Ridere dell’ingenuità di chi chiede all’INPS come ottenere il reddito di cittadinanza se sta lavorando in nero è una riedizione del patriziato romano che dalla tribuna guarda divertito gli schiavi farsi sbranare al circo.
Il caso della giornata riguarda alcune risposte, diventate virali, date dai social media manager della pagina Facebook INPS per la Famiglia, che da giorni si trovano inondat* da lamentele sull’assegnazione del reddito cittadinanza promosso dal governo — e promesso, ormai da anni, dal Movimento 5 Stelle, che ne ha fatto il fulcro del proprio progetto politico e della propria perenne campagna elettorale. L’impiegato di INPS si è messo a rispondere in modo molto sbrigativo o addirittura a “blastare” molti utenti che chiedevano informazioni sul provvedimento. Chi commenta su Facebook in questi giorni è tendenzialmente incazzato o confuso: le istruzioni sulle modalità di richiesta e di assegnazione del famoso reddito, infatti, sono state date in maniera piuttosto fumosa. Era dunque quantomeno prevedibile aspettarsi questo tipo di reazioni, comprensibili per quanto probabilmente inutili, al momento dell’assegnazione del sussidio.
Insomma: come sempre, in preda al disorientamento naturalmente causato da quella gabbia d’acciaio che è la burocrazia italiana, molte cittadine e cittadini si lamentano su internet.
Rabbia e insoddisfazione sono alcune delle espressioni che più spesso usiamo per descrivere e spiegare le reazioni e gli stati emotivi di gran parte della popolazione: si è detto che sono all’origine dell’ascesa dei vari partiti populisti in Europa e in Nord America, del razzismo e del conservatorismo dilaganti e di più o meno tutto quello che succede nel mondo, dalle sparatorie contro cittadini stranieri ai sondaggi elettorali. La rabbia contro INPS, ovviamente, è scagliata contro il bersaglio sbagliato: come anche i social media manager dell’Istituto hanno risposto diverse volte su Facebook, purtroppo i criteri di assegnazione del reddito non vengono stabiliti da loro, quanto piuttosto dalla legge promossa dal M5S e promulgata dal Parlamento. INPS non ha, e giustamente non può assumersi, alcun tipo di responsabilità sul merito del provvedimento né, tantomeno, possono farlo i suoi social media manager.
Quello che però non ci si dovrebbe aspettare da figure come i social media manager di un ente pubblico sono risposte come quelle che purtroppo stanno diventando virali in queste ultime ore: commenti in cui a chi scrive si dà del cretino, sull’onda del notissimo ed elitario adagio dell’analfabetismo funzionale che piace da morire alle destre e anche a una certa sinistra delle fioriere, minacce di bloccare chi commenta rispondendo a dubbi di altri utenti scritte in caps lock, generici insulti a chi sostiene di non essere in grado di richiedere i codici di accesso alle poste — peraltro venate da una sottile misoginia: donna, ti fai i selfie ma non hai abbastanza cervello per richiedere SPID? Classico.
Da tutto questo sono ovviamente scaturite numerosissime reazioni: quelle forse più sorprendenti, però, sono le reazioni divertite dagli insulti e dall’“iconico” blasting a cui si sono lasciati andare i social media manager dell’Istituto, e che entusiasma moltissimi utenti e cittadini. Del modo tossico di “blastare” le persone con cui si interagisce su internet si è parlato moltissimo — spoiler: non è il metodo di comunicazione e di divulgazione più efficace cui si possa pensare. Reazioni che sono continuate anche oggi, dopo che l’INPS ha chiesto scusa a quanti si siano offesi per i fatti di ieri, e che sono anche più odiose di quelle dei dipendenti INPS.
I commenti divertiti dall’ignoranza e dalla scarsa capacità di utilizzare internet e i social media in modo giusto o efficace, come quelli della pagina Facebook “Abolizione del suffragio universale,” di fatto dicono molto peggio di chi li scrive che di chi viene preso di mira.
Ancora una volta, chi si ritiene — e forse è — più istruito o più capace, trova esilarante ridere di chi invece non possiede i suoi stessi mezzi: aboliamo il suffragio universale, dicono sedicenti strenui democratici ed elettori di sinistra, sfottiamo l’ignoranza, introduciamo test del QI per accedere a internet.
Ancora una volta, cosa sia o cosa voglia essere la sinistra nelle parole dei suoi elettori diventa un’accozzaglia di idee incoerenti e confuse: identitarie al pari di quelle delle destre, elitarie nella volontà di sottolineare la propria superiorità intellettuale — che spesso, ed è un concetto proprio delle prime critiche al liberalismo lockiano, non è dovuta ad altro che alle migliori opportunità che una società classista attribuisce ai suoi figli più fortunati: non per merito ma, semplicemente, per censo e per privilegi di classe.
È importante — anzi, urgente — osservare questi dibattiti in pubblico, senza sminuirli e ridurli a brusio di fondo soltanto perché succedono su internet e non in Parlamento. I fenomeni politici e sociali non nascono dal nulla, per partenogenesi: l’odio e il disprezzo per la rabbia e per l’ignoranza non sono altro che un’espressione liberale e borghese del conflitto di classe, di cui una sinistra che voglia dirsi tale dovrebbe farsi carico in tutt’altra maniera. Ridere dell’ingenuità di un padre di famiglia che chiede all’INPS come ottenere il reddito di cittadinanza se sta lavorando in nero (e che di fatto si sta autodenunciando in modo assolutamente inconsapevole), è soltanto grottesco, ed è una riedizione del patriziato romano che dalla tribuna guarda divertito gli schiavi farsi sbranare al circo.
C’è un fil rouge chiarissimo tra queste reazioni e fatti politici recentissimi come questo, tra l’insoddisfazione e la reale mancanza di prospettive di una enorme fetta della popolazione e il successo — e le conseguenti critiche indignate e perbeniste — di alcuni generi musicali.
Sfottere i poveri e chi consideriamo ignorante perché vogliono un reddito di cittadinanza che permetta in una certa misura di emanciparsi dal ricatto del salario — cosa che peraltro purtroppo il reddito di cittadinanza non è — non è proficuo per la collettività, non è intelligente ed è soltanto una cosa da stronzi. Escludiamo chi sembra essere più stupido di noi, impediamo al popolino di fare a noi dei danni: cosa è successo alla sinistra, se “popolo” è diventata una parola sporca?
Ecco: essere una sinistra di stronzi non è quello per cui dovremmo lavorare.
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