Ha aperto settimana scorsa la prima libreria indipendente nel capoluogo trentino. Siamo andati a scambiare due parole con i fondatori, Elisa e Federico.
In via Manzoni 49, il 28 settembre ha inaugurato due punti, la prima libreria indipendente di Trento. I fondatori — Federico Zappini e Elisa Vettori, esperto di progettazione sociale lui e fotografa lei — si sono conosciuti al primo, e per ora unico, co-working della città, Impact Hub. La libreria è aperta dal 10 settembre, ma il vero battesimo è stato sabato, con la partecipazione, tra gli altri, di Claudio Moretti della libreria MarcoPolo, lo studio di architettura anålogo — e tutta la comunità del quartiere San Martino. Ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere con Federico ed Elisa, per capire quali sono le prospettive di una città come Trento, stretta tra la sua anima gerónte e la sua recente dimensione di città universitaria.
A quali librerie vi siete ispirati per dare vita a due punti?
Elisa: A Trento ci sono molte librerie in proporzione ai residenti, però i libri che abbiamo qua non li ha nessuno. Ho battuto tutte le librerie della città prima di decidere definitivamente come avrei voluto questa. Però a parte La Seggiolina Blu, qua affianco, che è una libreria per bambini, non ci sono librerie indipendenti a Trento.
Con Federico abbiamo visitato molte librerie in Italia per capire un po’ meglio cosa volessimo. Nel co-working dove lavoravamo avevamo fatto girare un questionario su cosa ci si aspetta da una libreria — io lavoravo lì come fotografa, lui come formatore. Una su tutte, per me, è la MarcoPolo a Venezia, dove ho fatto il tirocinio. È una delle pochissime librerie indipendenti che, quattro anni dopo aver aperto, ha inaugurato una succursale. Poi siamo stati dalla Gogol&Company a Milano, e in altre librerie.
Avete detto che volete fare di due punti una libreria sociale, in che modo pensate di raggiungere questo obiettivo?
Elisa: Abbiamo la cena in libreria, l’ultimo mercoledì del mese, che è una scusa per creare socialità attorno all’idea del libro, ma non focalizzandosi solo su quello. Poi abbiamo le presentazioni che, invece, sono totalmente dedicate ai libri e ai loro autori.
E come volete modulare la vostra offerta di libri?
Federico: Oggi, il giorno dell’inaugurazione, c’è stato il primo vero afflusso alla libreria e quindi è solo da oggi che posso capire quali sono le risposte del pubblico. Ho visto che sono andati tantissimo i libri di Minimum Fax e di Abscondita. Anche Parlarne tra amici di Sally Rooney è andato forte. Poi, ovviamente, io non posso andare a cataloghi; devo fare delle scelte. Ci dobbiamo fidare tantissimo dei lettori che frequentano Due Punti. Se qualcuno ci dice “ho letto Biferali di Tunuè, dobbiamo assolutamente fare una presentazione” noi dobbiamo cogliere lo spunto.
Uno dei principali problemi per gli appassionati di libri, in Italia, è il loro costo eccessivo. Al contempo, però, le grandi case editrici pubblicano libri con prezzi rialzati ad arte per poi scontarli immediatamente, mettendo così fuori dai giochi le piccole librerie indipendenti. Come si possono risolvere questi problemi intrecciati?
Elisa: Messa così è irrisolvibile. L’unico modo è andare per scelte, si devono proporre libri che magari hanno un costo, che però rendono felici chi li acquista.
Federico: Le riforme del mercato librario, in Italia, si sono sempre schiantate di fronte ai soggetti egemoni. C’è una mancanza di volontà politica di portare a termine queste riforme. In Germania non esistono gli sconti sul libro e così sono tutti nello stesso campionato. Se qualcuno può permettersi di scontare del 15% un libro appena esce, è un campionato in cui noi non possiamo competere: che sia Amazon o Feltrinelli o Mondadori, noi non ce la facciamo. E questo è un piano. Dall’altro c’è il piano del costo per il lettore. Entro in libreria, prendo un libro e costa venti euro. Venti euro non sono pochi. Di fronte a questa cosa, è evidente che finché c’è un sistema bibliotecario funzionante, uno avrà anche un accesso alla cultura senza filtri, altrimenti il prezzo è un filtro.
Insomma, ci sono due rami del problema: da un lato c’è chi si può permettere di scontare i libri e chi no — e io non posso e non voglio fare sconti, chi è appassionato di libri deve sapere che lo sconto è un pezzo di uccisione della libreria. Quando abbiamo scritto il manifesto abbiamo scritto che noi non faremo mai sconti: è un modo per scardinare questa logica del gioco al massacro in cui alla fine sopravvivono solo le grandi librerie — dall’altro che i libri costano troppo per i lettori.
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Qual è il vostro retroterra? Di cosa vi occupavate prima di due punti?
Federico: Il mio è boh. Molto multiforme. C’è l’aspetto dell’attivismo politico, nei centri sociali, e poi c’è l’aspetto del lavoro in un co-working che mi ha arricchito molto, Impact Hub. Qua dentro c’è la conoscenza di un sacco di cose interessanti che avvengono in giro per il mondo che sono ancora in uno strano underground con cui sono entrato in contatto tramite Impact Hub. Non sono i centri sociali, ma non è nemmeno la cultura ufficiale. Poi magari questo underground è meno politicizzato in termini di militanza, però è la nicchia che spinge quotidianamente per cambiare il mondo. Per ora non ci sta riuscendo, come non ci è riuscito il movimento di cui facevo parte, i No Global.
I No Global sono anche stati attivamente stroncati.
Sì, però bisogna fare anche autocritica, abbiamo commesso molti errori e c’è una generazione, quella di chi oggi ha tra i 25 e i 40 anni, che ha preso grandissime batoste. Genova era “un altro mondo è possibile”, noi piccoletti cambiamo il mondo. Ci hanno massacrato. Oggi parlavo con Andrea Marsili e abbiamo realizzato che gli unici utopisti sono rimasti i reazionari di destra. Trump oggi dice “un altro mondo è possibile.” Lo dice lui, ed è una cosa che mi fa malissimo. Comunque, credo che chi fa comunità, anche nel piccolo, stia portando avanti una politica di prossimità che cambia il contesto in cui si vive. E potenzialmente cambia il mondo, io ne sono sinceramente convinto.
Elisa: Sarò molto più breve di Federico. Faccio la fotografa.
La vita culturale trentina è in fermento o ha bisogno di una scossa?
Federico: Dimmi il tuo punto di vista.
Penso che per essere una città con 30.000 studenti sia un po’ morta. Mi hanno detto che la situazione è molto migliore anche solo rispetto tre anni fa, e in effetti si vede qualche iniziativa, però mi sembra che Trento sia molto indietro rispetto al suo potenziale.
Federico (dopo essersi buttato a cercare un libro tra gli scaffali): Ti rispondo con questo, La Venezia che vorrei, un libro che fuori dalle retoriche e dai piagnistei (“la città fa cacare” etc.) offre trenta prospettive sul futuro della città. La domanda che mi pongo è “qual è la Trento che vorrei?” Non me la sento di lamentarmi quando questa sera nell’arco di cento metri c’era la presentazione di una galleria d’arte, un concerto alla Bookique e la nostra inaugurazione.
Poi è vero che la città di Trento ha investito molto sulla riqualificazione materiale e si è un po’ fermata a quello, però non è una città né morta né chiusa. Dobbiamo solo decidere com’è la Trento che vorremmo e questa libreria è una parte della Trento che io vorrei. Penso che di energie ce ne siano a bizzeffe.
Consigliateci quello che secondo voi è il miglior scrittore trentino.
Elisa: A me piace molto Christian Arnoldi, in particolare Tristi Montagne. Guida ai malesseri alpini. Mi viene il dubbio che Arnoldi non sia nemmeno trentino, forse è veneto. Di sicuro è uno scrittore dell’arco alpino.
Federico: Una domanda durissima, così a bruciapelo. Mi metti terribilmente in crisi, posso dire un altoatesino? Ti dico Daniele Rielli, ha scritto un libro bellissimo che si chiama Storie dal mondo nuovo. Ha un bellissimo blog, “quit the doner.” Mi viene in mente solo lui al momento.
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