Il governo italiano si sta prendendo il merito della scarcerazione di Zaki
Sui giornali fioriscono i retroscena sul ruolo del governo Draghi, che però ha sempre ignorato la richiesta del parlamento sulla cittadinanza allo studente egiziano
Sui giornali fioriscono i retroscena sul ruolo del governo Draghi, che però ha sempre ignorato la richiesta del parlamento sulla cittadinanza allo studente egiziano
Dopo 22 mesi di detenzione, Patrick Zaki è stato scarcerato: la decisione è stata presa ieri mattina dal tribunale di Mansoura, al termine dell’ultima udienza del processo a suo carico — iniziato a settembre dopo mesi di rinvii. Scarcerazione non significa assoluzione: le accuse contro Zaki sono ancora in piedi, e lo studente dovrà comparire in aula il prossimo 1° febbraio. Dalla gabbia degli imputati, Zaki ha detto di stare bene e ha ringraziato l’Italia per l’attenzione e la vicinanza. La sua effettiva liberazione dovrebbe avvenire in queste ore.
Il governo italiano, nonostante abbia costantemente ignorato la richiesta del parlamento sulla concessione della cittadinanza — avanzata con due mozioni approvate ad aprile e luglio da Camera e Senato — sta mettendo il cappello sulla buona notizia: il ministro Di Maio ha indirizzato via Twitter “un doveroso ringraziamento al nostro corpo diplomatico,” dicendo che “adesso continuiamo a lavorare silenziosamente, con costanza e impegno.” Draghi ha espresso soddisfazione con una nota ufficiale. Addirittura il nome di Zaki è stato proiettato sul padiglione italiano all’Expo di Dubai, mentre si moltiplicano le dichiarazioni dei sindaci e governatori regionali pronti ad accoglierlo nelle proprie città, da Orlando a Giani.
Aver imposto a livello bipartisan il tema della liberazione di Zaki però è soprattutto merito della campagna costantemente portata avanti dalla società civile in questi due anni — non certo delle istituzioni. È probabile che la pressione diplomatica abbia avuto qualche effetto sulla decisione dei giudici, ma i retroscena che si leggono sui giornali di oggi, che parlano di contatti riservati e “pressioni” portate avanti personalmente da Mario Draghi, con un ruolo di primo piano addirittura di Piero Fassino, presidente della Commissione esteri della Camera, hanno un po’ il sapore della fantapolitica.
Senza dimenticare che la pressione diplomatica sul caso Zaki non è stata soltanto italiana: le udienze del processo sono state seguite in questi mesi anche dai rappresentanti diplomatici di Spagna, Canada e Stati Uniti. Proprio l’amministrazione Biden, secondo un retroscena di Vincenzo Nigro pubblicato oggi su la Repubblica, avrebbe fornito all’Italia la “sponda” che mancava nelle trattative con il regime di al-Sisi. Biden avrebbe inserito il nome di Zaki in una lista di 16 attivisti da liberare, pena il congelamento di una tranche di circa 200 milioni di dollari in aiuti militari. Secondo Nigro, la richiesta di aggiungere il nome di Zaki alla lista sarebbe arrivata direttamente dall’ex ambasciatore italiano in Egitto Giampaolo Cantini — ma, a dire il vero, lo studente egiziano era già in una lista di attivisti di cui 56 parlamentari democratici statunitensi avevano chiesto la liberazione già alla fine dell’anno scorso, imponendo il tema all’amministrazione Biden che si sarebbe insediata pochi mesi dopo.
In ogni caso, si tratta di una vittoria “con un retrogusto amaro,” commenta il ricercatore di Human Rights Watch Amr Magdy. “Zaki ha già passato due anni incarcerato ingiustamente e in condizioni deplorevoli, subendo anche torture da parte degli agenti della NSA quando è stato arrestato.” Il suo rilascio “non significa nulla,” secondo l’amico attivista Amr Abdelwahab: “Stanno ancora processando Patrick per aver scritto un articolo, e non siamo sicuri se potrà viaggiare o se dovrà passare il proprio tempo nelle stazioni di polizia.”
Per ogni Zaki scarcerato, migliaia di attivisti e giornalisti restano imprigionati nelle carceri egiziane. Solo pochi giorni fa è stato condannato l’attivista per i diritti umani Hossam Bahgat — fortunatamente solo a una multa, che però ha un chiaro effetto intimidatorio nei confronti dei dissidenti al regime di al-Sisi. A novembre sono stati condannati tra i tre e i cinque anni di prigione sei ex politici, sindacalisti e attivisti. Tre di loro, Zyad el-Elaimy, Hossam Moanis e Hisham Fouad, dovranno scontare una pena in carcere per la stessa accusa che pende contro Zaki: aver diffuso “notizie false per minare la sicurezza nazionale.”