Circa 640 mila studenti tornano a scuola in tutta Italia, ma molte regioni continuano ad opporsi alle decisioni del Cts e del governo — che le lascia fare
Oggi circa 640 mila studenti delle scuole superiori tornano sui banchi in diverse regioni italiane: Lazio, Piemonte, Emilia Romagna e Molise, che si aggiungono così alle quattro che avevano già disposto la ripresa delle lezioni in presenza settimana scorsa (Valle d’Aosta, Trentino, Toscana e Abruzzo). Si tratta di una ripartenza “a metà,” con una percentuale di studenti in presenza variabile tra il 50% (come in Emilia Romagna) e al 75% (come in Molise), così come previsto dall’ultimo Dpcm.
In alcuni casi il ritorno a scuola è stato imposto alle giunte regionali dalle decisioni dei tribunali amministrativi: è così in Emilia Romagna, dove il Tar ha annullato la sentenza che prorogava la didattica a distanza al 100% fino a lunedì 25. E doveva essere così anche in Lombardia, se non fosse subentrata la “zona rossa” che, come in Sicilia e in provincia di Bolzano, congela tutto almeno fino al 31 gennaio.
Nelle altre zone, secondo il Dpcm del 14 gennaio, la didattica in presenza alle superiori dovrebbe essere sempre garantita tra il 50 e il 70%. Di fatto, però, il governo ha lasciato campo libero alle regioni e ha deciso di non impugnare le ordinanze più restrittive varate nelle ultime settimane — lasciando il “lavoro sporco” ai tribunali amministrativi che hanno accolto i ricorsi dei vari comitati. Non sempre ottenendo un risultato concreto: in Friuli Venezia Giulia, ad esempio, il governatore leghista Fedriga ha deciso di disattendere la sentenza del Tar, firmando una nuova ordinanza che tiene chiuse le scuole superiori fino a fine mese, citando il peggioramento della curva dei contagi e la maggiore pressione sulle strutture ospedaliere, che renderebbero il riavvio delle lezioni in aula “non compatibile con la salvaguardia della salute di tutti.”
I governatori regionali preferiscono insomma godere delle minori restrizioni previste dalla zona gialla o arancione, ma solo per i settori che rivestono un qualche interesse economico — insomma, le attività commerciali — senza assumersi la responsabilità che i contagi possano subire un rialzo attribuibile anche al ritorno a scuola. I due casi limite che esemplificano alla perfezione questo ragionamento sono la Campania e la Lombardia: la prima è in zona gialla, ma continua a tenere chiuse tutte le scuole a partire dalla quarta elementare compresa; la seconda invece è appena entrata in zona rossa, tra le proteste della nuova vicepresidente e assessora al Welfare Letizia Moratti, che ha chiesto al ministro Speranza di “congelare per 48 ore” la decisione, in attesa dei dati di domani, che dovrebbero miracolosamente riportare la regione fuori dalla fascia di rischio maggiore. Non certo però per riaprire le scuole che, anche in zona arancione, stando alle disposizioni di Palazzo Lombardia, non sarebbero tornate in presenza prima del 25 gennaio.
Ieri il Comitato tecnico-scientifico ha sconfessato per l’ennesima volta questo atteggiamento, dichiarando — nel corso di una riunione d’urgenza convocata dal ministro Speranza su pressione proprio delle regioni — che “il ritorno in aula non è più procrastinabile per il grave impatto sull’apprendimento.” Ma questa decisione si limita a ribadire il contenuto dell’ultimo Dpcm e non porterà a nuove ordinanze, né farà tornare sui propri passi le regioni che hanno già deciso per un rinvio.
Dove le scuole restano chiuse, proseguono le proteste da parte degli studenti e dei comitati contrari alla Dad: dopo l’occupazione del liceo Manzoni, a Milano ci sono state mobilitazioni analoghe anche al Volta, al Tito Livio, al Severi e al Vittorio Veneto. Ieri il sindaco Sala ha incontrato una delegazione di studenti, con cui ha concordato sulla necessità di trovare una “soluzione mista” tra Dad e presenza. “Siamo felici di avere ottenuto questi risultati — hanno dichiarato gli studenti al termine dell’incontro — ma continueremo a batterci per un ritorno in sicurezza a scuola e rimarremo in contatto con il sindaco.”
Dove invece le scuole riaprono, le regioni hanno varato diversi piani di potenziamento del trasporto pubblico e hanno disposto lo scaglionamento degli orari di ingresso: nel Lazio, ad esempio, ci saranno 3.100 corse in più, messe a disposizione dalle aziende del trasporto locale e, così come è stato fatto in Toscana, ci saranno dei “tutor” per vigilare sugli assembramenti. Parallelamente, il progetto “Scuola sicura” permette agli studenti tra i 14 e 18 anni di fare un tampone rapido gratuitamente e senza prescrizioni mediche. Misure simili sono state adottate in Piemonte.
Nonostante questi accorgimenti, l’apertura delle scuole resta soggetta a notevoli incertezze: non è chiaro se ripartirà un programma di monitoraggio a livello nazionale per tenere sotto controllo i contagi — e, come sappiamo, questo è stato uno dei principali punti deboli della riapertura delle scuole in autunno — mentre il “cambio di zona” delle regioni tiene sempre gli istituti sotto la spada di Damocle di una nuova chiusura. E poi ci sono le quarantene, a ricordare che anche il ritorno sui banchi nasconde numeri imponenti di studenti che tornano confinati alla didattica a distanza: in Veneto, ad esempio, circa 200 classi delle scuole elementari e medie, per un totale di 4000 studenti, si trovano sottoposte a provvedimenti di quarantena, soltanto dieci giorni dalla ripresa dopo le vacanze di Natale.
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