in copertina, foto di gruppo di brASS Burlesque, al termine di una performance
Fin dall’Ottocento, il burlesque è stato un’arma importante per l’autoaffermazione femminile. E può esserlo anche oggi, che ci si sta interrogando sempre di più sulla consapevolezza e il ruolo del proprio corpo. Bianca Giacobone ce ne ha parlato da New York
In una nevosa notte nella New York pre-pandemia, il retro dello Starr Bar di Brooklyn ospita uno spettacolo di burlesque. Juniper Juicy, un* go-go dancer con capelli verde brillante e orecchie appuntite da fata, che si identifica con il pronome neutro “loro”, scuote le sue natiche tornite, incoraggiando il pubblico a infilare banconote da un dollaro nella sue calze a rete autoreggenti. È il primo atto di Compost Bin!, un’esibizione ricorrente di una troupe chiamata brASS Burlesque — ossia brown radical ass burlesque. Lo spettacolo promette “liberazione, giustizia, amore” e libertà di espressione per “persone tradizionalmente ai margini” e “persone queer di colore.”
Il presentatore dello spettacolo, Don DickRealis, è un alto drag king con un abito viola alla Prince e una spessa barba nera dipinta sul mento femminile, e introduce lo spettacolo come “cabaret politico radicale che aiuti a sopportare il mondo, perché c’è un sacco di merda da compostare.”
Don DickRealis è lo pseudonimo da drag king della performer Aurora BoobRealis, conosciuta nella vita di tutti i giorni come Dawn Crandell. Durante lo spettacolo, Don si comporta secondo tutti gli stereotipi maschili, mentre rivela in modo seducente il corpo di una donna, e simula un rapporto sessuale con la drag queen Munroe Lily. Le tre creatrici, Dawn Crandell e le sorelle Michi e Una Osato, salgono poi sul palco con un bidone marrone per il compostaggio e chiedono al pubblico di gridare cose da gettare nel cestino, per poi cospargerle di glitter turchese. Cosa ci finisce, in quel cestino? La repressione del potere di voto, la debolezza nel perseguire la polizia, la transfobia e le carceri, le gabbie e le frontiere. A quel punto, con il seno nudo e le barbe dipinte, ballano sulla canzone “It’s a Man’s World” di James Brown.
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Il burlesque e lo spogliarello sono forme di intrattenimento storicamente più popolari tra il pubblico maschile eterosessuale, ma negli ultimi anni sempre più le donne e le persone di tutti i sessi hanno scelto il burlesque come modo per raggiungere una maggiore espressione di sé. Secondo gli artisti e gli appassionati di burlesque, spettacoli come brASS Burlesque sono un modo creativo e potente per respingere l’oppressione patriarcale e rivendicare la narrazione che circonda i corpi delle donne. C’è anche, però, chi si trova in disaccordo e sostiene che, indipendentemente dal contesto, delle donne che si spogliano su un palco rappresenteranno sempre una perpetuazione dell’oggettificazione sessuale delle donne nella società. n dibattito emblematico di una tendenza più ampia nel femminismo attuale, che ha visto il revival della politica del sesso, e che coinvolge anche il movimento #MeToo. Ad esempio, Andrea Dworkin, una femminista radicale anti-pornografia quasi dimenticata, morta nel 2005 per una condizione cardiaca, è stata riscoperta come un’icona, e la sua insistenza sul rivendicare la proprietà delle donne sui loro corpi sta acquistando nuova importanza. Allo stesso modo, negli ultimi anni, il lavoro della performer femminista Carolee Schneemann, morta nel marzo 2019 di cancro al seno ed ampiamente ignorata dal mondo dell’arte mainstream per decenni, ha ottenuto nuovi riconoscimenti.
Con l’eccezione di un periodo tra gli anni ’70 e ’90, quando è svanito nel mondo underground o in larga parte assorbito dallo spogliarello tradizionale, il burlesque è sempre stato un luogo di lotta contro la femminilità convenzionale. Il burlesque è arrivato negli Stati Uniti in un momento e in un posto ben precisi: a New York City, nel 1868, con Lydia Thompson e la sua troupe, le British Blondes. Le loro esibizioni presentavano le stesse attrattive che attirano il pubblico di oggi: il rifiuto della femminilità convenzionale e una ridefinizione drastica di cosa siano la donna e la bellezza. I loro spettacoli, di grande successo, presentavano forme d’arte classica reimmaginate come sketch satirici eseguiti da donne formose in abiti succinti. Era una forma di intrattenimento della classe operaia, che prendeva in giro gli standard borghesi e sfidava la nozione vittoriana della donna ideale come domestica, magra e innocente. Le British Blondes scioccavano e attiravano la folla facendo esattamente il contrario, mostrando i loro corpi voluttuosi sul palco, spiritose e colte, vestendosi da uomini e in generale facendo tutto ciò che le donne non avrebbero dovuto fare.
“Vestendosi con abbigliamento fetish, travestendosi da uomini o con gonne troppo corte, hanno ridefinito i confini di cosa fosse la bellezza, cosa potevano essere le donne,” ci ha detto Jacki Wilson in una recente intervista telefonica. Wilson è una borsista di spettacolo e cultura presso l’Università di Leeds, dove tiene corsi incentrati sul femminismo e sulla performance ed è anche autrice di The Happy Stripper, uno dei pochi libri accademici sul burlesque. “C’era la sensazione che fosse una sorta di banco di prova per cos’è la sessualità e come le donne potevano mostrare se stesse e mostrare una sorta di fluidità di genere. Quindi, sin dall’inizio, credo, riguardava cosa fosse la categoria donna.”
Un rinnovato interesse per il femminismo e una rinascita della discussione su ciò che una donna può fare con il proprio corpo, conforme o meno agli standard di bellezza convenzionali, sta portando il burlesque fuori dal “demi-monde,” come lo definisce Willson, e di nuovo sotto i riflettori. C’è un’ondata di burlesque politicizzato e radicale, che abbraccia questioni care al femminismo contemporaneo detto della quarta ondata, come l’inclusività e la proprietà del corpo femminile. “Nel burlesque [oggi] può partecipare una donna di 65 o 70 anni, una donna tatuata, può includere donne grasse”, ha detto Wilson. “L’altra donna [rispetto] a ciò che è idealizzato nel mainstream. L’altro, sia questo nero, disabile, sia troppo alto, troppo basso. Anche l’idealizzazione più assoluta, ma andando forse un po’ troppo oltre, come ad esempio Dita Von Teese.”
Per Dawn Crandell, la performance politicizzata è l’essenza di brASS Burlesque. “Il pubblico si emoziona vedendo cose diverse,” ci ha detto durante un’intervista, sorseggiando un tè sul divano del Bell’s Coffee and Design Café di Soho. “Non vuoi vedere sette performance che sono tipo, ok, tette, yay, ok, hai appena visto sette paia di tette. Cioè, cos’altro proponi?”
Crandell, che ha 44 anni e si descrive come una “mamma pensatrice radicale,” è arrivata al burlesque dopo un lungo percorso. Ha iniziato a esibirsi come spogliarellista quando aveva 18 anni ed era una studentessa al Sarah Lawrence, un piccolo college orientato alle arti a nord di New York, perché aveva bisogno di soldi, perché era una cosa punk rock da fare e perché le piaceva esibirsi. Ma il contorno che accompagna lo spogliarello tradizionale, convincere gli uomini a offrirti da bere e darti dei soldi, non era il suo forte. “Non sono mai stata veramente brava a farlo”, ha detto. “Volevo solo esibirmi, scegliere le mie canzoni, i miei costumi. Volevo solo ballare. E così anche quando facevo la spogliarellista negli strip-club, ho capito [in seguito] che anche se non avevo idea di cosa fosse il burlesque, probabilmente lo stavo facendo.”
Mentre stava conseguendo un master in Interdisciplinary Arts presso il Goddard College con un focus sugli artisti neri radicali del ventesimo secolo, ha iniziato a frequentare ed apprezzare spettacoli di burlesque a New York. “Ero tipo, wow, questo è tutto il bello dello spogliarello senza le parti frustranti”, ha detto. “Sono tutte le cose che amo, i costumi, la musicalità, il raccontare storie con il tuo corpo, senza dover intortare e infastidire i clienti e tutti gli altri aspetti negativi di uno strip-club — certo però non guadagnando altrettanto. “Ciò che l’ha colpita è stata la mancanza di diversità. “In due anni e mezzo, ho visto una sola donna di colore sul palco. E io ero tipo, siamo a New York, come mai? Sto frequentando i posti sbagliati? Le persone che mi assomigliano non vengono ingaggiate?” Il risultato è stato una troupe di sole donne di colore, Brown Girls Burlesque, che ha co-fondato nel 2007 con Maya Haynes-Warren, seguita nel 2015 da brASS Burlesque, che ha co-fondato con Una e Michi Osato, un trio che si descrive come “nero, queer e femme.”
L’idea alla base di brASS Burlesque è creare uno spazio che accolga tutti i generi e le persone di colore, e organizzare spettacoli che è difficile portare su palcoscenici più tradizionali del burlesque: o perché sono esplicitamente politici, o perché gli artisti sono persone di colore o queer o trans. Crandell descrive il suo pubblico come principalmente “persone queer di colore e loro alleati” che si diverte a guardare spettacoli di burlesque così tanto perché assiste a qualcosa di raro nella [nostra] società contemporanea.
“Il burlesque che mi piace non è un intrattenimento passivo, non è tipo — sono carina e sono qui,” ha detto. “Il burlesque a cui sono interessata sta dicendo qualcosa, ti sta sfidando, tipo sarò divertente e sexy o sarò davvero strana e sexy.”
“Non c’è un solo tipo di sexy, e penso che sia una cosa potente vedere le persone vivere e dimostrare qualunque cosa significhi sexy per loro.”
Nel loro sforzo di creare un’immagine di un aspetto sessuale della donna diverso sia dagli ideali di bellezza convenzionali che dai cliché tradizionali delle pornostar, gli spettacoli di burlesque come brASS Burlesque hanno molto in comune con le femministe degli anni ’60 e ’70 che cercavano di demistificare il sesso e de-oggettificare il corpo femminile. Una performer femminista riscoperta di recente è Carolee Schneeman, il cui lavoro è stato esposto in una retrospettiva lo scorso anno al MoMA PS1. Nel 1965, Schneeman, fingendosi “immagine e creatrice di immagini”, ha girato il film Fuses, in cui si mostra durante rapporti sessuali con il marito, mostrando così il proprio sguardo erotico femminile e allo stesso tempo essendo oggetto dello sguardo erotico del pubblico.
Non sorprende che tali attività siano state molto controverse, e abbiano contribuito ad alimentare una divisione tra quello che era conosciuto come femminismo sex-positive e la sua controparte, il femminismo anti-pornografia. Per riassumere in poche parole un dibattito complesso: le femministe sex-positive vedevano queste manifestazioni di sessualità femminile come un modo che permetteva alle donne di riprendere il controllo dei loro corpi e della narrazione sessuale; al contrario, le femministe anti-pornografia lo vedevano come una perpetuazione impotente di un sistema patriarcale e una continuazione — piuttosto che uno stop — dell’oggettivazione sessuale della donna nella società.
Questo dibattito, venuto alla ribalta nel 1982, in una conferenza sulla sessualità tenuta dal Barnard College, prosegue e coinvolge il femminismo ancora oggi. Dopotutto, c’è una contraddizione interna negli spettacoli che si prefiggono di dare potere alle donne, ma includono go-go dancer che chiedono a estranei di mettere soldi nelle loro calze a rete.
Il National Center against Sexual Exploitation ha ereditato alcune delle battaglie combattute dal movimento anti-pornografia durante le cosiddette “sex wars.” In una recente intervista telefonica, la psicoterapeuta Mary Anne Layden, direttrice del Sexual Trauma and Psychopathology Program presso l’Università della Pennsylvania, ha dichiarato che, a suo avviso, tutte le performace che utilizzano il corpo di una donna per eccitare sessualmente un pubblico contribuiscono a una crisi di violenza sessuale contro le donne.
“Nella nostra cultura la violenza sessuale ha raggiunto livelli giganteschi, come uno tsunami,” ha detto. “Cosa c’è al centro di tutto questo? La convinzione che lo scopo esistenziale del corpo delle donne sia quello di eccitare sessualmente gli uomini.” A suo avviso, questa convinzione alimenta tutta la violenza contro le donne, compresi lo stupro e il traffico sessuale, e le donne che si spogliano sul palco, indipendentemente dall’atmosfera del locale o dal messaggio dietro lo spettacolo, contribuiscono alla convinzione che i corpi delle donne esistano esclusivamente per l’intrattenimento sessuale maschile. “Vorrebbero inviare un messaggio diverso”, ha detto. “Ma se il pubblico sta ricevendo il messaggio che il corpo è il punto centrale dell’esistenza della donna, non è un esito positivo. Può infatti essere un messaggio a supporto al sessismo, della violenza sessuale, può asserire che il talento delle donne si riduce al loro seno e al loro sedere.”
Ogni anno il National Center against Sexual Exploitation pubblica una Dirty Dozen List, in cui denuncia le organizzazioni che promuovono lo sfruttamento sessuale. La versione 2019 include Amazon, Netflix e l’intero stato del Nevada, dove la prostituzione è legale. Ma per Lynn Comella, professoressa associata di gender and sexuality all’Università del Nevada e autrice Vibrator Nation: How Feminist Sex-Toy Stores Changed the Business of Pleasure, l’ideologia dietro questa lista vede tutto il sesso come qualcosa di intrinsecamente pericoloso. “Molte persone agiscono partendo da una posizione di panico, paura e incomprensione riguardo sesso e sessualità,” ci ha detto in un’intervista telefonica, piuttosto che vedere che “la sessualità femminile è sia piacevole che con qualche pericolo.” Secondo lei, cose come lo spogliarello burlesque, la pornografia femminista o i negozi femministi di sex toys non negano la realtà della violenza sessuale. Piuttosto, sono “azioni culturali” attraverso i quali le donne cercano di creare un tipo diverso di rappresentazione sessuale.
Michi Osato durante una performance (foto
d Eleonore Voisard @eleonore_voisard)
Uno degli atti di Compost Bin! di brASS Burlesque consiste in Michi Osato, il cui nome d’arte è Sister Selva, mentre indossa un aderente abito dorato e due ordinate trecce nere. Durante lo spettacolo, si toglie il vestito, rivela una barba finta dipinta e fa uno spogliarello al contrario che la trasforma in un uomo vestito stile hip-hop, completo di cappellino da baseball. Così vestita, Sister Selva si lancia in una routine di danza hip hop molto mascolina e sessualmente allusiva. Individua una ragazza tra la folla — una collega inserita nel pubblico che si finge presa alla sprovvista — e parte ad eseguire una seducente lap dance. Ma prima di toccarla, o fare qualcosa di sessuale e potenzialmente indesiderato, fa cenno al deejay di interrompere la musica. Il conduttore, Don DickRealis, si precipita con un microfono. “Dai il tuo consenso?” chiede alla ragazza. La ragazza dice di sì. La lap dance riprende. Poi, prima che la performance si trasformi in qualcosa di simile a un rapporto esplicito, Sister Selva interrompe di nuovo la musica. “Dai il tuo consenso?” Ripete Don DickRealis. La risposta è di nuovo sì. L’azione viene ripetuta tre o quattro volte, con la musica che si interrompe ogni 30 secondi, finché la ragazza non grida un impaziente ed entusiasta “Fuck yeah!” e Sister Selva mette fine a tutto simulando la masturbazione e lanciando glitter su tutto il palco come simbolo della sua eiaculazione.
Il consenso entusiasta è una questione cara al movimento #MeToo e alle femministe più contemporanee della quarta ondata. Allora, qual è la loro posizione in questo dibattito? Stanno dalla parte anti-pornografia o da quella sex-positive? O stanno scegliendo punti validi da entrambe le parti e li stanno mettendo insieme?
Judith Levine, sostenitrice del lato sex-positive e autrice di Harmful to Minors: The Perils of Protecting Children from Sex, è preoccupata per la forza del movimento anti-pornografia e il suo effetto sui giovani. “Non miglioriamo il sesso solo proteggendoci dal pericolo,” ha detto in una recente intervista. “Il pericolo del sesso è in prima linea in questo momento, l’idea che il sesso riguardi prima di tutto la protezione dei propri limiti, e una delle ragioni è che negli Stati Uniti ci sono stati 40 anni di istruzione votata esclusivamente sull’astinenza, che insegna ai bambini che il sesso è solo dannoso e spaventoso.”
Nona Willis Aronowitz è una giornalista che ha scritto molto sul femminismo contemporaneo e sul movimento #MeToo, incluso un articolo sul New York Times che sottolinea che in mezzo a tutto lo sdegno contro gli uomini cattivi, #MeToo potrebbe stare perdendo una rara opportunità per migliorare il sesso. Aronowitz vede il femminismo pro-sesso come un passo avanti. “Alla fine, dopo la conferenza di Barnard, le femministe che erano una completamente anti-sesso hanno vinto la conversazione per decenni,” ha detto. “Ma da allora, l’anti-pornografia è passata di moda. Il concetto di sì significa sì, di consenso affermativo, è davvero pro-sesso.”
Detto questo, il movimento #MeToo ha dato una nuova spinta alla rabbia delle donne contro gli uomini che ha portato alla riabilitazione inaspettata di figure di spicco del movimento anti-pornografia del passato, in particolare Andrea Dworkin.
Come ha scritto la vincitrice del Premio Pulitzer Michelle Goldberg in un editoriale del febbraio 2019 per il New York Times, fino a pochi anni fa Dworkin era vista principalmente come una figura negativa. In realtà non ha mai detto “tutto il sesso è stupro,” una citazione che le viene spesso attribuita, ma ci si è avvicinata, come quando ha dichiarato che il sesso eterosessuale è “l’espressione pura, sterile e formale del disprezzo degli uomini per le donne.” Ma ora, un recente articolo su The New York Review of Books la descrive come “giustamente arrabbiata;” la giornalista Rebecca Traister la cita come una delle ispirazioni per il suo libro, Good and Mad. E una spilla con la sua faccia e lo slogan “resist the pricks” [dove prick sta sia per slang di pene che stronzo ndt], è venduta online per $12 come parte di una collezione in onore di donne importanti, tra cui la rapper americana Remy Ma, la ballerina e agente segreto Mata Hari, e Shirley Chisholm, la prima donna di colore ad essere eletta al Congresso.
Lorna Bracewell, politologa al Flagler College in Florida che si concentra sul femminismo e sul pensiero politico contemporaneo, vede questo sviluppo come parte di una generale ri-radicalizzazione del pensiero femminista. Entrambe le parti, nelle sex war femministe avevano i loro lati positivi, ha detto in un’intervista telefonica, ed erano coinvolte in un’azione già di per sè rivoluzionaria riconoscendo che “uno dei modi in cui viene esercitato il gender power è il sesso.” A suo avviso, se il movimento #MeToo sia più orientato all’anti-pornografia o al lato sex-positive del dibattito non è importante. “Il femminismo sta finalmente tornando ad un discorso radicale come alle origini, quando aveva dato inizio alla sex war, ma da entrambe le parti,” ha detto, “e nel momento #MeToo, c’è [di nuovo] uno sforzo radicale per rivoluzionare il sesso come istituzione politica.”
Con la loro irriverenza e il glitter, la loro narrazione gender bending e i loro corpi nudi, gli spettacoli di brASS Burlesque stanno davvero facendo la loro parte per cercare di rivoluzionare il sesso come istituzione politica. Il compito potrebbe essere troppo gravoso. Ma stanno contribuendo a cambiare l’idea che solo certi corpi possano essere considerati sexy e ammirati. E questo fa parte della rivoluzione. Per molte persone che negli ultimi anni hanno intrapreso il burlesque, l’attrattiva deriva dalla libertà di essere sexy, nudi e ironici anche con corpi tradizionalmente emarginati dalla società, perché troppo grandi, o troppo scuri, o gender non-conforming.
Cathleen Parra, ad esempio, ha iniziato a fare burlesque perché ha visto una Ted Talk di Lillian Bustle sullla sex-positivity mentre lavorava come fotografa concentrandosi sull empowerment attraverso immagini di corpi di donne. Ha deciso che avrebbe dovuto provarlo subito e si è iscritta alla New York School of Burlesque. Ora fa parte della troupe plus size di burlesque Sister Bear Burlesque e occasionalmente si esibisce con brAss Burlesque. Il suo nome d’arte è Regal Mortis, “la ragazza che ti renderà rigido”. La sua esibizione di Burlesque è intitolata Man-Eater, e la vede indossare un grembiule a pois e masticare parti umane sanguinanti pescate da una fondina dove ha mescolato un improbabile stufato di fagioli e vino rosso. Ma l’atto Man-Eater non è il suo preferito: è quello dal titolo “Smooth” ed è ispirato alla sua esperienza di feticizzazione in quanto donna latina. Durante lo spettacolo sale sul palco ballando sulla hit di Carlos Santana “Smooth” e all’inizio l’atto sembra un classico spogliarello burlesque. Ma poi, con ogni capo di abbigliamento rimosso, rivela una ferita. “Mi tolgo un guanto e all’improvviso esce un osso. Mi tolgo il corsetto e la mia cassa toracica è scoperta. Rassicuro costantemente il pubblico tipo, va bene, no, davvero, tutto ok posso continuare. Fino alla fine, quando dico, beh, mi sono strappata via tutta la carne. Immagino che dovrò farci l’abitudine.”
Traduzione dall’inglese di Erica Farina
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