Il mondo non sta andando verso la parità di genere

Secondo il rapporto Equal Measures sulle condizioni di vita nelle diverse parti del mondo, entro il 2030 nessun paese raggiungerà la piena parità di genere.

Il mondo non sta andando verso la parità di genere

Secondo il rapporto Equal Measures sulle condizioni di vita nelle diverse parti del mondo, entro il 2030 nessun paese raggiungerà la piena parità di genere.

La Bill and Melinda Gates Foundation ha annunciato l’uscita del rapporto di Equal Measures sulle condizioni di vita nelle diverse parti del mondo e le previsioni non sono buone; entro il 2030 nessun paese raggiungerà la piena parità di genere. Ad aver misurato questa situazione è l’SDG Gender Index, studiato da Equal Measures per analizzare lo stato dell’arte della parità di genere in 129 paesi, coprendo circa il 95% della popolazione femminile mondiale. Secondo Melinda Gates, la creazione di questo indice dovrebbe servire come wake-up call al mondo intero, anche agli stati del Nord che hanno raggiunto il punteggio più alto, ma dove ancora c’è molto lavoro da fare.

Il rapporto compara, come detto, i risultati raggiunti in 129 paesi, in un ranking di punti che va da zero a 100, dove cento sta ad indicare il pieno raggiungimento della parità di genere in ogni aspetto. Un paese che raggiunge un punteggio dai 90 in su è considerato molto progredito (il primo paese, la Danimarca, è premiata con l’89.3), mentre dal 59 in giù, un paese viene considerato in grave deficit di parità. Nel rapporto vengono considerati fattori determinanti nella vita quotidiana, come l’accesso per le donne all’home banking, a internet o ad acqua pulita. L’indice di parità ha calcolato che la media mondiale è di 65,7, un risultato piuttosto modesto e da imputare alla situazione di grande disparità sociale tra gli stati.

Da questo rapporto, che mette all’ultimo posto il Chad con un punteggio di 33.4, è chiaro come le condizioni economiche e sociali pesino sul raggiungimento di un’adeguata parità e di una dignitosa condizione di vita delle donne. Volendo fare un discorso più ampio però, non si può ignorare che la situazione sta peggiorando in maniera inesorabile anche in Occidente. Solo quest’anno in quattro stati degli Stati Uniti sono stati approvate leggi che vietano l’aborto oltre le sei settimane dal concepimento, un termine che di fatto limita moltissimo la possibilità di interrompere una gravidanza. Il 15 maggio l’Alabama ha approvato un disegno di legge che vieta l’aborto in tutto lo stato, anche nei casi di stupro e incesto, un divieto quasi totale in qualsiasi fase della gravidanza. Il giorno dopo il Senato del Missouri ha approvato una legge che vieta l’aborto dopo le otto settimane. Dopo qualche giorno ancora, il Senato della Louisiana ha approvato l’introduzione di un emendamento alla Costituzione statale che abolisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.

Peraltro gli aborti negli Stati Uniti non sono affatto andati aumentando, anzi: tra il 2006 e il 2015 il tasso di aborti negli Stati Uniti è diminuito del 26 per cento, raggiungendo il livello più basso mai registrato (i dati sono dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, un importante organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti). Il motivo di questo è calo è nella maggiore accessibilità dei contraccettivi. La riforma sanitaria approvata, non senza controversie, dall’amministrazione del presidente Barack Obama e conosciuta come Obamacare ha anche reso più accessibili alcune coperture contraccettive a lungo termine.

In Italia la situazione non è certo più rosea. Oltre allo svolgersi nel nostro paese di una manifestazione di fatto liberticida come il Congresso delle Famiglie, non si può dire che da sinistra si sia presa una posizione netta contro pericolose regressioni. Sebbene passi avanti come il ddl Cirinnà siano stati compiuti proprio con i dem al governo, c’è tutta una realtà più o meno sottotraccia ma di impatto, sia sulla vita delle cittadine, che sul consenso perduto tra gli elettori di sinistra.

Per fare un esempio, il caso della Certosa di Trisulti, l’abbazia del 1200 nei pressi di Frosinone assegnata alla Dignitatis Humanae di Steve Bannon tramite un bando del 2016 indetto dall’allora ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, evidenzia una certa sommarietà nel dare in concessione un edificio storico ad un’associazione che promuove idee liberticide e si propone di formare dei grotteschi “angeli del cambiamento”. Si potrà obiettare che questo non ha a che vedere con temi come progresso e raggiungimento della parità che però, è inutile negarlo, si confermano o viceversa si distruggono proprio attraverso piccoli passi.

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