Il “meccanismo di solidarietà” di Macron non è sufficiente, ma basta per smascherare la propaganda di Salvini

La proposta franco–tedesca rivela che Salvini non può assolutamente permettersi che l’“emergenza” dei migranti sia disinnescata.

Il “meccanismo di solidarietà” di Macron non è sufficiente, ma basta per smascherare la propaganda di Salvini

in copertina, sì, questa è una foto dalla pagina Facebook di Matteo Salvini

La proposta franco–tedesca rivela che Salvini non può assolutamente permettersi che l’“emergenza” dei migranti sia disinnescata.

Lunedì 22 Macron ha annunciato che quattordici paesi dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo per un “meccanismo di solidarietà.” L’obiettivo non è particolarmente ambizioso, e riguarda sostanzialmente alcune linee guida per la ripartizione dei migranti, in modo da evitare gli psicodrammi lunghi settimane ogni volta che una nave si avvicina alle coste italiane o maltesi armata di qualche decina di persone che scappano da guerre, torture, miseria.

“In cambio,” se si vuole vedere il meccanismo dal punto di vista contrattuale con cui il governo di estrema destra italiano sta cercando di inquadrare la proposta, l’accordo chiede a Italia e Malta sostanzialmente di “aprire i porti” per lasciare entrare i migranti, che saranno poi smistati tra i quattordici paesi.

L’annuncio arriva al termine di un vertice a Parigi a cui l’Italia non ha partecipato in segno di protesta per la bocciatura trasversale della proposta avanzata da Roma e La Valletta, che proponeva al contrario un meccanismo europeo per i rimpatri e una “revisione delle regole del search and rescue.”

La risposta di Salvini è stata ovvia quanto caricaturale: “l’Italia ha rialzato la testa, non prende ordini e non fa la dama di compagnia: se Macron vuole discutere di immigrati venga pure a Roma.” Salvini rivendica che il summit di Parigi sia andato male — che può anche essere, di summit finiti in pantomime questo governo è massimo esperto — ma sostanzialmente tace sul fatto che anche lui abbia contribuito a farlo andare male, rifiutandosi di andarci. Dopotutto, ora che non ha più bisogno di scappare dal proprio Russiagate, a cosa serve al ministro andare all’estero a provare a risolvere i problemi che millanta come emergenze?

In realtà l’incontro non è andato malissimo: si sono dichiarate disposte a collaborare al “meccanismo,” oltre a Francia e Germania, Finlandia, Lussemburgo, Portogallo, Lituania, Croazia e Irlanda — siamo certi che tra tutti riusciranno a sopportare la fatica di dividersi trenta o quaranta persone alla volta.

Si tratta comunque di una soluzione parziale e poco entusiasmante — manca di qualsiasi vera soluzione ai campi di concentramento in Libia, e continua a non risolvere i due problemi centrali della gestione di migranti e rifugiati in Europa: lasciare che le persone possano andare dove vogliono, invece di presentare le deportazioni interne come meccanismi umanitari, e offrire percorsi di interazione (non integrazione) per l’inserimento lavorativo e sociale: in altre parole, aprire i confini attraverso canali legali e sicuri di immigrazione.

In qualcosa l’accordo però riesce: manda in completo cortocircuito la retorica anti–migranti di Salvini. Negli ultimi mesi il ministro dell’Interno ha sempre detto tutto e il contrario di tutto, ma alcuni punti fermi sono stati fondamentali e chiarissimi nella sua propaganda:

L’incontro di Parigi costituisce un accordo preliminare, che anticipa quello ufficiale, che dovrebbe essere siglato il prossimo settembre a Malta. Se a settembre il meccanismo fosse ratificato, la posizione dell’Italia diventerà sostanzialmente più complessa a livello retorico.

In realtà, lo è già: l’angolo che vede l’accordo come un’imposizione franco–tedesca è una hit assicurata, ma è già apertamente in conflitto con la retorica dell’Italia abbandonata dall’Europa. Se l’accordo fosse ratificato senza l’Italia, si presenterebbe uno scenario come il sabotaggio della riforma di Dublino dell’anno scorso, ma slow burning, che si ripeta ad ogni nave di Ong da fermare — ogni volta che l’Italia decidesse di mettere in scena il teatrino dei “porti chiusi” non potrebbe più giustificarsi con l’antagonista europeo — che avrebbe al contrario un regolanento più o meno chiaro in materia, trovandosi in una posizione sempre meno difendibile, almeno su internet, dove il consenso nei confronti del vicepremier è già traballante.

Il motivo della posizione muscolare di Salvini in materia è evidente: il numero di migranti che arrivano in Europa è gestibilissimo — lo è sempre stato, ma lo è particolarmente ora che i numeri sono drasticamente calati. Qualsiasi accordo internazionale vorrebbe dire, sostanzialmente, risolvere il problema: non quello umanitario ovviamente, ma disinnescherebbe comunque la retorica emergenziale da panico che al ministro serve per tenere vivi i temi del razzismo nella comunicazione del governo, fondamentale per convogliare consenso anche quando il governo si trova in difficoltà su fronti dove la retorica da dirette su social network non basta.