Come liberarsi dei leader e vivere felici

Dopo Renzi, contro Salvini: si può costruire una sinistra plurale, senza leader ingombranti?

Come liberarsi dei leader e vivere felici

Dopo Renzi, contro Salvini: si può costruire una sinistra plurale, senza leader ingombranti?

Titanic è il nuovo libro di Chiara Geloni, edito da PaperFIRST. Con questo libro l’ex vicedirettrice di Europa e direttrice di YouDem, ha voluto analizzare da vicino la stagione di Matteo Renzi. Ne abbiamo chiacchierato con lei.

Con il tuo ultimo libro, che in tv hai definito “un atto d’amore verso la sinistra, un’indicazione da cui ripartire” racconti retroscena di primissima mano. Pensi che sapere come funzionano alcune dinamiche aiuti a non ricadere regolarmente nella fascinazione per il “leader titanico”?

In effetti questo libro l’ho scritto un po’ per amore e un po’ per disperazione. Racconto certamente della responsabilità di Renzi, ma soprattutto di come, da diverso tempo, il nostro paese tenda ad affidarsi a dei leader titanici che non hanno quasi nemmeno più un partito da personalizzare, ormai scomparso dietro di loro. Effettivamente i meccanismi che consolidano e fanno precipitare queste leadership, tendono a ripetersi. Sarei felice se questo libro servisse a smascherare queste dinamiche. La storia che racconto nel libro ha una peculiarità: è la prima volta che una personalizzazione così esasperata avviene a sinistra.

Noti assonanze tra Renzi e chi ci governa oggi?

Una delle caratteristiche del renzismo, dovuta anche al superomismo di questo genere di leadership, al conformismo e alla scomparsa del partito, è la sicurezza di esser destinati a essere sempre vincenti. Espellere da una Commissione Parlamentare i membri del partito in disaccordo con il leader, come avvenne in occasione dell’approvazione dell’Italicum, quando vennero espulsi addirittura ex-segretari come Bersani o esponenti come Cuperlo, è una prassi che allora venne giustificata con frasi come “gli italiani sono con me,” “vogliono una nuova legge elettorale” e “chi si oppone è un gufo rosicone”. Oggi come può il PD scandalizzarsi se all’interno del Movimento 5 Stelle si mortifica la libertà dei parlamentari, espellendo chi non è d’accordo? I precedenti fanno legge, fanno prassi.

Certamente è fondamentale capire cosa è stato.

Il racconto delle ragioni della sconfitta della sinistra, non solo elettorale, sarebbe impossibile senza parlare di Renzi. Lui è stato il dominus assoluto del PD oltre ad esser stato per alcuni anni premier. Non considerarlo protagonista di questa vicenda sarebbe quantomeno una dissociazione dalla realtà. Detto questo non è una biografia di Renzi, ma la storia del naufragio del centrosinistra. Una cosa un po’ più grande, persino di lui.

A proposito di leader titanici: si propongono come i messia, l’ufficio semplificazione affari complessi, ma, come hai detto una volta, “stando sempre dove c’è la luce accesa si perdono di vista i piccoli problemi ed è controproducente”. Secondo te Salvini si avvia verso un indebolimento?

Hanno caratteristiche simili, cercano entrambi il rapporto diretto col popolo. Entrambi disintermediano, non passano per le istituzioni e i partiti, ma mandano uno specifico messaggio all’elettore: sono dalla tua parte, ti difendo io. Questa strategia si rivela rischiosa per la questione delle aspettative deluse. Io credo che però Salvini abbia qualche vantaggio in più nell’attuare questa strategia. Mi sembra che sia più autentico nel suo rivendicare una radice popolare, nel suo parlare al popolo. Sono entrambi due politici di professione, se volessimo usando un’espressione berlusconiana “non hanno mai lavorato in vita loro.” Credo che l’esperienza di Salvini sia una sorta di filo diretto con gli elettori incazzati della Lega e questo lo rende più vicina al popolo. Renzi invece ha alla spalle un percorso più da enfant prodige che non si era mai misurato nel fuoco della battaglia. Del resto il centrosinistra a Firenze non deve sporcarsi così tanto le mani per vincere.

Salvini gioca sulla distinzione tra élite e popolo. Noi contro di loro. La partita è tra amici e nemici del popolo italiano. In maniera diversa, lo faceva anche Renzi.

Questo modello che si sta affermando presume un non riconoscimento del pluralismo. Tutto, anche uno stesso partito è diviso in amici e nemici e chi da gufo diventa obbediente si riscatta. Il traditore è chi rimane fedele alle proprie idee e non obbedisce al capo. Questo tipo di narrazione ha in sé delle idee illiberali e una visione della politica dove si vince o si perde, dove si può essere amici o nemici del capo. Tutto questo ci porta ad un restringimento, ad un avvilimento della nostra democrazia. Senza evocare derive autoritarie, occorre però stare con la guardia alzata rispetto a queste tendenze. La tentazione di farsi piacere questa retorica è forte, motivata a volte da buone ragioni come l’avere una politica più efficiente, veloce, capace di decidere. Queste idee trovano cittadinanza anche a sinistra, sono quelle che hanno legittimato gli atteggiamenti di Renzi. Nel referendum era tutto un ridurre: parlamentari, costi, istituzioni, una camera sola. Quando prendiamo queste decisioni dobbiamo pensare che stiamo impoverendo la nostra democrazia.

Il PD ha perso tanti voti non sapendo più essere di sinistra, ma diventando un ibrido nella speranza di rubare voti alla destra, che però ha già una destra da votare.

Io credo che alla complessità originaria del PD, di per sé un elemento di non facile gestione, si sia aggiunta in questi anni la convinzione renziana che rubare i voti alla destra sia più importante che rappresentare gli elettori di sinistra. La rappresentanza è stata data per scontata in favore dell’aspettativa di uno smottamento dell’elettorato berlusconiano verso il PD. In realtà questo smottamento è andato verso Salvini. Oggi persino parte dei voti dei 5s provenienti da sinistra, va verso Salvini. Continuo a pensare che un partito fondato sui valori che hanno unito l’Italia nel secondo dopoguerra sia un’idea bellissima, ma bisognerebbe cominciare a chiedersi se questo strumento chiamato Partito Democratico resti lo strumento giusto. Se per sopravvivere deve rimanere un contenitore indistinto e non riesce più a rappresentare il proprio elettorato, chiediamoci se serva una riorganizzazione del centrosinistra. Se è così difficile mettere d’accordo tutte le anime del PD, se non attraverso il comando che ha fatto perdere pezzi al partito. Forse in un sistema che si sta evolvendo in un modo plurale, dove bipolarismo e bipartitismo non esistono più, servirebbe una proposta più articolata. Credo che si debba decidere che parte rappresentare e lasciare che altri elettorati siano rappresentati eventualmente in altro modo, senza escludere possibili alleanze.

Recuperare una narrazione che rassicuri sul futuro. Non facile.

Considero un primo passo l’elezione a segretario di Zingaretti. Mi pare che abbia chiara l’esigenza di una leadership più inclusiva, capace di farsi vedere dove ci sono i problemi e non solo i riflettori. Quando ha riaperto il circolo di Casal Bruciato dopo i recenti fatti dicendo che il PD vuole stare dove ci sono difficoltà simili però, non ha chiarito perché quel circolo fu chiuso. Non certo per una fatalità, ma per una decisione politica sbagliata che tra l’altro è ancora in vigore e rientra in un regolamento approvato durante un commissariamento, mai stato abolito, che prevedeva la chiusura e l’accorpamento di moltissimi circoli. Il coraggio il PD deve indirizzarlo là, eliminare qualche timidezza di troppo.

Il PD si è mosso in maniera abbastanza imbarazzante sul tema immigrazione.

Al di là dei singoli atti, il PD non viene percepito come un partito a cui affidarsi. Anche in queste europee, che pure sono andate meglio delle scorse politiche, l’elettorato del PD resta concentrato nei centri dove la gente è benestante. Si è creato questo meccanismo per cui il PD viene votato da chi dice “sto bene e sono pure di sinistra. Anzi, posso permettermelo”. Anche sui migranti la situazione non è semplice. Spesso chi vive in situazioni di reale difficoltà, anche in relazione a questa questione, si sente più rappresentato da Salvini.

Anche perché Salvini fa leva sulla retorica della paura. Succede però che i fatti siano un po’ diversi da come Salvini li vorrebbe. Prendiamo l’esempio di Riace, modello attaccato proprio perché funzionante.

E dove ora ha vinto la Lega. C’è indubbiamente un problema di risposte mancate da parte della sinistra e poi non è chiaro cosa pensi il PD in merito all’immigrazione. A queste europee ha avuto un grande successo Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, senza grandi aiuti da parte del partito e nemmeno troppa visibilità (Bartolo è arrivato primo e secondo, rispettivamente nella circoscrizione Italia Insulare e Italia Centrale con più di 130.000 voti in entrambe ndr). Poi però non è chiaro se il PD sia il partito dei Minniti o dei Bartolo. Il problema, sicuramente complesso, resta aperto. Vorrei che la sinistra si facesse carico di questa proposta, anche suscitando una solidarietà europea che in questi anni è mancata.

Un dato innegabile e problematico è il mancato ricambio generazionale in politica. Renzi ha proposto la rottamazione, ma se ne è fatto travolgere, fallendo. Il problema resta: i giovani devono far parte della vita politica e interessarsene. Recentemente sul tuo blog, hai scritto proprio di questo.

I giovani vanno cercati dove sono, senza pretendere che riempiano le platee delle assemblee o che guardino i talk-show, visto che la tv non è certo un mezzo di cui fanno uso. Bisogna che i politici vadano a trovare i giovani in manifestazioni che li appassionano, come i Fridays For Future, senza pretendere di salire su un palco con il microfono in mano ed essere protagonisti, ma al contrario ascoltandoli. Penso che sia una questione più di contenuto che di forma. Non si tratta tanto di esser bravi sui social, i giovani non hanno bisogno di particolari artifici. Cercano autenticità e non è un caso che due signori abbastanza attempati come Sanders e Corbyn, abbiano raccolto un grande consenso tra i giovani elettori, con proposte che hanno una certa radicalità e profondità. Proposte che appaiono vecchie a chi ha cinquant’anni, ma non ai giovani, essendo in discontinuità con le politiche con cui sono cresciuti. Una proposta ispirata ai valori costituzionali alla solidarietà non appare vecchia ai giovani, anzi.