Cosa fare l’ultimo giorno a New York? Andare sull’acqua.

L’altro giorno, che c’era il sole, era l’ultimo giorno di New York di una mia amica. Ma come si saluta la metropoli?

Cosa fare l’ultimo giorno a New York? Andare sull’acqua.

L’altro giorno, che c’era il sole, era l’ultimo giorno di New York di una mia amica, ed è venuta sotto casa, abbiamo preso un caffè e abbiamo pensato a cosa sia appropriato fare in un ultimo giorno di città. Come si saluta la metropoli?

Ci sono cose che si volevano vedere, sperimentare, mangiare quando si è arrivati, e poi per un motivo o per l’altro non c’è mai stata occasione? Mi son trovata, negli ultimi mesi, a porre questa domanda a molte persone. New York è una città di gente che arriva, ma anche, ho scoperto con qualche malinconia, di gente che se ne va. C’è stata la ragazza croata conosciuta in una casa di passaggio, che ha finito il praticantato nel suo studio di design e ha preso l’aereo per l’Europa sul limitare dell’anno nuovo. C’è stata la coinquilina toscana, venuta per tre mesi a respire nuova aria. La collega argentina incrociata appena durante una delle sue ultime notti di lavoro. L’amico inglese, con cui si va a cena fuori al ristorante etiope di quartiere per festeggiare, e non ha nessuna voglia di prendere il taxi per l’aeroporto. Ci sono gli ex studenti universitari, che iniziano a programmare il ritorno a casa sull’altra costa, con una macchina attraverso il deserto, New York-Los Angeles, il pellegrinaggio più classico (ma la traiettoria dell’addio sembra sempre andare verso ovest). C’ero io, l’anno scorso, tutta in lacrime a JFK, e la gente che dichiara che questo è l’ultimo inverno che passano a New York, la storia d’amore con la città si è ormai esaurita — questa categoria in particolare, ancora non l’ho vista davvero partire.

Promettono tutti di ritornare, e son sicura che molti lo faranno. Ma il proposito non priva quell’ultimo giorno prima della partenza di una qual certa solennità che non si può ignorare. Cosa vuoi fare nel tuo ultimo giorno di New York? Mi han risposto in più di uno, camminare, camminare a lungo per Manhattan come si fa solo quando si è appena arrivati. La mia amica, che già aveva passato un giorno intero a camminare, mi ha detto: “Andiamo sull’acqua.”

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“Andare sull’acqua,” a New York, può voler dire un sacco di cose. Può voler dire camminare sul fiume a Manhattan, o a Brooklyn, andare in spiaggia, a Coney Island, in faccia all’oceano, quello che si vuole. D’altra parte New York è una città di mare, anche se nessuno sembra mai davvero ricordarsene. Ci sono sprazzi di porto che ogni tanto colpiscono dal nulla, con l’effetto più straniante, nel caos colorato di Chinatown, o quando per caso si avvista una barca a vela ondeggiare sull’Hudson River. Ma per lo più i grattacieli bloccano il vento di salsedine. “Andare sull’acqua” insomma vuol dire ricordarsi di lanciare l’occhio all’orizzonte, e che c’è l’oceano lì vicino.

Abbiamo preso la metropolitana da Bushwick fino a Union Square, e da lì un’altra linea che porta a sud, alla punta estrema di Manhattan, dove ci si può imbarcare sul traghetto arancione per Staten Island.

È un servizio nautico che gli abitanti del borough dimenticato (non tanti newyorkesi si ricordano dell’esistenza di Staten Island, e ancora meno ci sono effettivamente mai stati) prendono tutti i giorni per andare in città, ed è quindi efficiente e gratuito. È anche un servizio nautico che passa in prossimità della Statua della Libertà senza far pagare a nessuno il biglietto, il che vuol dire che è preso d’assalto da comitive di turisti. Nella spaziosa sala d’attesa ci si può prendere vicendevolemente a gomitate, acquistare gigantesche lattine di birra a prezzi notoriamente stracciati (per New York) e mangiare cartocci di patate dolci maleodoranti di fritto, mentre si aspetta l’imbarco, che avviene ogni mezz’ora. Una volta saliti si può mettere a repentaglio la stabilità del traghetto ammassandosi tutti quanti insieme sul lato destro, per fare il servizio fotografico di rito alla Statua della Libertà, che si pavoneggia poco distante, e non sarà mai immensa come lo è nella mia mente, anzi, sembra piccolina, è quasi deludente.

Accanto ad essa c’è Ellis Island, con il suo museo dell’immigrazione, che tutti dicono sempre di andare a visitare. Una volta arrivati a Staten Island, si può anche tornare indietro, che tanto non c’è niente da fare, o comunque niente che sia raggiungibile a piedi dal porto, dove i traghetti arancioni sono attraccati al molo tutti in fila in attesa del loro turno, e c’è un negozio di souvenir, un curioso acquario pieno di giganteschi pesci di fiume, e un chitarrista che suona la colonna sonora di Game of Thrones. Al ritorno, sazi di fotografie del panorama, si possono stendere le gambe al sole nella vaga speranza di farle abbronzare.

È strano essere sull’acqua a New York, e in qualche modo inedito. Vedere Manhattan che si allontana all’orizzonte, con tutte le sue punte e guglie, ha qualcosa di metaforico con la mia amica di fianco, in partenza imminente. Pensiamo insieme a quanto doveva essere impressionante arrivare via nave, immigrati, dall’antica Europa, e vedersi dipanare davanti la città rampicante, la statua, il ponte. Ancora adesso, che abbiamo visto tutto, nei film e nelle foto, l’idea mette un brivido.


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