La nuova miniserie non sembra né riprendere le atmosfere sacrali del film di Weir né affrontare il peso delle politiche coloniali in Australia.
Il 5 giugno andrà in onda su Sky Atlantic la miniserie televisiva Picnic at Hanging Rock, remake seriale dell’omonimo film di culto diretto nel 1975 dal regista australiano Peter Weir. La serie – come il film – prende spunto dal romanzo dell’autrice Joan Lindsay, che a metà degli anni Sessanta aveva immaginato (o raccontato, la veridicità della storia è ancora molto dibattuta) la sparizione di un gruppo di giovani aristocratiche da un collegio femminile durante un picnic fuori porta. Aggiungere di più sulla trama sarebbe superfluo vista la natura mistica e indefinita del racconto, se non una precisazione necessaria su Hanging Rock, luogo reinterpretato da Lindsay come centro di attrazione del mistero, ma che a metà Ottocento fu teatro di espropriazioni coloniali ai danni delle popolazioni autoctone.
La nuova miniserie – sceneggiata da Beatrix Christian e Alice Addison per la Showcase, il network australiano che ha commissionato la produzione televisiva – non sembra né riprendere le atmosfere sacrali del film di Weir né affrontare il peso delle politiche coloniali in Australia. Piuttosto, per quanto si vede nel primo trailer, la serie imposterà l’adattamento sulla falsa riga del giallo storico, con un mistero da risolvere e qualche losco segreto da indagare. Come si legge sul sito della Showcase, il nuovo Picnic at Hanging Rock adotterà “una narrativa misteriosamente vasta, avvincente come una vera e propria saga del crimine e giocosa come la migliore narrativa contemporanea.” In poche parole, tutto quello che il romanzo di Joan Lindsay e il film di Peter Weir non sono.
Prima Lindsay poi Weir hanno ricreato un mondo in cui le pulsioni umane vengono intercettate da forze (sovra)naturali al di sopra di ogni possibile comprensione — lo sguardo interrotto sull’origine di tali forze rende Picnic a Hanging Rock, romanzo e film, un’opera senza tempo. Ridurre temi universali ad avventura true crime sembra il modo più veloce per abbassare la nuova produzione australiana ai livelli di contenitore sterile e farci dire a gran voce: non abbiamo bisogno di un altro picnic a Hanging Rock.
Ma è comprensibile come nell’era della peak tv i modelli seguiti dall’autrice e dal regista australiani non siano più funzionali per un racconto televisivo: un mistero senza soluzione (come quello dell’opera originale) oggi non potrebbe funzionare, il senso di sospensione non è adatto alle narrazioni moderne che invece cullano lo spettatore con spiegazioni ed evidenze ben servite.
Non possiamo sapere quali strade narrative percorrerà il racconto di questo remake, ma l’intenzione sembra quella di distaccarsi dal mistero, e mito, surreale (così vicino al Twin Peaks di Lynch) per privilegiare una narrazione alla ricerca della verità. Una verità che invece non c’è e non andrebbe ricercata per mantenere intatto il mito di Hanging Rock — divieto riassunto per altro nello sfogo isterico del gruppo con la litania delle sopravvissute (“Tell us! Tell us, Irma! You know what happened! Tell us!”) che scimmiottano il desiderio feticista dello spettatore di sapere cosa è successo.
A dimostrare la povertà di iniziativa della serialità di oggi – sempre più condizionata da una onnivora bulimia per le storie – è proprio la tendenza a riprendere opere dal passato per cucirgli addosso temi e motivi della contemporaneità, spesso snaturandole. Così Picnic ad Hanging Rock, che partiva dal mondo femminile per descrivere l’abbandono dell’innocenza, l’eterno contrasto tra apollineo e dionisiaco e il confronto con il subconscio freudiano, viene ridotto a critica del patriarcato. È l’attrice Natalie Dormer, che nella serie interpreta la preside Hester Appleyard, ad affermare in un’intervista come la serie ruoti intorno a temi come “trovare un senso di identità, non aver bisogno di un uomo, non essere definite da ciò che suggerisce il tuo gruppo dei pari, ribellarsi all’autorità, alla religione, tutti elementi che trovano delle similitudini nei due periodi (1900 e 2018 ndr).” Tutti argomenti nobili, che però potevano essere applicati a nuovi racconti, senza ribaltare i temi di altre opere.
Di riadattamenti ne sono stati fatti tanti in questi anni, anche con ottimi risultati, in ultimo la rivisitazione di Farenheit 451 da parte di Ramin Bahrani con Michael B. Jordan e Michael Shannon, film che rilegge in chiave moderna il romanzo distopico di Ray Bradbury. Oppure – parlando di classici ancora più classici – il Don Chisciotte di Terry Gilliam che Francesco Boille su Internazionale definisce come “film straordinario che metaforizza, nella sua oscillazione continua tra realtà e sogno, tra cinema che si ostina a reinterpretare il mito e cinema che non riesce a farlo perché mediocre surrogato, la crescente difficoltà delle narrazioni di oggi a ritrovare l’epos e l’afflato delle grande finzioni del passato, della grande epica.”
Perché dunque ostinarsi a cercare di riprodurre l’epica del passato (che siano i miti della grecia, le opere del Seicento o i romanzi del Novecento) e non si provi invece a creare una nuova epica, basata su nuove storie che possano guardare al passato, ma pensando al presente.
Quello che si ottiene con operazioni come il picnic a Hanging Rock della Showcase è solo una speculazione del mainstream nei confronti della storia del cinema e della letteratura — se veramente volete approfondire ambientazioni metafisiche, in cui le leggi divine (o sovranaturali) mettono in disordine il piano umano la serie da vedere in questo momento è Il Miracolo.
Se siete interessati ad approfondire le opere originali di Lindsay e Weir, consigliamo di vistare questo sito che ricorda molto i siti abbandonati dell’internet.
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