Cinquant’anni di Mattatoio n° 5

Pubblicato il 31 marzo 1969, il capolavoro di Kurt Vonnegut continua a risuonare nella sensazione di instabilità delle nuove generazioni che si trovano a confrontarsi con un futuro precario, fatto di un ecosistema al collasso, confini che si alzano e idee identitarie che si trasformano

Cinquant’anni di Mattatoio n° 5

Pubblicato il 31 marzo 1969, il capolavoro di Kurt Vonnegut continua a risuonare nella sensazione di instabilità delle nuove generazioni che si trovano a confrontarsi con un futuro precario, fatto di un ecosistema al collasso, confini che si alzano e idee identitarie che si trasformano

A meno di tre chilometri a ovest dalla Frauenkirche e dal famoso murale di Fürstenzug che marca il centro storico di Dresda, si trova un grande complesso fieristico conosciuto come Messe Dresden. Come per molte altre strutture presenti oggi nella città vecchia e nei suoi immediati dintorni, gli edifici bianchi dal tetto spiovente che punteggiano i 36.500 metri quadrati dell’area usata per convegni ed esibizioni sono relativamente recenti. I cancelli del Messe Dresden aprirono per la prima volta il 17 settembre 1999, dopo che il consiglio comunale aveva deciso di spostare il complesso dalla sua posizione originale in Straßburger Platz alle rive del fiume Elba, per dare spazio alla “fabbrica trasparente” della Volkswagen. La nuova zona fieristica prese il posto di quello che un tempo era stato il mattatoio di Erlwein’scher, un luogo in passato importante per l’economia di Dresda, costruendo sui suoi resti uno spazio funzionale, progettato per ospitare eventi internazionali, concerti e congressi di ogni dimensione.

Quando non viene utilizzato, Messe Dresden è un posto sterile, addobbato di cartelli che scoraggiano l’accesso indicando la proprietà privata. Nonostante all’apparenza qualsiasi elemento di rilevanza culturale sembri essere stato obliterato, rimane una sezione nascosta che offre uno spiraglio nel passato oscuro della città, rendendo omaggio a qualcuno che, per caso, mise piede proprio in questo sito: l’autore americano Kurt Vonnegut. Dietro a una porta verde targata “Schlachthof 5 – Slaughterhouse Five” una scalinata porta al sotterraneo illuminato da luci al neon del Halle 1, dove un memoriale dedicato alla città bombardata occupa una parete vicino all’iscrizione “È solo una nostra illusione di terrestri quella di credere che a un momento ne segue un altro, come nodi su una corda, e che una volta che un istante è trascorso è trascorso per sempre”.

Lo spazio dove si trovava l’ex mattatoio (sopra al sotterraneo)

In una delle lettere spedite alla sua famiglia poco dopo la liberazione di Dresda, Vonnegut descrive così gli eventi accaduti mentre era tenuto prigioniero dai tedeschi nel sottosuolo del mattatoio:

Sono stato un prigioniero di guerra dal 19 dicembre 1944, quando la nostra divisione è stata ridotta a brandelli dall’ultima, disperata, offensiva di Hitler attraverso Lussemburgo e Belgio. […] Ci hanno spediti in un campo di lavoro a Dresda il 10 gennaio. […] Ci sono state rifiutate cure mediche e vestiti, siamo stati costretti ai lavori forzati per orari stremanti. Le razioni di cibo consistevano in duecentocinquanta grammi di pane nero e una pinta di zuppa di patate non condita al giorno. […] I pestaggi erano il male minore: un ragazzo è morto di fame e altri due sono stati fucilati dalle SS per aver rubato del cibo. Verso il 14 febbraio sono arrivati gli americani, seguiti dalla R.A.F. Il loro attacco combinato ha ucciso 250.000 persone in ventiquattro ore e distrutto completamente Dresda, probabilmente la più bella città del mondo. Ma non me.

Il breve resoconto che Vonnegut, ventiduenne, spedì dal Red Cross Club del Centro di Rimpatrio per Prigionieri di Guerra di Le Havre il 29 maggio 1945 fu solo il primo di una lunga serie di tentativi di tradurre in prosa le sue ultime settimane da soldato nella Seconda Guerra Mondiale. “Tornai a casa nel 1945, cominciai a scriverne, e scriverne, e scriverne, e SCRIVERNE” raccontò Vonnegut durante un’intervista con Joe David Bellamy e John Casey nel 1974, facendo riferimento al processo ventennale che si concluse con la pubblicazione di Mattatoio n.5 o La Crociata dei Bambini (Danza obbligata con la morte), il suo libro più acclamato.

Ingresso al sotterraneo

Categorizzato come un romanzo di fantascienza, un manifesto anti-guerra e un testo postmodernista, Mattatoio n.5 racconta la storia di Billy Pilgrim, un uomo americano “alto e gracile, e fatto a forma di bottiglia di Coca-Cola” intento a combattere i tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Prima di essere catturato e trasportato a Dresda dove sarà tenuto come prigioniero, Billy si “stacca” dal tempo, cominciando a muoversi tra le diverse parti della sua vita senza un ordine particolare, viaggiando di fase in fase, con un semplice batter d’occhio, senza alcun controllo. Pilgrim è simultaneamente un soldato, un veterano, un optometrista e una cavia umana in uno zoo alieno. È al contempo malato e in salute, un bambino e un adulto, un predicatore e uno studente, un viaggiatore e un prigioniero. Un uomo dall’identità frammentata, fluida, ridotta a nient’altro che un “Così va la vita”, il ritornello che nel romanzo appare ben 106 volte.

Visti i numerosi parallelismi con la vita di Vonnegut, quando non si discute del messaggio pacifista di Mattatoio n.5 si tende a parlarne come una rappresentazione dei disordini mentali causati dalla guerra. Molti critici hanno utilizzato il romanzo come una lente attraverso la quale esaminare il disturbo post-traumatico da stress, la schizofrenia o l’alienazione anomica, trovando correlazioni tra la struttura non-lineare della storia e le difficoltà a rapportarsi con il presente di chi ha subito un trauma. Nonostante le intenzioni dell’autore tendano ad essere screditate in ambito accademico, rimane difficile escludere del tutto la visione di Vonnegut, sia per come si è espresso in merito al ruolo della letteratura nella società — “Le mie motivazioni sono politiche. Sono d’accordo con Stalin e Mussolini sul fatto che lo scrittore debba servire la sua società. Non concordo con i dittatori su come dovrebbe servire,” disse a Playboy nel 1973 — sia per il suo approccio giocoso alle teorie postmoderne che nel periodo della pubblicazione di Mattatoio n.5 stavano prendendo forma, a partire dalla famosa “morte dell’autore” di Barthes.

A proposito di nuove teorie: nel 1962 la Philosophical Review pubblicò un articolo del professor Richard Taylor che finì per provocare un dibattito decennale sul modo in cui percepiamo il tempo che passa. L’articolo, intitolato Fatalism, tentava di dimostrare che l’idea di libera scelta dipende esclusivamente dal fatto che vediamo il tempo come lineare, notando che tutti siamo fatalisti per quanto riguarda il passato, mentre per quanto riguarda il futuro crediamo di avere un’influenza sugli eventi. Visto che non c’è prova, secondo Taylor, che il tempo da solo modifichi ciò che accade, la linearità non è altro che una convenzione sociale, fatta di orologi e calendari. L’uomo, quindi, non ha alcun potere sul domani. A questo tipo di fatalismo logico si opposero in molti, ma Vonnegut sembra fare riferimento implicito a Taylor, descrivendo la temporalità come tutt’altro che un dato di fatto: “Passato, presente e futuro sono sempre esistiti e sempre esisteranno. I tralfamadoriani possono guardare ai diversi momenti come noi guardiamo un tratto delle Montagne Rocciose”.

Il sotterraneo oggi

Mattatoio n.5 arrivava in un periodo in cui lo strutturalismo si stava espandendo rapidamente. Possibile che persino il tempo sia un costrutto? Per Vonnegut, che passò anni a studiare e scherzare sulla forma (lineare) delle storie, sicuramente era un’idea con cui valeva la pena sperimentare. Con Mattatoio n.5 ci troviamo di fronte a una storia senza inizio e senza fine, senza buoni o cattivi; una storia, raccontata da un narratore anonimo, disturbato dall’alcol e dal suo passato, che lascia al lettore più dubbi che risposte. Così come forse fa anche la vita reale. Tra i contestatori delle teorie di Taylor ci fu anche David Foster Wallace, uno scrittore che più volte ha espresso il desiderio di voler chiudere con il cinismo postmoderno, e che ne scrisse nella sua tesi di laurea pubblicata nel volume postumo Fate, Time & Language.

“Passato, presente e futuro sono sempre esistiti e sempre esisteranno. I tralfamadoriani possono guardare ai diversi momenti come noi guardiamo un tratto delle Montagne Rocciose”

Nonostante il successo commerciale di Mattatoio n.5, il suo primo libro a diventare un bestseller — anche grazie ad una recensione del New York Times che ne lodava l’innovativa “forma fluida” — vent’anni di riscritture e ripensamenti non bastarono a soddisfare l’autore. La storia di Billy Pilgrim, presentata al lettore come “un fallimento, […] scritto da un pilastro di sale”, portò Vonnegut alla fama mondiale, trasformandolo in un’icona per i pacifisti dell’epoca (impegnati a protestare contro una nuova guerra, quella in Vietnam), ma il suo rapporto con il testo rimase sempre ambiguo e non privo di sensi di colpa.

Il memoriale a Dresda

Il desiderio di promuovere un messaggio anti-guerra era cominciato immediatamente dopo il ritorno in patria, diventando un tema ricorrente in molti dei romanzi successivi. La prima storia che Vonnegut si vide pubblicata fu il Rapporto sull’effetto Barnhouse, nel 1950. È un racconto breve che narra la vita del professor Arthur Barnhouse, un uomo affetto da dinamopsichismo (l’abilità di muovere oggetti con la mente) che eroicamente sfrutta il suo potere per distruggere gli armamenti di tutte le nazioni in conflitto. Con Billy Pilgrim, d’altro canto, quell’entusiasmo viene a mancare e il potere mentale di viaggiare nel tempo viene utilizzato per fuggire dalla guerra invece che combatterla. In un’intervista del 1977 per la Paris Review, Vonnegut parla del suo successo in questi termini:

Vonnegut: Ho detto che solo una persona sull’intero pianeta ha beneficiato dal bombardamento, che deve essere costato decine di milioni di dollari. Il bombardamento non ha accorciato la guerra di mezzo secondo, non ha indebolito la difesa tedesca o prevenuto alcun attacco, non ha liberato una singola persona da un campo di concentramento. Solo una persona ne ha beneficiato, non due o cinque o dieci. Solo una.

Intervistatore: E chi sarebbe?

Vonnegut: Io. Ho guadagnato tre dollari per ogni persona ammazzata. Prova a immaginarlo.

A metà degli anni ’80, al picco della propria fama, Vonnegut tenta il suicidio. Le crisi depressive e l’abuso di alcol lo avevano portato a cercare un’overdose di sonniferi, così come aveva fatto sua madre Edith quarant’anni prima. Il fallito suicidio produsse il volume Destini peggiori della morte (Bompiani, 2003) e quell’approccio cinico alla vita divenne in qualche modo un marchio di fabbrica. “Fumo Pall Mall senza filtro da quando ho 12 o 14 anni” — disse una volta a Rolling Stone — “Adesso farò causa alla Brown & Williamson Tobacco Company, che hanno prodotto quelle sigarette. Sai perché? Perché ho 83 anni! Quei bugiardi maledetti! Sul pacchetto Brown & Willamson aveva promesso di uccidermi!”. Il nichilismo però si ferma alle battute, e con il passare del tempo, vuoi la vecchiaia, Vonnegut si è fatto conoscere anche per il lato più sentimentale del proprio carattere, manifestando una visione atea e umanista della vita, secondo cui il presente è l’unica certezza a nostra disposizione. “Quando siete felici,” diceva Vonnegut, “fateci caso” (Minimum Fax, 2017).

Una parte originale del mattatoio ancora intatta

Mattatoio n.5 fu nominato come miglior romanzo sia ai Nebula Awards che agli Hugo Awards. La sua versione cinematografica vinse il premio della giuria a Cannes e Vonnegut venne eletto, poco più tardi, vice presidente dell’American Institute of Arts and Letters, un risultato incredibile considerando che fino a pochi anni prima aveva considerato di abbandonare del tutto la scrittura, viste le difficoltà economiche in cui stava incorrendo. Al contempo, mentre nelle metropoli il libro si stava guadagnando lo stato di icona culturale, in aree più conservatrici degli Stati Uniti Mattatoio n.5 veniva censurato. Nel 1973 il romanzo venne bruciato nella scuola superiore di Drake, in Colorado; nel 1984 a Racine, in Wisconsin, venne permessa la lettura agli studenti solo con esplicita autorizzazione dei genitori e nel 1998 venne dichiarato “pieno di profanità e sesso esplicito” a Prince William County, in Virginia. L’ultima constestazione risale al 2011, quando una scuola del Missouri ha eliminato il titolo dal proprio programma. In controbattuta, la Kurt Vonnegut Memorial Library ha messo a disposizione 150 copie gratuite di Mattatoio n.5 per tutti i ragazzi della scuola che volessero decidere in autonomia quanto “scioccante” sia di fatto il testo.

A cinquant’anni di distanza, Mattatoio n.5 continua a risuonare nella sensazione di instabilità delle nuove generazioni che si trovano a confrontarsi con un futuro precario, fatto di un ecosistema al collasso, confini che si alzano e idee identitarie che si trasformano. Billy Pilgrim ci parla ancora, ricordando che se persino il tempo è soggettivo, tanto vale prendere coscienza del solo momento affidabile che abbiamo a disposizione: il presente.

«Benvenuto a bordo, signor Pilgrim» disse l’altoparlante. «Nessuna domanda?»
Billy si passò la lingua sulle labbra, pensò un momento. e infine chiese: «Perché io?».
«Questa è proprio una domanda da terrestre, signor Pilgrim. Perché lei? Perché noi allora? Perché qualsiasi cosa? Perché questo momento semplicemente è. Non ha mai visto degli insetti nell’ambra?»
«Sì.» Effettivamente, Billy aveva in ufficio un fermacarte formato da un globo di ambra levigata con tre coccinelle incastonate.
«Beh, eccoci qui, signor Pilgrim, incastrati nell’ambra di questo istante. Non c’è nessun perché.»

Kurt Vonnegut è morto nel 2007 all’età di 84 anni, in seguito a un emorragia causata da una caduta. Nel 2015 è entrato a far parte della Science Fiction and Fantasy Hall of Fame, nonstante avesse dichiarato “mi hanno fatto entrare a forza in un cassetto etichettato «fantascienza», e adesso vorrei tanto uscirne, soprattutto perché molti dei critici più rispettabili scambiano spesso questo cassetto per un orinale”. Così va la vita.


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