La fine della narrazione?

Nonostante il declino del M5S e della Lega, è ancora presto per dichiarare finita l’epoca del “populismo” online: le loro innovazioni in termini di comunicazione politica hanno contagiato ormai tutto l’arco parlamentare

La fine della narrazione?

Nonostante il declino del M5S e della Lega, è ancora presto per dichiarare finita l’epoca del “populismo” online: le loro innovazioni in termini di comunicazione politica hanno contagiato ormai tutto l’arco parlamentare

Dopo l’estate, la politica italiana è tornata alle sue incombenze. Prime tra tutte, le elezioni amministrative, che lo scorso weekend hanno coinvolto più di mille comuni. L’aria che si respira, però, non è di ordinaria routine istituzionale. Alcune notizie uscite proprio a inizio autunno si legano a nomi e circostanze di un’epoca passata: la Seconda repubblica. Si tratta della stagione politica iniziata dopo Mani pulite e legata all’ascesa di partiti e leader nuovi, in particolare a destra, con l’approdo di Silvio Berlusconi nella scena politica italiana. Più complesso dire in che momento si sia concluso quel periodo o se si sia effettivamente concluso. Luigi Di Maio, quando nell’aprile del 2018 era ancora il leader del Movimento 5 Stelle, aveva sentenziato la fine della Seconda repubblica con questo tweet:

La trattativa Stato-mafia c’è stata. Con le condanne di oggi muore definitivamente la Seconda Repubblica. Grazie ai magistrati di Palermo che hanno lavorato per la verità.

— Luigi Di Maio (@luigidimaio) April 20, 2018

Il commento di Di Maio era riferito alla sentenza di primo grado nel processo sulla trattativa stato-mafia: i giudici della Corte d’assise di Palermo avevano appena confermato l’impianto accusatorio dei magistrati, tra i quali spicca Nino Di Matteo – molto stimato, fino a quel momento, dal M5S. Secondo le loro indagini, nei primi anni ’90 carabinieri e politici – a partire dal fedelissimo di Berlusconi, Marcello Dell’Utri – avrebbero trattato con la mafia siciliana per fermare le stragi che stavano destabilizzando il Paese. In cambio, la criminalità organizzata avrebbe ottenuto dallo Stato un trattamento meno aggressivo e intransigente nella lotta alla mafia. Oltre a Di Maio, anche un altro pentastellato prossimo a ricoprire un ruolo di rilievo nella XVIII legislatura, Roberto Fico, aveva esultato dicendo: “Quando lo stato riapre le proprie ferite per provare a stabilire la verità, quando giunge a condannare sé stesso, allora riacquista la forza, la dignità e la fiducia dei cittadini.”

Giovedì 23 settembre 2021, la Corte d’assise d’appello di Palermo ha ribaltato la tesi dell’accusa: la “trattativa” è stata una semplice operazione di polizia che non si configura come reato. È una sentenza di grande potenza simbolica, perché riaccende i fari su una stagione che ha spaccato il Paese, e dalle cui ceneri è poi nato il primo populismo grillino che ora siede ai tavoli di governo e parlamento. Come ha fatto notare Pietro Salvatori sull’HuffPost, risorge all’improvviso la Seconda repubblica col suo binomio irrisolto di politica e magistratura.

Ma questa vicenda non è l’unico déjà vu di questi giorni. C’è anche la notizia di Luca Morisi, l’ex spin doctor di Matteo Salvini indagato dalla Procura di Verona per cessione di stupefacenti dopo aver subito una perquisizione dei carabinieri nel suo appartamento di Palazzo Moneta a Belfiore, nel Veronese. Il creatore della “Bestia” aveva dato le dimissioni il 1° settembre. Ma la notizia era uscita solo più tardi, il 23 settembre, quando l’agenzia AdnKronos ha raccontato per prima il passo indietro di Morisi. Quest’ultimo avrebbe motivato la scelta con il bisogno “di staccare per un po’ di tempo per questioni familiari.”

Quattro giorni dopo – grazie al lavoro dei giornalisti di Repubblica Giuliano Foschini e Fabio Tonacci – è saltata fuori la storia delle indagini aperte nei suoi confronti. È una vicenda ancora oscura, che vede come protagonisti Morisi e due escort romeni che si sarebbero incontrati a casa dell’ex spin doctor, probabilmente per consumare droga (qui il riassunto di cosa sappiamo finora).

Anche la vicenda di Morisi innesca suggestioni legate al passato: i festini, la droga e le voluttuose vicende private degli uomini delle istituzioni hanno dominato il dibattito pubblico al giro di boa degli anni ’10. Non solo le cene eleganti di Berlusconi e i “massaggi” a Bertolaso nell’inchiesta sul G8 della Maddalena – accuse che cadranno nel nulla dopo l’assoluzione dell’ex capo della Protezione Civile “perché il fatto non sussiste” – ma anche lo scandalo del 2009, legato all’ex Presidente di centrosinistra della Regione Lazio, Piero Marrazzo.

È rivelatorio che, proprio in questo periodo, la cronaca offra all’opinione pubblica alcuni flash back da un tempo lontano: è stato proprio all’epoca degli scandali a sfondo sessuale, nello stesso periodo in cui iniziavano le indagini sulla Trattativa Stato-Mafia (una semplice coincidenza temporale) che il patrimonio politico di Berlusconi, simbolo della Seconda repubblica, ha iniziato a sgretolarsi. E ora come allora, la narrazione dei partiti più innovativi e di successo, in termini di comunicazione politica, sembra aver raggiunto un turning point. Lega e Movimento 5 Stelle, infatti, perdono rilevanza di mese in mese. A livello simbolico le notizie delle ultime settimane potrebbero rappresentare uno spartiacque. Soprattutto per quanto riguarda il Carroccio, visto che la sentenza della Corte d’assise d’appello di Palermo chiude certo una stagione di giustizialismo che ha fatto da apripista al primo M5S, ma non sembra aver indebolito un partito che nel frattempo ha ammorbidito la sua linea sulla giustizia – citofonare Uggetti.

Grafico YouTrend

Si può dire che le narrazioni nate da questa stagione politica, dominata da partiti che hanno adottato strategie populiste, si sono esaurite? “C’è una sensazione che potremmo definire di stanchezza,” ci dice Gianpietro Mazzoleni, professore ordinario di Comunicazione politica alla Statale di Milano. Mazzoleni è esperto di populismo e nel 2019, insieme alla professoressa Roberta Bracciale dell’Università di Pisa, ha scritto il libro La politica pop online, in cui i due accademici raccontano le dinamiche della comunicazione politica sui social network. “Il pubblico, forse, è assuefatto da questo modo di comunicare. Sia da quello grillino – anche se oggi il M5S è una forza di Governo e non ha più quella spinta aggressiva degli inizi – sia da quello della Lega.” È però ancora troppo presto per certificare la morte della narrazione che ha dominato la scena politica – in Italia e all’estero – negli ultimi anni. Questo perché, malgrado i partiti populisti perdano consensi di mese in mese, il loro stile comunicativo sui social viene ormai utilizzato da forze di tutto lo spettro politico. Basta dare un’occhiata ai profili ufficiali dei maggiori partiti italiani per accorgersi che gli standard di comunicazione sono spesso gli stessi, a prescindere dal colore politico. “Si può parlare di populismo endemico come spirito del tempo,” spiega Mazzoleni. Perché? “Lo stile populista, chiamiamolo pure così in modo banale, si nota anche nella comunicazione di sinistra.” Assieme a Bracciale, Mazzoleni ha studiato il populismo endemico dei leader italiani sui social. I due hanno rivelato che i leader politici, anche quelli che normalmente non definiremmo populisti, non disdegnano l’uso dei una retorica aggressiva e anti-élite online. Insomma, la comunicazione populista è presente pressoché in tutti i partiti, ma cresce di intensità e frequenza mentre ci si sposta da sinistra verso l’estrema destra.

Grafico da Mazzoleni, G., Bracciale, R. Socially mediated populism: the communicative strategies of political leaders on Facebook. Palgrave Commun 4, 50 (2018).

Quello del populismo di “sinistra” è dunque un tratto legato alla sfera politica. Ma la stessa retorica si avverte spesso anche a livello culturale. “Pensa a certi intellettuali che sono ospiti fissi nei talk show,” ragiona Mazzoleni. “Prendi un Cacciari, ad esempio, e certi discorsi che fa. Oppure quando manda a fanculo tutti.” Il filosofo veneziano è forse l’esempio più lampante di questa tendenza all’opinione di “pancia” vista da sinistra. Sono conclusioni, queste, particolarmente facili da trarre in un momento complesso come quello che stiamo vivendo. Con la pandemia, infatti, una caratteristica laterale nel dibattito pubblico è diventata lo standard anche tra tecnici ed intellettuali non propriamente di destra. Dalle sfuriate di David Parenzo contro i no-vax, fino ai tweet al fulmicotone di virologi e immunologi che augurano il peggio a chi rifiuta il vaccino: la comunicazione sotto il virus ha acceso i toni e animato un dibattito pubblico già normalmente in escandescenza.

Se l’approccio populista nella comunicazione viene utilizzato – con intensità e frequenza diverse – da tutte le forze politiche, è dunque sbagliato “generalizzare dicendo che il populismo è in fase calante, come fanno alcuni analisti e commentatori sui giornali,” avverte Mazzoleni. Insomma, non ci troviamo di fronte alla fine della narrazione. E attenzione alla rilevanza che spesso viene data a scandali che fanno rumore, come quello di Morisi. “Certamente la sua vicenda personale peserà sulla Lega,” dice il professore, ma nel populismo vale la regola aurea della natura umana: “Le nostre risorse comunicative sono notevoli. Possiamo adattarci a nuove narrazioni, cavalcando vecchie bestie come quelle – nel caso di Salvini – degll’immigrazione irregolare e della droga.” Questo perché “c’è un meccanismo nell’opinione pubblica che spesso tendiamo a sottovalutare, ovvero che le persone credono a quello che vogliono credere, e preferiscono affidarsi comunque ad un leader forte.”

Così come durante la Seconda repubblica, quando Berlusconi ha cambiato per sempre la politica italiana introducendo la personalizzazione dei partiti, anche la stagione populista continuerà a vivere nella comunicazione online delle forze politiche che verranno. Sia di destra che di sinistra.

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