L’ennesima vittima di un proiettile vagante sparato dalla polizia ha scatenato proteste in tutto il Brasile, mentre il governo di Bolsonaro difende la propria politica di “tolleranza zero” nei quartieri più poveri
Nella notte di venerdì 20 settembre, a Rio de Janeiro, una bambina di 8 anni è stata uccisa da un proiettile vagante sparato dalla polizia. La bambina, di nome Ágatha Vitória Sales Félix, era a bordo di un furgone insieme alla madre, nei pressi della favela Alemão, zona nord di Rio, quando è stata raggiunta alla schiena da un proiettile: non è morta sul colpo, ma soltanto dopo essere stata trasportata in ospedale.
Secondo la polizia, la sparatoria sarebbe avvenuta in risposta a un attacco, ma questa dichiarazione è stata smentita dagli abitanti di Alemão presenti sulla scena. Lo zio della bambina ha dichiarato ai media locali, infatti, che la polizia avrebbe sparato a un motociclista disarmato che non si era fermato al loro segnale. Non ci sarebbe stato uno scontro a fuoco e gli unici proiettili sarebbero stati sparati dagli agenti di polizia.
Sulla vicenda è stata aperta un’indagine, ma intanto sono scoppiate grandi proteste a Rio e in tutto il Brasile: è la quinta volta che un minorenne viene ucciso dalla polizia soltanto quest’anno. Secondo gli abitanti di Alemão e gran parte dell’opinione pubblica, la morte della piccola Ágatha sarebbe da imputare alle politiche repressive messe in atto negli ultimi 9 mesi dal governatore dello Stato di Rio de Janeiro Wilson Witzel, in carica dallo scorso gennaio. Witzel, vicino al presidente brasiliano di estrema destra Jair Bolsonaro, è stato eletto proprio grazie alla promessa di estirpare la criminalità da Rio, anche a costo di ricorrere alla violenza.
Sembra quasi una macabra profezia di morte il titolo di un articolo del Guardian di due anni fa sulla situazione nelle favelas di Rio: “Abbiamo sempre paura a uscire di casa, c’è il rischio di essere colpiti da un proiettile vagante” – esattamente quanto successo ad Ágatha Felix.
Dopo la propria elezione, Witzel aveva espresso posizioni molto pericolose in termini di sicurezza interna, promettendo di “massacrare” i criminali utilizzando dei cecchini a bordo di elicotteri per sparare a chiunque fosse in possesso di un’arma da fuoco, anche se in quel momento non la stava usando, o sostenendo che anche Rio ha bisogno della propria Guantanamo per liberare la società dai criminali, definiti “terroristi”.
L’attuale gestione della sicurezza pubblica è uno degli aspetti più controversi della politica di Bolsonaro. L’azione di tiratori scelti impiegati per abbattere “sospetti” criminali nelle favelas in poco tempo da slogan elettorale è diventata una realtà compiuta. Mentre Witzel si compiace degli effetti devastanti provocati da questa deriva autoritaria e militarista, il terrore lungo le strade di Rio de Janeiro sta assumendo un volto dall’aspetto sempre più istituzionalizzato.
Per molti degli elettori che hanno votato lo scorso anno, la criminalità era il motivo principale per cui votare candidati dalla linea politica molto dura come Bolsonaro e Witzel. Secondo quest’ultimo, la repressione avrebbe fatto scendere del 21% il tasso di omicidi nella città, ma da gennaio ad agosto gli omicidi da parte della polizia, stando ai dati dell’ISP (Istituto Sicurezza Pubblica) nello stato di Rio sono stati 1.249, il 16% in più rispetto al 2018. Dati preoccupanti, se prendiamo in considerazione il trend generale degli ultimi anni, che mostra come il numero di morti per anno dovuto agli interventi delle forze dell’ordine sia in continua crescita: dai 416 del 2013 ai 1534 dello scorso anno il numero è aumentato di quasi 4 volte tanto. Il mese di agosto di quest’anno (l’ultimo mese disponibile) è andato leggermente meglio rispetto al 2018, ma il mese di luglio, invece, con 194 morti, registra un aumento del 49% rispetto al luglio precedente, e bisogna tornare indietro al 1998 per incontrare un numero di morti per mese superiore a quello di due mesi fa.
Non c’è da stupirsi: la morte di persone innocenti era già stata messa in conto dal nuovo governo, il quale aveva chiesto scusa in anticipo per quanto sarebbe potuto succedere. Il segretario di stato Cleiton Rodrigues, circa un mese fa — dopo la morte di 6 persone innocenti in 5 giorni di operazioni di polizia — ha affermato infatti che “il governatore e il governo dello Stato piangono profondamente tutte queste morti. Queste e tutte le altre che possono succedere”. In risposta a questa dichiarazione incompatibile con i diritti umani universali, l’Ordine degli avvocati del Brasile (OAB) ha espresso la propria preoccupazione, sostenendo che la politica di sicurezza del governo viene attuata “senza intelligenza e rispetto dei diritti e delle garanzie della popolazione”. “Nessun indicatore di violenza o ‘proposito pacificatore’”, continua l’OAB, “giustifica incursioni poliziesche che disprezzano la vita umana, con un taglio di razza e di classe così evidente”.
Witzel, lunedì 23, ha affermato che la morte di Ágatha è solo un caso isolato, mentre Marcus Vinícius Braga, il segretario della Polizia Civile, ha rincarato la dose dicendo “che la gente non può, in alcun modo, collegare la morte della bambina Ágatha alla politica di sicurezza di Rio de Janeiro.”
Ma la polizia di Rio de Janeiro ha un retaggio di violenza coloniale e di classe difficile da dissipare: fondata agli inizi del XIX secolo per difendere la proprietà e le classi dirigenti dalla gente povera e di colore, ancora oggi la sua funzione fondamentale non sembra cambiata. Il suo simbolo, d’altronde, è composto da un ramo della pianta da zucchero, un ramo della pianta da caffè, due armi e la corona imperiale. Un significato piuttosto esplicito: braccio armato in difesa della proprietà (storicamente rappresentata dai grandi latifondi) e del potere.
tutte le foto via Twitter @RioOnWatch