La fase 2 è territorio inesplorato per la scienza e per la politica, ma dopo settimane di crisi la completa impreparazione dei governi europei è inaccettabile.
Uno dei fattori principali nell’aver scatenato la crisi drammatica di queste settimane è stata l’impreparazione dei governi ad affrontare una pandemia come quella di Covid-19. La cattiva organizzazione delle risorse, quando non si tratta di veri e propri espliciti casi di inazione politica, sono stati determinanti nell’aver aggravato una crisi che forse non poteva essere impedita ma poteva certamente essere gestita meglio.
Settimane dopo lo scoppio dell’emergenza, la “fase 2” costituisce per i governi europei l’occasione per dimostrare che la situazione è cambiata. Ecco perché la conferenza stampa di Conte dell’altro ieri è stato particolarmente demoralizzante, dedicando più tempo alla serie A che a qualsiasi piano per il contact tracing e per vere misure per mettere in sicurezza i lavoratori che sono costretti a tornare nei propri uffici, negozi e cantieri. Dopo l’hype dei primi giorni, invece, l’app Immuni di Bending Spoons è completamente sparita: la politica per ora sembra essersene completamente disinteressata.
La mancanza di nuovi dettagli sull’app di contact tracing è stata criticata sia da Beppe Sala, il sindaco di Milano, che da Vittorio Colao, il capo della task force per la “fase 2.” Andrea Zitelli su Valigia Blu ieri spiegava come l’unica forma di consenso scientifico sulla gestione di questa fase prediliga un approccio “euristico,” in cui i governi dovranno allentare le misure poco alla volta, rimanendo pronti a tornare indietro in caso di nuovo aumento dei casi. Su un’altra cosa la comunità scientifica è universalmente concorde: la necessità di procedere con i piedi di piombo, perché il virus ci mette molto meno a diffondersi che a ritirarsi.
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Gran parte delle pressioni che arrivano sui governi europei sono però di senso opposto: bisogna aprire tutto e anche in fretta. Nonostante la strage delle settimane scorse, le richieste di dare la precedenza all’economia non si sono spente, anzi. In questo senso colpisce particolarmente l’intervista di Wolfgang Schäuble al Der Tagesspiegel di domenica. Intervistato da Robert Birnbaum e Georg Ismar, il presidente del Bundestag è stato tranciante: “Quando sento dire che proteggere le vite dovrebbe venire prima di qualsiasi altra cosa, non sono convinto sia assolutamente vero.” Schäuble specifica che è necessario “pesare gli effetti economici, sociali, e psicologici” — una affermazione vera, ma che pare soprattutto una risposta a Merkel. La settimana scorsa, la cancelliera aveva redarguito i governi regionali tedeschi, avvertendoli che stavano sollevando le misure di clausura troppo in fretta. In Germania si sta riproducendo la contrapposizione politica che abbiamo visto con particolare ferocia anche negli Stati Uniti: i partiti progressisti concentrati su misure per permettere alle persone di rimanere a casa e non ammalarsi, e l’estrema destra che rivendica la libertà di tenere aperto tutto e uscire.
Uno dei fronti su cui i governi europei sono più in difficoltà è quello del contact tracing. Le autorità tedesche, ad esempio, avevano nelle settimane scorse insistito sulla necessità di centralizzare l’infrastruttura dietro la propria app di tracciamento, rifiutando di usare la piattaforma di Apple e Google, che prevede un modello decentralizzato. L’altro ieri il paese ha annunciato però marcia indietro. Anche la Francia si sta scontrando con le due multinazionali statunitensi — in particolare con Apple — per “una questione di sovranità sanitaria e tecnologica,” una frase detta dal segretario di stato al settore digitale di Macron, Cédric O, non da uno sgherro di Le Pen. La Francia vorrebbe rendere disponibile l’app l’11 maggio, quando nel paese inizierà la “fase 2,” ma è di un obiettivo difficilmente raggiungibile, per stessa ammissione del segretario di stato. I prossimi dieci giorni per la Francia saranno un momento chiave della gestione della crisi: secondo un sondaggio di YouGov / Le Huff Post meno della metà della popolazione — il 43% — è ancora a favore delle misure di quarantena.
È facile invidiare le difficoltà di Germania e Francia. Mostrano infatti, in qualche modo, che si stanno facendo passi avanti sui tentativi da parte dello stato di gestire la “fase 2.” Anche nel Regno Unito, il cui governo è stato tra i meno adeguati a gestire la pandemia e secondo cui è ancora troppo presto per fissare date per una “nuova normalità,” il discorso politico è più avanzato che nel nostro paese. Il governo Johnson è stato fiora più preciso nel dare dettagli su cosa serve per ripartire. La settimana scorsa il segretario di stato alla Sanità Hancock ha dichiarato che sarà necessario assumere 18 mila persone come investigatori sanitari nell’ambito del progetto per il contact tracing del paese, perché, come abbiamo già detto, fare un’app non basta.
Pretendere dalla politica risposte come se questa fosse una “qualsiasi altra” crisi economica è irragionevole. Quello che invece sarebbe opportuno è una gestione più concentrata sulle cose, per così dire, fattibili: cosa si può fare per aumentare il numero di tamponi? Quali misure è necessario pretendere dai datori di lavoro se si riapre tutto? Ieri Andrea Crisanti, il microbiologo che ha gestito la risposta veneta alla crisi, in un’intervista a Luca Fraioli ha detto che l’ondata di riaperture non è nemmeno dettata da ragioni economiche ma da “spinte emotive e interessi di parte.” Secondo Crisanti, come in Veneto, servono per tutto il paese tamponi a tappeto molto prima di una app di contact tracing.
Aumentare drasticamente il numero di tamponi e assumere investigatori sanitari sono considerate in tutto il mondo le due misure strettamente necessarie per garantire una fase di riapertura in una benché minima sicurezza. In Italia nelle settimane scorse si è provato a sostituirle il sogno che bastasse farsi regalare una bella app per risolvere il problema. Ora che la “fase 2” sta per arrivare davvero, ci restano solo retorica patriottica che, come è noto, nuoce gravemente alla salute.
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