L’amministrazione torinese guidata da Chiara Appendino ha alzato il livello di scontro verso i più emarginati, con rastrellamenti nel centro e progettando di sottrarre alle persone senza dimora persino gli animali da compagnia
Nella giornata di martedì, l’amministrazione di Chiara Appendino è stata criticata aspramente a causa di alcune disposizioni contenute nella bozza del nuovo Regolamento per la tutela degli animali della Città di Torino.
In particolare l’oggetto della contestazione è il punto 22 del capitolo, che va sotto il nome di “Divieti generali”, il quale prevede esplicitamente che “È vietato su tutto il territorio del Comune utilizzare qualsiasi specie animale, sia domestica-selvatica-esotica, per la pratica dell’accattonaggio”: qualora il documento dovesse entrare in vigore, il tutore dell’ordine che noterà un clochard in compagnia di un cane sarà libero di riferirsi alle autorità preposte per farglielo portare via, privandolo di quello che, spesso, rappresenta l’unico punto di riferimento di cui dispone.
Travolta dai – comprensibili – biasimi di una parte dell’opinione pubblica cittadina, con un post su Facebook la Sindaca si è premurata di rigettare prontamente al mittente le accuse che la vorrebbero al comando delle operazioni di una guerra “strisciante” ai senzatetto, prodigandosi in un’accorata apologia della propria condotta: “Sappiamo tutte e tutti che, per molte persone che vivono in strada, la compagnia di un animale è estremamente preziosa. Infatti nessuno pensa di sottrarglieli […] Tuttavia sappiamo anche che, in alcuni casi, questi animali vengono sfruttati senza alcuno scrupolo esclusivamente per le pratiche di accattonaggio. Dietro questi fenomeni si possono celare racket e veri e propri traffici. Ed è qui che le Autorità cittadine devono essere attente e pronte a intervenire.”
Anche senza mettere in dubbio la buona fede della sindaca, per chi ha analizzato attentamente l’atteggiamento con cui l’attuale amministrazione ha approcciato gli homeless, le giravolte difensive di Appendino hanno un gusto retorico: la prima cittadina non ha mai fatto mistero della propria predilezione per il decoro e la sicurezza, e si è più volte schierata pubblicamente in favore della “tolleranza zero” nei confronti delle donazioni ai clochard accampati nel centro.
In un post pubblicato sul Blog di Beppe Grillo nel settembre del 2018, Appendino scriveva che “Quasi sempre quella di rimanere in strada – e il conseguente rifiuto degli aiuti – è una precisa scelta, dettata principalmente dal fatto che così facendo è più facile accumulare denaro attraverso le elemosine. Da qui il primo punto che voglio ribadire: non fate elemosina ai senzatetto” – insomma, nella narrazione di Appendino, i senzatetto dormirebbero per strada “per vocazione, o più semplicemente perché a loro sta bene così.
Nello stesso post, la sindaca pretendeva di individuare una soluzione al problema degli homeless nell’inserimento di “elementi di arredo urbano negli spazi più propensi ad essere occupati” o, tradotto, nell’implementazione della cosiddetta “architettura ostile”, ossia l’insieme di quei dispositivi ideati allo scopo di scoraggiare la socialità negli spazi pubblici: panchine divise da braccioli in metallo, sedili spioventi alla fermata del bus, sedute pubbliche prive di schienale e fontanelle a comparsa.
Gli indizi sembrerebbero suggerire che il frame narrativo della “linea dura anti-barboni” rappresenti, ormai, una cifra distintiva dell’attuale amministrazione. Non a caso, a sole 24 ore dalle polemiche innescate dalla bozza, si è pensato bene di passare dalle parole alle azioni: nella mattinata di ieri, un blitz degli agenti di polizia municipale ha dato il via a una severa repressione nei confronti dei senzatetto, provvedendo al loro sgombero da via Cernaia e dalle altre strade del centro, con tanto di sequestro di effetti personali e coperte scaricate nei cassonetti.
Del resto, che qualcuno in città volesse dare – l’ennesimo – giro di vite in nome del decoro lo si era capito dalla scorsa settimana quando, in un’intervista rilasciata alla Stampa, il capo dei vigili urbani Emiliano Bezzon aveva invitato la cittadinanza a non dare l’elemosina ai barboni che stazionano sotto i portici dato che, per queste persone, il centro si è ormai trasformato in una specie di “bancomat” a cielo aperto; nella prospettiva di Bezzon, quella dei senzatetto è una vita furba, agiata e addirittura profittevole, sino al punto che dormire arroccati sugli scatoloni con piumoni sgualciti “fa guadagnare tanti soldi, tanti come la gente nemmeno immagina”:
“La stragrande maggioranza delle offerte diventano semplicemente rifiuti. Le coperte diventano stracci. È una realtà a cui assistiamo ogni giorno: ogni volta portiamo via camion di rifiuti, anche cibo avariato. E, ogni volta, intervenire e pulire sono costi elevati per la collettività. Vorrei che la gente riflettesse su questo: gli interventi spot liberano le nostre coscienze, ma alimentano il problema e rendono a noi la vita più difficile. Tanti cittadini dovrebbero venire con noi la mattina a sentire cosa dicono gli homeless.”
Come da copione, durante l’ultimo consiglio comunale, le discutibili dichiarazioni del comandante della Municipale hanno incassato l’immediato endorsement del gruppo pentastellato di maggioranza, in particolare di Sonia Schellino, vicesindaca di Torino con delega all’assistenza sociale, la quale ha dichiarato di sposare in pieno la “dottrina Bezzon”, poiché “I soldi, da soli, non aiutano queste persone. Non è questo il modo giusto”.
Verrebbe da chiedersi quale dovrebbe essere il “modo giusto” da perseguire in una città funestata dall’aggravarsi dell’emergenza abitativa, in cui le procedure per morosità aumentano esponenzialmente – il tribunale ha dato esecuzione a ben 3.388 sfratti nel solo 2016, calando Torino nei panni di primo capoluogo di regione in Italia per numero di sgomberi di appartamenti dati in locazione – mentre il numero delle persone senza fissa dimora continua a crescere.
Gli ultimi dati del 2019 parlano infatti di un incremento del 20% dei senzatetto, dovuto soprattutto a lavoratori precari che non riescono più nemmeno a pagare un affitto minimo per non finire in mezzo ad una strada. In questo contesto, le case popolari non sono sufficienti per soddisfare la domanda di abitazioni: secondo Giovanni Magnano, responsabile dell’Ufficio dell’edilizia residenziale pubblica di Torino, a fronte di 12.500 richieste valide all’anno, ovvero di famiglie che avrebbero i requisiti per accedere agli alloggi — con reddito Isee inferiore a 20.800 euro, tre anni di residenza in città — quelle che li ricevono sono solo 500.
Probabilmente, nella visione della giunta pentastellata, il metodo più efficace per tamponare l’emorragia è quello di procedere alla dismissione di quei – pochi – luoghi in cui i senzatetto possono ancora trovare ospitalità. Come accaduto nel maggio dello scorso anno quando, nel momento più critico della pandemia da coronavirus, il Comune ha disposto la chiusura del dormitorio di Piazza d’Armi, che di solito viene allestito nei mesi più freddi per offrire riparo a chi non ha una casa. In quell’occasione, Schellino giustificò la decisione col pretesto di voler garantire il diritto alla salute, dato che, in quella situazione, “non sarebbe stato possibile scongiurare il rischio di assembramento, con i conseguenti con problemi dal punto di vista sanitario.”
Certo, lo stato del campo non era tra i migliori: ospitava 150 persone, prive di qualsiasi dispositivo di protezione individuale e impossibilitate a osservare il rispetto delle distanze sociali, le condizioni ideali per un contagio di massa; tuttavia, rimane da capire in che modo riversarle per strada senza predisporre una sistemazione alternativa possa aver costituito una soluzione al problema. Peraltro, lo sfollamento di Piazza d’Armi si pone in perfetta continuità con il celebre “sgombero dolce” dell’anno prima, quello dell’ex Moi, il villaggio olimpico da occupato da profughi e da famiglie di migranti, rivendicato dalla sindaca Appendino come uno dei più prestigiosi successi messi a referto dalla propria giunta, sino al punto di definirlo “un modello vincente”.
Insomma, l’evacuazione coatta andata in scena ieri non dovrebbe destare stupore: l’operazione si inserisce nell’ambito di una più ampia strategia – mai annunciata ufficialmente, ma ormai evidente nei fatti – finalizzata a estromettere i “barboni” dal centro storico cittadino per preservarne l’eleganza e la sciccheria, seguendo le direttrici di un perfetto esercizio di creazione di spazio a uso e consumo dei più ricchi. D’altronde, non è un segreto: capitalizzare sul decoro e sulle paure dei cittadini è una strategia che paga, soprattutto a pochi mesi di distanza dalle elezioni comunali — lo racconta molto bene Wolf Bukowski nel suo libro La buona educazione degli oppressi. Magari, per quella data, la bonifica dei poveri dal centro sarà finalmente portata a compimento, e Torino potrà trasformarsi nella tanto agognata città a misura di consumatore.
in copertina, elaborazione da Pmk58