Square One: la vita dei migranti dopo deportazione e rimpatrio, dall’Europa alla Nigeria
Per le autorità tedesche, il 2020 è stato l’anno di maggior intensificazione di queste operazioni: 600 nigeriani sono stati deportati nel 2019, il 30% del totale di coloro che erano presenti in UE, e a gennaio dello scorso anno il numero dei rimpatri è salito a 12.000.
foto Francesco Bellina
testo Marta Clinco, Giacomo Zandonini
Atlas è il nostro nuovo spazio dedicato all’immagine e alla fotografia contemporanee. Ogni settimana vi racconteremo un nuovo progetto – in corso, in via di pubblicazione o appena uscito – attraverso una selezione di immagini e contributi degli autori, con un occhio di riguardo a editoria indipendente e autoproduzioni.
In Square One, l’ultimo progetto di Francesco Bellina e Giacomo Zandonini, sono raccontate le storie di giovani uomini e donne che negli ultimi vent’anni hanno scommesso con la loro vita lasciando la Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa. I loro figli sono nati o cresciuti in Europa.
Vittime del traffico di migranti, di torture e di maltrattamenti lungo il viaggio disperato dall’Africa all’Europa, speravano tutti di trovare un futuro migliore in Germania. Le politiche europee degli ultimi anni, volte a rendere sempre più difficile la permanenza degli stranieri extracomunitari sui territori dell’Unione, hanno portato al rigetto delle loro richieste d’asilo: la polizia è venuta a bussare alle loro porte, o a cercarli negli uffici pubblici, nei centri sociali, nelle scuole.
Il giorno successivo si sono ritrovati davanti a un cancello arrugginito dell’aeroporto cargo di Lagos, la principale città della Nigeria, traumatizzati e senza un soldo, separati dai loro parenti rimasti in Europa.
Per le autorità tedesche, il 2020 è stato l’anno di maggior intensificazione di queste operazioni: 600 nigeriani sono stati deportati nel 2019, il 30% del totale di coloro che erano presenti in UE, e a gennaio dello scorso anno il numero dei rimpatri è salito a 12.000.
Le esperienze di questi sette adulti e dei loro figli, raccontate dalle immagini di Bellina e nelle parole di Zandonini, mettono in evidenza l’impatto psicologico drammatico ed estremamente traumatico che deportazioni, rimpatrii e conseguente rottura dei nuclei familiari hanno sulla vita di queste persone, spesso con ripercussioni sullo stato di salute dei singoli.
Ripercussioni manifestatesi anche a livello sociale: al rimpatrio in Nigeria – nella vergogna di tornare dalle proprie famiglie a mani vuote, colpevoli di non avercela fatta – sono stati accolti con diffidenza e da allora vivono nella miseria. Le madri single e i loro figli sono stati rifiutati dalle famiglie d’origine, e portano il fardello dello stigma di chi ha abbandonato la propria terra per poi farvi ritorno, sconfitto. Alcuni, durante il viaggio di ritorno, hanno subito abusi e violenze – altri hanno tentato nuovamente la traversata verso il vecchio continente per inseguire nuovamente la possibilità di una vita migliore in Europa. Tutto questo aggravato e reso più difficile dalla pandemia di Coronavirus in corso a livello globale.
Non appena, all’inizio della scorsa estate, la prima ondata di coronavirus è andata diminuendo e le restrizioni ai confini sono state gradualmente allentate, la Germania è stato il primo paese dell’UE a riprendere le deportazioni dall’Europa orientale. Gli attivisti affermano che Berlino, aiutata da Frontex, abbia fatto pressioni sulla sua controparte nigeriana per riavviare i rimpatrii il prima possibile, anche se i funzionari nigeriani continuano a negare il proprio coinvolgimento.
“Veniamo a conoscenza di questi voli solo dopo il decollo dalla Germania”, confessa un alto funzionario della polizia di frontiera.
Un funzionario del governo afferma inoltre che “le operazioni vengono svolte in modo assolutamente disumano.”
Questo avviene tre anni dopo l’imposizione, da parte del governo di Angela Merkel, di nuove e più severe misure per accelerare i rimpatrii, e un anno dopo l’adozione del nuovo pacchetto legislativo sulle migrazioni, tuttora sotto esame.
Bellina e Zandonini restituiscono un documento su come queste politica di deportazioni e rimpatrii abbia avuto impatto sui singoli individui e sui nuclei familiari nei bassifondi di Lagos, sulle colline polverose di Ogun e nella periferia di Benin City.
BIO
Francesco Bellina nasce a Trapani nel 1989 e vive a Palermo dal 2008.
Il suo lavoro si concentra principalmente su tematiche politiche e sociali – in particolare, sul tema delle migrazioni.
Su quest’ultimo fenomeno ha concentrato il lavoro degli ultimi anni, documentando ciò che avviene all’interno delle comunità di migranti, dai primi sbarchi di rifugiati subshariani alla vita quotidiana nei centri di accoglienza, fino alla relazione tra le comunità e i quartieri siciliani, come quello di “Ballarò” a Palermo.
Ha pubblicato su testate nazionali e internazionali come The Guardian, The Globe and Mail, Paris Match, Le Monde, Internazionale, L’Espresso.
Nel 2016 e 2017 è stato nominato per il World Press Photo Joop Swart Masterclass.
È tra i membri del collettivo fotografico Cesura.
Giacomo Zandonini è un giornalista multimediale nato a Milano nel 1981. Dagli anni 2000 si occupa di migrazioni, mobilità e identità.
Partendo dai confini italiani, dal Brennero alla Sicilia, ha attraversato il Mediterraneo per percorrere a ritroso rotte e frontiere. Ha viaggiato e lavorato in Tunisia, Algeria, Ghana, Nigeria.
Dal 2016, ha scelto il Niger come base temporanea, esplorando migrazioni e traffici attraverso il Sahara e il crescente conflitto che insanguina il Sahel.
Ha base a Roma, dove coltiva (troppi) progetti e prova a portare il giornalismo dove ce n’è più bisogno, nelle scuole, nelle periferie, ai margini.
I suoi lavori sono apparsi su Der Spiegel, The Guardian, Al Jazeera, The New Humanitarian, Mediapart, L’Espresso, Paris Match, Radiotelevisione Svizzera, Deutsche Welle.