popolare rappresenta un ulteriore elemento di instabilità sociale
Con l’inizio del nuovo anno, decine di migliaia di persone rischiano di trovarsi senza casa. Il 31 dicembre si è concluso il blocco degli sfratti: la misura era stata introdotta dal governo Conte II nel marzo del 2020 per tutelare gli inquilini dall’impatto economico della pandemia. Così come lo stop dei licenziamenti, aveva ottenuto diverse proroghe: l’ultima, inserita nel decreto Sostegni, prevedeva una ripresa graduale con tre diversi scaglioni temporali per lo sblocco delle esecuzioni; l’ultimo imponeva l’avvio degli sfratti dal primo gennaio 2022 per le morosità sorte tra il primo ottobre 2020 al 30 giugno 2021.
A partire da gennaio, secondo le stime dell’Unione Inquilini, ci sono 100 mila sfratti immediatamente attuabili con l’ausilio della forza pubblica. “Un numero che potrebbe rivelarsi anche più alto, visto che negli anni pre-Covid le richieste di esecuzione si aggiravano tra le 120 mila e le 150 mila l’anno,” fanno sapere dal sindacato. A queste si aggiungono tra le 50 mila e 100 mila esecuzioni immobiliari per insolvenza per mutui o debiti. Nella sola Roma si attendono 4 mila sfratti in via di realizzazione, secondo la Caritas, che ha lanciato un appello per una nuova moratoria.
Il rischio è quello di una “bomba sociale”, spiega l’Unione Inquilini: i comuni non hanno la capacità e le risorse per tutelare le persone che si ritroveranno da un giorno all’altro senza casa. Ciononostante, non ci sarà un’ulteriore proroga. Lo scorso novembre la Corte Costituzionale si è espressa sullo stop agli sfratti: ne ha riconosciuto la sua funzione sociale, ma solo come misura temporanea, motivata dall’emergenza pandemica. Gli sfratti comportano infatti molte criticità di salute pubblica. In un momento in cui l’andamento dei contagi era sotto il livello di guardia, la Consulta ha stabilito l’impossibilità di un nuovo prolungamento dopo il 31 dicembre “avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità.”
La sentenza, però, non nega al legislatore la possibilità di agire con altri metodi sull’emergenza abitativa in casi di necessità. Anzi, invita ad “adottare altre misure più idonee per realizzare un diverso bilanciamento, ragionevole e proporzionato,” se “l’evolversi dell’emergenza epidemiologica lo richieda.” Proprio nelle ultime settimane l’andamento dei contagi è tornato ad aumentare, con più di 100 mila casi giornalieri. Una situazione molto diversa rispetto a novembre, quando si era espressa la Corte Costituzionale.
Tuttavia, il governo non ha provveduto ad adottare gli interventi alternativi auspicati dalla Consulta. La legge di Bilancio 2022, fresca di approvazione, non ha predisposto misure significative per contrastare l’emergenza abitativa. Si limita a prevedere, per quest’anno, 230 milioni di euro per i contributi affitto — soldi già stanziati dalla scorsa manovra, che lasciano scoperti gli anni 2023 e 2024. “È una cifra irrisoria,” commenta il Segretario Nazionale di Unione Inquilini, Walter De Cesaris: “Solo nel 2020 le famiglie che hanno richiesto contributi affitto sono state oltre 600 mila: i soldi sono troppo pochi e possono al massimo rallentare lo sfratto, piuttosto che evitare la morosità delle famiglie.”
Se il Governo non interviene a livello centrale, sul piano locale si contraddistinguono alcuni provvedimenti di rilievo. Un esempio su tutti: a Padova, il 14 dicembre è stato sottoscritto un protocollo d’intesa per la riduzione del disagio abitativo. L’accordo, che vuole evitare un’esecuzione indiscriminata degli sfratti, ha coinvolto sindacati e associazioni degli inquilini, assieme ai proprietari, al Comune e a tutti i soggetti interessati. “Si tratta però di casi isolati, utili a ‘tamponare’ l’emergenza, ma non risolvono il problema vero, cioè la mancanza di case popolari,” spiega De Cesaris.
Altrove, le autorità hanno provveduto a gestire l’emergenza abitativa in altri modi, ma senza successo. Lo scorso aprile, la Corte Costituzionale tedesca aveva dichiarato illegale il tetto agli affitti di 1,5 milioni di appartamenti (il 90% del totale) imposto dalla città di Berlino nel 2020. La decisione era stata presa per regolare il costo degli affitti in progressivo aumento negli ultimi anni. Ma secondo la Corte, il Governo locale non può legiferare autonomamente in tale ambito. Le autorità di Berlino sono un esempio a livello europeo per la loro attenzione verso il diritto alla casa. Ma la capitale tedesca non è isolata.
A metà dicembre, ad esempio, il sindaco di Londra Sadiq Khan ha scritto sul proprio profilo Facebook di essere orgoglioso per i risultati raggiunti dalla sua città nella lotta all’emergenza abitativa. “Stiamo costruendo il numero più alto di case popolari a partire dagli anni Settanta”, ha spiegato Khan. “In Italia è praticamente impossibile sentire dichiarazioni simili”, riflette De Cesaris, “politici e amministratori locali non considerano l’edilizia pubblica una priorità.”
E infatti le prospettive per il futuro non sono delle migliori. In Italia ci sono 650 mila persone ferme in graduatoria per accedere ai servizi di edilizia residenziale pubblica. “Ma nel Pnrr non c’è nulla per risolvere questa situazione,” accusa il segretario nazionale. “Si punta piuttosto sul social housing, con interventi di stampo pubblico-privato che purtroppo si possono applicare solo a un target limitato di famiglie, che dispongono di un certo reddito.” Con queste premesse, anche nel post-Covid l’emergenza abitativa rischia di rimanere una questione irrisolta.
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