Fiore gemello di Laura Luchetti è un antidoto alla retorica xenofoba
Fiore Gemello di Laura Luchetti ha aperto la rassegna del Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina perché testimonia la necessità di un approccio diverso a sé stessi, agli altri e alle differenze che ci separano.
Fiore Gemello di Laura Luchetti è un film dalla trama molto solida e attuale. Il “fiore gemello” — che in botanica è l’episodio molto raro di due fiori che sbocciano da uno stesso stelo — è qui rappresentato da Anna e da Basim, un ragazzo ivoriano in viaggio per il Nord Europa. Le loro vite si intrecciano in maniera molto particolare e lo spettatore lo scopre attraverso riusciti flashback.
Ambientato in Sardegna, il film mostra la mostruosità che si può incontrare anche nel più tranquillo e splendido dei luoghi. Manfredi guadagna sulla pelle di esseri umani come Basim, che proprio scappando da lui trova una villa abbandonata dove si sistema. Nella villa incontra Anna per puro caso, quando mette in fuga dei malintenzionati locali che la importunavano lungo la via provinciale. Anna parla poco e si fida subito del sorriso sincero di Basim, della sua simpatia. Vivono insieme nella grande villa diroccata, sistemata con un po’ di mobilia trovata qua e là da Basim. Anna trova lavoro come aiuto fiorista da un vecchio burbero del paese.
La forza narrativa del film sta nel riuscire a raccontare una storia quasi senza parole. Una storia non edulcorata, ma anzi di denuncia. Ci si è chiesti come mai un film italiano in apertura di un festival come FESCAAAL. La scelta si rivela invece molto azzeccata. Il film mostra tutte le criticità del nostro paese: Manfredi è un trafficante siciliano, probabilmente arrivato in Sardegna per lavoro, e nel film il suo legame con la mafiviene reso piuttosto intuibile. Veniamo a sapere che in passato aveva prestato dei soldi al padre di Anna, costringendolo a lavorare con lui per saldare il suo debito. Nel frattempo, mette gli occhi su di lei — insinua anche con lui sarebbe protetta, che tutti hanno bisogno di protezione, che sono entrambi soli e che potrebbero farsi compagnia. Manfredi rappresenta la mafia stessa, che gioca con le vite umane al solo scopo di trarne profitto ed esercitare il proprio potere. Rappresenta la follia di una società maschilista e cattolica, piena di pensieri repressi che esplodono con una violenza dirompente. Anna, con la sua innocenza, la sua forza e la sua belezza, da sempre è stata l’ossessione di Manfredi. Quando Anna fugge, la rabbia di Manfredi si scatena in un inseguimento pari a quello di una bestia feroce.
Per lui una ragazza come Anna è solo una cosa da possedere. In altre scene vediamo la casa in cui è cresciuto, con le foto di famiglia, la sua devozione di facciata, rappresentata da una statua di madonna in macchina e quella di una santa, dentro cui infila le mazzette di soldi. Manfredi è l’Italia peggiore, che si contrappone alla pacatezza del fioraio, che parla poco ma capisce quel che c’è da capire e sa che il paese parla, si annoia e non si fa troppi problemi a rivelare a Manfredi dove si nasconda Anna. Basim la aiuterà anche questa volta, e nell’ultima scena li vediamo dirigersi insieme verso una vita nuova. Basim è un personaggio di grande impatto: gira con il dizionario francese-italiano, cerca di guadagnare qualche soldo come può, aiuta i clienti del supermercato a caricare la spesa — e viene scacciato — si prostituisce e familiarizza con Stella, il travestito della zona.
Non c’è pietismo né moralismo in Fiore Gemello, e tutto il film è fortemente simbolico, con personaggi archetipici e inquadrature suggestive.
I due protagonisti, Anastasyia Bogach e Kalill Kone, sono stati selezionati attraverso il cosiddetto “street casting,” e in particolare Kalil ha una storia molto movimentata. Ecco quello che scrive Luchetti nelle note di regia:
Kallil Khone era sceso da un barcone proveniente dalla Libia pochi mesi prima che iniziassimo le riprese. Fuggito a piedi dalla Costa d’Avorio era arrivato fino in Libia dove si era imbarcato per l’Italia a bordo di uno dei tanti gommoni che spesso non ce la fanno ad arrivare a destinazione. Voleva fare l’attore. Quello il suo unico sogno. Lo guardavo muoversi e recitare durante il provino. È un dono il suo. Un talento ruvido. Uno sguardo che si porta dietro un orrore che noi non possiamo nemmeno immaginare.
“Sono fuggito da un inferno e avevo un sogno. E ora sono qui mentre il sogno si avvera. Sono un attore vero con te.” Sembra una favola: il riscatto di un ragazzo che attraversa un intero continente a piedi e riesce in qualche modo a prendersi ciò che ha sempre desiderato.
Il suo incontro ha influenzato il racconto del film. Molte cose rappresentate sono quelle che lui stesso mi ha confidato. Avvenimenti realmente accaduti.
Un film che a maggior ragione oggi si dota quindi di un significato particolare: in un momento in cui il dibattito pubblico è invaso di contenuti razzisti e xenofobi, con proporzioni che hanno già oltrepassato il livello di guardia, l’arte cinematografica può essere un ottimo mezzo per fare quello che avrebbe dovuto fare la politica — e, anche, la cultura del nostro paese: raccontare un’altra storia, per testimoniare che un approccio diverso a se stessi, agli altri e alle differenze che ci separano non solo è possibile, ma è anche la scelta giusta.
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