Quello di Salvini è odio razziale, non “una provocazione”
Andare sotto casa di una persona con la scorta armata ad accusarlo di reati significa fare squadrismo.
in copertina, grab del video di La7, mentre si cerca di nascondere il nome della famiglia tunisina nominata da Salvini
Andare sotto casa di una persona con la scorta armata ad accusarlo di reati significa fare squadrismo.
Se per vostra disgrazia vivete in Italia e siete connessi a internet lo sapete già, e forse vi è pure toccato vedere il video: Matteo Salvini si è fatto riprendere mentre faceva un giro nella periferia di Bologna e citofonava in casa di alcune famiglie non italiane a quanto pare “segnalate da un residente.”
Fortunatamente il paese non ha il cervello ancora completamente fritto, e il siparietto è stato contestato da un gruppo di cittadini. Nel video, dopo che la comunicazione viene chiusa la prima volta al citofono, Salvini si gira verso il presupposto testimone, e chiede, sogghignando, “È questo qua? È tunisino?”
L’azione è di una gravità difficile da descrivere in poche righe. Dicendo senza batter ciglio il cognome ai microfoni delle televisioni — qui un taglio di La7 del momento, che il canale ha correttamente bippato — il comportamento di Salvini non è solo minaccioso, ma anche diffamatorio. Riassumendo in pochi secondi il pilastro ideologico portante della sua Lega — la sovrapposizione tra i temi della sicurezza e la questione migratoria — il video costituisce pure istigazione all’odio, collegando direttamente la questione dello spaccio nella città all’“essere tunisino,” e alla specifica famiglia tunisina ripresa nel video.
Ciononostante, le leggi italiane puniscono solo minacce o diffamazioni molto esplicite: il reato di “incitamento all’odio” è infatti molto difficile da provare, e infatti c’è da scommettere che Salvini la passerà liscia anche questa volta — a meno che non decida di denunciarsi ancora tramite un complesso sistema di specchi e leve.
La teoria del complotto che le persone straniere siano maggiormente propense al crimine è una pietra angolare del pensiero razzista da sempre, e negli ultimi anni politica e stampa di estrema destra hanno più volte cercato di manipolare i dati per ingannare gli elettori e il pubblico. Il dato che più si sente ripetuto da parte della destra è l’aumento del numero di immigrati accusati di reato: un dato completamente privo di senso, perché ignora le dimensioni del gruppo di riferimento. Ovvero, certo, il numero di immigrati imputati sono aumentati, ma questo è perché è aumentata la popolazione di immigrati. Contestualizzando il numero di immigrati imputati di un reato sulla crescita della popolazione di immigrati, ad esempio, si ottiene un dato di senso diametralmente opposto: che l’incidenza di persone che compiono reati è in diminuzione.
Se Matteo Salvini fosse davvero interessato, per qualche ragione, a occuparsi specificamente della criminalità tra i migranti, le sue politiche, prima che si autosilurasse, sarebbero state diametralmente opposte. Da anni studi confermano che la variabile più influente per limitare questo tipo di casi sia legalizzare il soggiorno dei migranti. Questo lo dice la Bocconi, non esattamente un’istituzione legata a movimenti no border.
Al contrario dei falsi miti razzisti, c’è un gruppo di persone che nella cronaca sono legate a doppio filo con lo spaccio che ci sembra corretto ricordare — sono, ovviamente, i leghisti. In prima linea c’è Matteo Salvini, che lo scorso 16 dicembre 2018, in pieno delirio di onnipotenza, si vantava di essere “indagato tra gli indagati” in seguito allo scandalo della foto con Luca Lucci, indagato con l’accusa di vendita e spaccio di droga, in un’operazione in cui vennero sequestrati 600 chili di hashish, marijuana e cocaina. Ma non dimentichiamo il caso di Bartolomeo Falco, delegato della Lega nel coordinamento campano e finito in carcere per cocaina. E nemmeno quello di Maurizio Agostini, consigliere circoscrizionale di Mattarello (Trento), arrestato a bordo di una vettura con tre etti di cocaina purissima divisa in confezioni dal valore di 60 mila euro l’uno.
Per finire, è giusto anche chiedersi: ma vale la pena di dare questa copertura mediatica a Matteo Salvini? Purtroppo, è ormai impossibile non parlare di quanto fa l’ex ministro dell’Interno. Lo strapotere mediatico di cui Salvini gode oggi, però, è in buona misura anche colpa della stampa, che è sempre stata pronta non solo a coprire e rilanciare ogni spunto e iniziativa grotteschi del segretario leghista, ma non è riuscita a inquadrarne, in molti casi, la gravità — ed è questo il principale problema della stampa con Salvini, al momento.
Quanto successo ieri infatti non è “un siparietto” o “una scenetta,” ma — ripetiamo — una vera e propria istigazione sottotraccia all’odio razziale. Di più: è una legittimazione semi-istituzionale del razzismo, oltre che una volgare esibizione di potere. Pochi o nessuno, nella stampa italiana, hanno sottolineato questo aspetto, così come pochi o nessuno si sono permessi di alzare il dito e sostenere che tenere dozzine di migranti in mezzo al mare per giorni per un capriccio potesse essere sequestro di persona.
Ed è questa una delle eredità più pesanti che il salvinismo lascerà all’Italia.