Cosa abbiamo visto al Kappa FuturFestival 2019

I festival di musica sono pezzi sempre piú importanti della cultura comune europea — ma l’Italia di oggi è disposta a investire in questo tipo di eventi?

Cosa abbiamo visto al Kappa FuturFestival 2019

I festival di musica sono pezzi sempre piú importanti della cultura comune europea — ma l’Italia di oggi è disposta a investire in questo tipo di eventi?

Il comico genovese Beppe Grillo, in una battuta di un suo spettacolo, diceva che ha fatto di più Ryanair per unire l’Europa che non l’Europa stessa. Dopo due giorni al Kappa FuturFestival di Torino — il più grande festival di musica elettronica che abbiamo in Italia, e uno dei più importanti d’Europa — si può dire che anche la musica sta facendo molto per l’integrazione europea, costruendo il luogo di incontro di culture, lingue e sensibilità diverse, strette sotto cassa.

L’ottava edizione del Kappa FuturFestival ha raccolto oltre 60mila presenze provenienti da 100 nazioni diverse. 70 dj da tutto il mondo che si sono esibiti da mezzogiorno a mezzanotte di sabato e domenica sui 4 palchi allestiti in 100 mila metri quadrati del Parco Dora, il polmone verde della città piemontese attraversato dal fiume che dà il nome alla location, una delle più suggestive al mondo. Ce lo confermano Simon e Caroline, una giovane coppia di Marsiglia venuta per la prima volta al festival di Torino perché “Il Kappa è uno dei 5 più belli al mondo.”

Giorgia e i suoi amici vengono da Verona, da 5 anni. Sono una compagnia di amici clubber e vanno insieme alle serate di Ibiza e ai festival. Alex, da Lipsia, un aspirante dj di 19 anni, è venuto per la prima volta in Italia apposta per il festival. Se gli si chiede se ne approfitterà per vedere anche altre città italiane, ti risponde: “Perché? Ci sono altri eventi così?” C’è anche Ruth, una simpatica signora olandese sulla quarantina: ci racconta che partecipa a molti festival in giro per il mondo, è una sua passione, ma in Italia non le era mai capitato di venire a vederne uno. Del FuturFestival ne ha letto sul New York Times qualche anno fa, e ora ha avuto finalmente l’occasione di goderselo.

Per decenni Parco Dora, un’area di 450mila metri quadrati a nord di Torino, è stata la sede di fabbriche come le Ferriere Fiat e la Michelin, che quando hanno chiuso hanno lasciato il luogo degradato e inaccessibile. Grazie alla ristrutturazione del 2004 è diventato un parco per tutti i cittadini, conservando vasche, pilastri d’acciaio e ciminiere che mantengono vivo il ricordo del passato industriale. Dal 2012 è la location del FuturFestival.

Se non conoscete la kermesse organizzata dalla Movement Entertainment probabilmente è perchè la musica elettronica in Italia è ancora considerata alla stregua della cultura rave. Ma non è così. La musica elettronica è da anni il mainstream dei festival musicali, capace di raccogliere migliaia di giovani e meno giovani da tutto il mondo. E il Kappa FuturFestival ne è uno dei migliori esempi.

Basta pensare che DJMag, l’autorevole rivista inglese della club culture internazionale, lo inserisce al 30° posto della sua classifica.

Lo colloca appena al di sotto alcuni giganti come l’inglese Glastonbury, il californiano Coachella, il Tomorrowland in Belgio e il Sònar di Barcellona. Il Piemonte è uno dei punti di riferimento italiani per la EDM: oltre al FuturFestival, a Torino si svolgono anche il Club to Club e il Movement, mentre ad Ivrea organizzano da anni l’Ivreatronic, sotto la guida artistica di Cosmo.

Nei due giorni al Parco Dora, sotto 35 gradi che mettono a dura prova la voglia di scatenarsi sotto cassa, si sono alternate in console le più grandi star internazionali: Carl Cox e Richie Hawtin hanno chiuso rispettivamente il primo e il secondo giorno, regalando al pubblico dei dj set energici e generosi. Tra gli altri, hanno riscosso un grande successo le performance di Amelie Lens, Seth Troxler, Solomun, Jamie Jones, Boris Brejcha, Modelselektor, Nina Kravitz, Ricardo Villalobos, il ‘nostro’ Lollino e anche uno dei più autorevoli ambasciatori della techno music nel mondo, Derrick May. Headliners che riempiono costantemente i club di tutto il mondo, radunando delle vere e proprie tribù di fan.

“Non importa se suoni in un piccolo club o in un’arena con migliaia di persone,” racconta ai giornalisti il britannico Carl Cox, una leggenda vivente della techno music. “Per avere successo come deejay devi prenderti cura di ogni aspetto con cui ti presenti al pubblico, devi anzitutto essere una persona che ama la musica. Io la amo profondamente e credo che il pubblico lo senta.”

Gli organizzatori fanno sapere che il festival ha una ricaduta sul territorio di 15 milioni di euro, impiegando quasi 1000 risorse (il 95% dei quali residenti a Torino e provincia) e collabora con 15 gruppi industriali e 250 fornitori piemontesi. La sostenibilità economica dell’evento è uno degli aspetti più importanti per Maurizio Vitale, la mente che sta dietro a tutto questo: “ Devo molto a ciò che ho imparato dal presidente di BasicNet Marco Boglione, che riuscì a salvare il Maglificio Torinese, dando a me e ai miei fratelli la possibilità di restare in azienda” ha detto Vitale.

Figlio del fondatore del marchio Robe di Kappa, dopo la scomparsa del padre Maurizio Junior, che tutti chiamano Juni, lavora nel reparto marketing dell’azienda, viaggiando per l’Europa. Nel 2006, in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino, insieme all’amico e socio Gigi Mazzoleni, ha una fortunata intuizione: quella di creare il ‘party’ delle Olimpiadi. Evento che riscuote un grande successo e che si rivelerà poi l’embrione del FuturFestival. La filosofia del festival ce la spiega Vitale: “La musica deve rimanere underground ma l’organizzazione deve essere emersa, con patrocini pubblici e bilanci trasparenti”.

Per chi frequenta i festival europei, bisogna riconoscere a Vitale e Mazzoleni di aver saputo replicare efficacemente il format già collaudato all’estero: più palchi per i diversi stili musicali, bar, ristoranti per tutti i gusti e tutte le tasche, acquisti cashless grazie ad una tessera ricaricabile che permette di evitare lunghe code in cassa e di lasciare i contanti a casa, 36 punti ‘docce,’ ovvero dei nebulizzatori di acqua fredda sotto i quali è possibile rinfrescarsi per evitare i colpi di sole, molti bagni chimici (che non sembrano così importanti fino a che non ne senti il bisogno), e un’atmosfera di festa capace di integrare la buona musica con la trasgressione giovanile e la sicurezza.

Alcuni comitati di quartiere nei giorni scorsi hanno protestato per l’occupazione del parco dovuta all’allestimento dell’evento, ma Vitale assicura che il 99% dei residenti è contentissimo del festival, anche grazie agli sforzi che ogni anno vengono fatti per lasciare le aree pulite, per ridurre il volume dai palchi o altri disagi ai cittadini.

Negli anni non è mancata qualche protesta per il flusso di ragazzi che invadono l’area attorno a Parco Dora, talvolta spaventando i residenti con comportamenti molesti dovuti all’eccesso di alcool o di sostanze. Ciononostante, in otto edizioni non si sono ancora verificati episodi che abbiano messo in discussione la realizzazione del festival e gli organizzatori lavorano in sinergia con l’amministrazione comunale, quale che sia, per garantire il massimo decoro e l’incolumità dei partecipanti e dei cittadini.

Vitale ha le idee chiare su come si lavora con le amministrazioni, alle quali non ha mai chiesto aiuti economici, ma un coordinamento puntuale: “Io non chiedo finanziamenti pubblici perché non ne sono capace. Mi interessa molto di più che l’amministrazione condivida intellettualmente il progetto — e così ti aiuta con degli sgravi, con dei servizi, ti agevola nell’attività imprenditoriale.”

Proprio questa estate, un’altra grande azienda del nord, la trevigiana Home Entertainment, ha provato a rubare lo scettro dell’elettronica a Torino, organizzando l’Home Venice Festival a Parco San Giuliano nel weekend successivo al Kappa FuturFestival. La line up, molto convincente, ha subìto però alcune importanti defezioni per cause tecniche, con annesse polemiche e rimborsi. La sfida è rimandata all’anno prossimo. Intanto ci limitiamo a rilevare un dato importante: quando si moltiplica l’offerta, di solito significa che sta crescendo la domanda. Che anche l’Italia si stia avviando verso una nuova e rinnovata stagione di festival musicali contemporanei?

Guardando i numeri, c’è da sperare di sì: uno studio dell’Oxford Economics ha calcolato che 6 milioni e mezzo di persone l’anno frequentano eventi musicali nel Regno Unito, per un guadagno superiore ai 2,5 miliardi di euro.

La Spagna ne ha 450, l’Olanda quasi 700. E anche l’Europa dell’est ha da anni puntato a questo turismo di massa, organizzando eventi come lo Sziget di Budapest e l’Exit in Serbia che, da soli, attirano più di 500 mila persone. Certo, viene il sospetto che nell’Italia sovranista di oggi, tra le priorità del sistema Paese non ci sia quella di incentivare la realizzazione di grandi festival che attirano orde di giovani da tutto il mondo. Ma il successo di questo tipo di eventi non può essere ignorato ancora a lungo, se vogliamo che l’Italia resti al passo degli altri paesi europei. La domanda è: lo vogliamo?