Perché l’insegnamento della letteratura dovrebbe guardare al presente

C’è un problema generalizzato nell’insegnamento della letteratura alle superiori, un inghippo che trova le sue radici nella tradizione e nelle norme didattiche.

Perché l’insegnamento della letteratura dovrebbe guardare al presente

Tutte le illustrazioni da “Una Grande Esperienza di Sé,” edizioni Pearson

C’è un problema generalizzato nell’insegnamento della letteratura alle superiori, un inghippo che trova le sue radici nella tradizione e nelle norme didattiche.

Alle superiori studiare letteratura significa, in certi casi, imparare a memoria le date importanti, leggere i testi, capire cosa sia una allitterazione, cosa una anafora e cosa un poliptoto, carpire qualche informazione sulla vita dell’autore e sapere la differenza tra pessimismo storico e pessimismo cosmico — appurando tragicamente che l’unica via è quella di impararselo a memoria. Uno studio tecnico, il cosiddetto compitino.

Non è così in tutte le scuole superiori, ovviamente. Esistono insegnanti magnifici, capaci di conquistare l’attenzione degli studenti, capaci di andare al di là del manuale, al di là del programma. Esistono studenti appassionati, partecipativi, curiosi, disposti ad approfondire anche da soli. Esistono, certo, ma non rappresento la norma.

Sicuramente nelle scuole c’è un problema di tempo, di direttive ministeriali. Spesso i magnifici insegnanti di cui sopra si scontrano con un uditorio di magnifici menefreghisti a cui di Dante frega esattamente zero, e spesso, invece, studenti interessati si trovano davanti un professore che si accontenta di insegnar loro il minimo indispensabile. È ovvio, poi, che, a seconda dell’indirizzo della scuola, i programmi prevedano più o meno ore destinate all’insegnamento  della letteratura, e, di conseguenza, un approfondimento più o meno vasto — ai classici ci si aspetta che le humanae litterae siano la fissa assoluta degli studenti (spoiler: non lo sono), agli istituti tecnici un po’ meno (spoiler: talvolta è un pregiudizio).

Al di là di ogni premessa, pare esserci un problema generalizzato nell’insegnamento della letteratura alle superiori, un inghippo che trova le sue radici nella tradizione e nelle norme didattiche.

“Credo che un autore di antologie e manuali abbia una grande responsabilità. Il canone si fissa quando a un autore viene concesso di uscire dalle aule universitarie e di arrivare non solo ai ragazzi, ma anche i professori,” ci spiega Alessandra Terrile.

Nel 2016 Claudio Giunta aveva denunciato l’eccessivo tecnicismo dei manuali di letteratura per le superiori, scritti in un idioma astruso da lui definito “scuolese,” infarciti di commenti pedanti ed esercizi meccanici.

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Illustrazione Lorenzo Mattotti

La letteratura intesa come un insieme di norme, di formule, di figure retoriche, di definizioni. L’approccio analitico al testo, da sezionare come in un’autopsia. Le rime, il metro. il discorso diretto, quello indiretto. Sono tutte conoscenze fondamentali, imprescindibili per un corretto studio della letteratura, il problema sorge quando la letteratura diventa solo norma, solo definizioni, solo concetti imparati a memoria. Quando l’analisi di un testo poetico diventa il compitino.

Francesco Rocchi, in un intervento sul medesimo argomento, concorda con Giunta, facendo però notare come, per molti studenti, lo studio della letteratura sia ben lontano dall’essere una priorità, e bisogna dunque trovare dei surrogati che inducano un adolescente a tenere il naso sul libro. In altre parole, prese in prestito dallo scuolese, “il materiale va didattizzato,” nel bene o nel male.

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Illustrazione Lorenzo Mattotti

I metodi d’insegnamento tradizionali, di per sé non erronei, sembrano soggetti a una sorta di perpetuo immobilismo, esclusi a priori da qualsiasi possibilità di mutamento: a me la letteratura è stata insegnata così, con questi termini e queste immagini, e io così la insegno a te. Occhi rivolti al passato, senza pensare al presente.

Come spiega Rocchi, per gli insegnanti oggi si apre una grande sfida: quella di pensare a come modificare la propria didattica — non semplificarla, ridicolizzarla, appiattirla, semplicemente modificarla. Nessuno chiede di spiegare Foscolo attraverso i testi di Sfera Ebbasta (inutile dire che sarebbe bellissimo), ma semplicemente di ricordare cosa rende la letteratura immortale, e provare a spiegarlo. Magari non in tutte le situazioni è possibile, ma dove c’è del terreno fertile una o due piantine potrebbero crescere, non si sa mai.

Il conservatorismo non si limita solo a come la letteratura viene trattata, ma anche agli autori scelti. Esistono indicazioni ministeriali ben precise, atte a standardizzare i programmi e, soprattutto per quanto riguarda la letteratura pre-novecentesca, il percorso è quasi obbligato: si possono operare piccole modifiche, trattare più o meno dettagliatamente un determinato autore, magari introdurre qualche nuovo nome, ma, come nota Giunta, il margine di manovra non è ampio. In primis perché la tradizione è reputata intoccabile, in secundis perché, di norma, i dirigenti scolastici non sembrano troppo aperti alla novità.

Il canone letterario è da sempre una brutta bestia. Citando Romano Luperini, il famigerato canone “indica la tavola dei valori prevalente. Essa si traduce poi nell’elenco dei libri di cui si prescrive la lettura nell’ambito delle istituzioni educative di una determinata comunità.” Tale tavola dei valori varia a seconda dei secoli e delle comunità, con il mutare del gusto e delle esigenze culturali. Riflette e aggiorna ininterrottamente la memoria storica di un popolo, una memoria irrimediabilmente selettiva.

illustrazione Lorenzo Mattotti
illustrazione Lorenzo Mattotti

Il punto è che la presunta oggettività del canone letterario non è altro che il prodotto di una selezione avvenuta nel tempo. Sempre citando Luperini, “la letteratura non è trasmissione inerte di una unica tradizione, ma una sede di conflitti e di contraddizioni: in essa e attraverso di essa si svolge una lotta per l’egemonia che investe temi e contenuti ideologici, tendenze e movimenti letterari, soluzioni di stile e di gusto e anche scelte di politica culturale in cui si riflettono precisi rapporti di potere.

In parole povere: se studiamo un autore invece di un altro è perché, storicamente, quell’autore è stato considerato non migliore ma più in linea con il canone, più canonico. Petrarca per secoli ha oscurato Dante. L’autore imprescindibile per i romantici era Torquato Tasso, genio folle e malinconico. La tavola dei valori varia nel tempo, e la fortuna di un autore ne dipende tantissimo.

Il canone trascina con sé alcuni spettri e ne lascia altri nell’ombra. Un esempio lo fornisce Giunta, raccontando di quando, durante la compilazione del suo manuale, qualcuno gli aveva suggerito di aggiungere Federico Della Valle, autore piemontese seicentesco. Perché mai inserire Della Valle, autore secondario che, onestamente, non aggiungeva nulla di più all’opera di altri?  La risposta è semplice e annichilente:

“Un secolo fa, Benedetto Croce ha riscoperto questo scrittore, contemporaneo di Shakespeare, di Lope de Vega, e da allora, nei manuali, Della Valle è servito soprattutto per riempire una casella che era rimasta vacante, quella del grande tragediografo italiano nel secolo europeo del teatro”.

Benedetto Croce. Un secolo fa.  Giunta si è rifiutato di inserire Della Valle, e i suoi studenti gli saranno certamente grati — senza offesa per Della Valle, si intende.

Particolarmente interessante è poi il discorso inerente al canone letterario novecentesco, molto più labile, meno fisso, in continuo aggiornamento. Anche in questo caso, sia per la poetica che per la narrativa, ci sono i nomi imprescindibili: a cavallo del secolo Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio, poi Luigi Pirandello, e Giuseppe Ungaretti, seguiti da Italo Svevo, Eugenio Montale, Umberto Saba, Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia. In chiusura Cesare Pavese, Italo Calvino, Primo Levi, Beppe Fenoglio. Per i più valorosi, Vittorio Sereni e Giorgio Caproni.

Ovviamente, il più delle volte è già tanto se si arriva a Umberto Saba. Il tempo per il Novecento risulta sempre risicato, eppure è (per ovvi motivi) il secolo che più affascina gli studenti.

illustrazione Arianna Favaro
illustrazione Arianna Favaro

Spesso vengono dati da leggere libri di autori Novecenteschi negli anni precedenti, alcune volte a sproposito e senza una selezione ragionata. Quasi sempre si rimane confinati in una rosa d’autori poco vasta, i cosiddetti classici di fine Ottocento/inizio Novecento. I nomi sopra citati vengono trattati in minima parte e solo nell’ultimo anno, solitamente dando molto più spazio alla poesia di inizio secolo — questione di canone.

Il secondo Novecento, questo sconosciuto. La contemporaneità, non pervenuta. Come si diceva all’inizio, ci sono professori brillanti e coraggiosi che, di fianco ai grandi classici, indicano, nei programmi del triennio, letture che vanno addirittura oltre il 1930. Spesso e volentieri si tratta di Pavese o, ancora più sovente, Calvino — unico autore del secondo Novecento pressoché sempre presente nelle scuole e, guarda caso, autore preferito di molti studenti (ti piace vincere facile eh, Italo) — ma, in casi fortunati, si leggono anche Dino Buzzati, Alberto Arbasino, o Bassani, autori che spesso nei manuali non ci entrano nemmeno — o ci entrano ma vengono ignorati. Altre volte, incredibili e rare, si leggono dei contemporanei: i casi letterari, le nuove uscite interessanti.

Talvolta, addirittura, si leggono Elsa Morante e Natalia Ginzburg, le uniche due donne considerate degne di entrare nel canone. Sì, perché il Novecento è ricco di donne scrittrici e donne poetesse, donne che hanno svelato la propria interiorità, che hanno difeso i propri diritti quando nessuno ancora ne parlava, donne che han guardato la guerra dall’altra prospettiva e l’hanno raccontata in maniera impeccabile. Queste donne — da Sibilla Aleramo a Fausta Cialente, da Alba De Céspedes a Lalla Romano — sono rimaste presenze impalpabili, troppo poco canoniche per le aule, non degne di entrare in quel pantheon di autori. Funambole al bordo di un canone palesemente sessista, frutto di una tradizione critica creata da uomini, in nome di una presunta superiorità intellettuale. Ad oggi molte studiose stanno portando avanti ricerche su tutte quelle donne escluse a priori dalla storia della letteratura istituzionale, e i risultati sono abbastanza inquietanti.

Senza togliere troppo spazio agli autori imprescindibili, forse letture diverse, meno canoniche, potrebbero stimolare maggiormente la curiosità di uno studente. Magari un libro percepito come meno istituzionale può toccare corde diverse. Magari davvero il canone deve essere rivisto, ampliato. Magari alcuni mostri sacri, oggi, possono essere trattati diversamente, trovando un accordo col presente.

In questa direzione si sono mosse Alessandra Terrile, Paola Biglia e Cristina Terrile, le autrici di “Una Grande Esperienza di Sé,” un nuovo manuale di letteratura in sei volumi per le scuole superiori, edito da Pearson. Il progetto nasce con l’idea di avvicinare gli studenti alla letteratura attraverso una lingua viva e comprensibile che non rinunci alla cura formale, e attraverso un percorso di lettura diverso, atto ad affiancare i grandi del passato ai grandi del presente. Per ritrovare l’umano e guidare gli studenti nella crescita individuale, attraverso la letteratura.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Alessandra Terrile, per capire come uno studio diverso della letteratura possa essere ancora possibile, e quali possano essere le vie migliori per insegnare il presente.

illustrazione Arianna Favaro
illustrazione Arianna Favaro

Sfogliando il volume relativo al ’900 ho visto che avete dato spazio ad autori contemporanei a cui, nella maggior parte dei manuali per licei, non viene data grande rilevanza. Come mai questa scelta?

Noi siamo appassionate di letteratura, e nutriamo molta fiducia nella possibilità che la letteratura possa, alla fine, toccare i ragazzi. Nella scuola di oggi lo spazio destinato alla letteratura è sempre più risicato, per ragioni di tempo scolastico e organizzazione. Pensiamo che sia importante capire che apparteniamo al nostro tempo e che, ancora oggi, c’è chi sceglie la lingua letteraria come forma di espressione. Dare spazio ad autori del secondo Novecento e della contemporaneità che potessero interessare i ragazzi, che riuscissero a dire qualcosa che li riguarda dal punto di vista esistenziale, ci è parsa una sfida interessante. Anche quando vengono citati in modo non particolarmente approfondito, sono autori che possono aprire una finestra di interesse: se ti piacciono puoi leggerli anche da solo, comprare il loro ultimo romanzo o ricercare i precedenti.

Avete scelto di introdurre anche gli autori del passato per mezzo di voci contemporanee

Gli autori contemporanei si trovano in tutti i volumi, in dialogo con i classici. La scelta nasce dall’esperienza sul campo: quando un’insegnante procede faticosamente nella storia letteraria — penso soprattutto al primo anno, quando si trattano le origini della letteratura e il Trecento, autori molto lontani anche linguisticamente dai ragazzi —  aprire una finestra sul presente significa mostrare che ancora oggi gli autori possono esprimersi su quello specifico tema o attraverso quello specifico modo linguistico. Penso, ad esempio, a Michele Mari in dialogo con Cavalcanti. è un modo per comprendere meglio il passato, senza dimenticarci di vivere nel presente.

illustrazione Arianna Favaro
illustrazione Arianna Favaro

Michele Mari è stato reputato il classico di domani, un autore che continueremo a leggere in futuro. Per lui la scelta è facilmente comprensibile. In generale, come avete scelto gli autori contemporanei da inserire nel manuale?

Mari è entrato nel manuale anche come poeta, e in questa veste ci pare ancora più proponibile, a causa della sua lingua rigogliosa, complessa e bellissima. In Cento Poesie d’amore a Ladyhawke, poi, c’è il riferimento esplicito a Cavalcanti, dunque la scelta è stata abbastanza sicura. In generale, il criterio che ci guida è sempre duplice: da una parte è importante che l’autore possa interessare ai ragazzi, che tocchi corde che li riguardi. Dall’altra è fondamentale l’accessibilità: scegliamo testi che possano avere una propria autonomia, e possano essere  comprensibili anche avulsi dal contesto. Oggi non tutta la letteratura è minimalista, ridotta al linguaggio minimo giornalistico, referenziale. Non tutta la letteratura si limita a raccontare una storia e basta. C’è una letteratura che da ancora grande importanza alla forma, alla lingua e allo stile. Questo è fondamentale: molti ragazzi alle superiori leggono fantasy non sempre letterariamente validi. In quei libri cercano la storia, la vicenda. Io li sprono a sentire l’esigenza di leggere anche una bella lingua.

Un altro motivo di selezione è la rilevanza culturale. Pensiamo ai poeti contemporanei: sono tantissimi e non esiste un canone stabile. L’idea è di scegliere autori che siano al contempo molto riconosciuti e culturalmente rilevanti, che pubblichino da parecchi anni, magari tradotti all’estero. Autori di alto livello capaci di parlare a ragazzi che si accostano per la prima volta alla letteratura contemporanea in senso diacronico, con alle spalle uno studio di storia letteraria. Ci rendiamo conto che sembri una contraddizione in termini, ma una compresenza di alto livello letterario e accessibilità è possibile.

Parliamo del canone letterario: quanto un autore di manuali è responsabile del mantenimento e/o evoluzione del canone? Ad esempio, nel vostro manuale avete inserito Alda Merini, autrice poco canonica e tradizionalmente considerata scomoda.

Credo che un autore di antologie e manuali abbia una grande responsabilità. Il canone si fissa quando a un autore viene concesso di uscire dalle aule universitarie e di arrivare non solo ai ragazzi, ma anche i professori. È un processo che inizia a livello accademico e di ricerca, ma in cui la divulgazione ha un ruolo cruciale. Se un autore viene proposto in un manuale molto letto e molto usato a scuola, ci sono maggiori possibilità che quello stesso autore diventi un classico.

Alda Merini è un’autrice che non appare spesso nei manuali scolastici in quanto un po’ scomoda e spigolosa. Alcuni suoi testi sono ardui sia per i temi sia per lo stile, ed è indubbiamente difficile da affrontare, anche a causa dello scarso lavoro critico sulle sue opere — negli ultimi suoi anni scriveva ovunque e regalava le poesie a chiunque, il lavoro filologico da fare è ancora enorme.

illustrazione Emanuele Luzzati
illustrazione Emanuele Luzzati

Personalmente ritengo, però, che sia un’autrice interessante da proporre ai ragazzi: la Merini è una donna che si è sentita fin dall’inizio abitata dalla poesia, trascinata da qualcosa che trascendeva la sua volontà. Si sentiva letteralmente destinata a scrivere a versi, e nella scrittura non ha utilizzato filtri. Non tutti i suoi testi sono rilevanti, e non tutti sono proponibili in una classe, ma alcuni mettono il lettore direttamente in contatto con la follia, con il corpo, con la fatica di vivere, senza alcuna mediazione razionale. Sono tematiche importanti, anche e soprattutto per un adolescente. Noi non vogliamo addomesticarla: lo scopo è sempre quello di restituire la voce dei poeti autenticamente, con una mediazione linguistica e critica ma senza forzature.

Alda Merini appare anche in dialogo con Ariosto: abbiamo scelto di introdurre con Io sono folle folle il tema della follia di Orlando. L’Orlando Furioso si fa al secondo anno di triennio, e spesso il nome della Merini è completamente ignoto ai ragazzi di quell’età.

Siamo negli anni della narrazione multimediale, secondo voi quale è il modo migliore di coinvolgere un ragazzino nello studio della letteratura, così che il libro non sembri un “qualcosa di imposto”?

È questa la sfida. Non bisogna nascondere che si tratta di un discorso complesso, che la letteratura richiede lentezza, tempo e dedizione. Ma, dato che la letteratura parla dell’uomo, lo scopo è quello di far sentire l’umano. La sfida è fare capire allo studente che nella letteratura si sta parlando di lui, di qualcosa che lo riguarda come uomo o donna o persona. Noi insegnanti non dobbiamo conquistare i ragazzi facendo i saltimbanchi, non è quello il nostro compito, non siamo intrattenitori e non possiamo metterci sul piano dei social o delle serie tv. La sfida è proprio quella di accompagnare i ragazzi nella letteratura, portarli fino in fondo, finché non scoprono qualcosa di bello lì dentro, qualcosa che può interessarli perchè nutre quell’aspetto dell’humanitas che appartiene anche a loro. Bisogna far capire al ragazzo la lingua letteraria senza che questa si abbassi, e restituire l’uomo negli autori della letteratura del passato. Anche questo punto è molto importante: gli autori del passato non devono essere percepiti come dei monumenti intoccabili. Noi diamo spazio alla vicenda umana e alle fattezze fisiche mostrando fotografie e ritratti degli autori, come a dire: “quello scrittore o quel poeta puoi guardarlo in faccia, osservarlo nella sua forma umana. Perché di umano si tratta, uomo o donna come te”.

Se riusciamo a far capire questo, poi il percorso avviene da solo. Basta un seme. Non riusciamo con tutti, ma se si riesce con alcuni è già un risultato.

Oltre alle fotografie, nel vostro manuale ci sono anche molte illustrazioni, spesso d’autore, si veda, ad esempio, Lorenzo Mattotti per l’Inferno di Dante. Anche questa scelta è al fine di avvicinamento al presente?

Quando mi sono trovata davanti all’edizione Nuages dell’Inferno di Dante, illustrato da Mattotti, sono rimasta affascinata. Volevamo dare la prova del fatto che ancora oggi gli artisti si lasciano ispirare dagli autori del passato. Un artista contemporaneo riesce ancora a  immaginare Paolo e Francesca o la fiamma di Ulisse. Mattotti ha reso la selva oscura con l’immagine di Dante avvolto da un buio assoluto. è molto difficile rendere quel buio su una pagina di un manuale scolastico, con una carta di non altissimo livello, ma a noi interessava proprio mostrare quel buio irto, renderlo palese. Abbiamo scelto solo grandi autori contemporanei, come Guttuso, Emanuele Luzzati per Boccaccio e Mimmo Paladino per Ariosto.

E quanto è importante il linguaggio orale e verbale, oltre che quello visivo?

Moltissimo. La letteratura insegna a pensare, a guardare oltre le apparenze, a porsi delle domande. Ma ci si arriva se si possiede la lingua adeguata. abbiamo curato in prima persona gli esercizi legati all’oralità perché li riteniamo fondamentali. Spesso i ragazzi arrivano alle superiori con una scarsissima padronanza lessicale, e per loro è molto difficile trovare le parole per esprimersi adeguatamente, per dire esattamente quello che vogliono dire. Il compito della letteratura è anche questo.

Manuali e risorse online: quale è stata la vostra scelta e perchè

Le risorse online sono previste dalla legge, quindi è stata una scelta dovuta. Il nostro scopo è indirizzare i ragazzi verso un uso consapevole del digitale, a  saper selezionare le fonti quando fanno ricerca. La situazione nelle scuole è difficile: mancano gli strumenti e i mezzi adeguati per una conversione al digitale. Inoltre lo studio è ancora qualcosa che si fa scrivendo, sottolineando, appuntando. Bisogna trovare il giusto mezzo e la giusta strategia. Noi abbiamo pensato di ovviare la mancanza di strumentazione delle strutture scolastiche e puntare direttamente agli smartphone: nel nostro libro sono presenti dei QR code, basta inquadrare quelli per arrivare alla risorsa online (che può essere un reading di un attore, un filmato o delle immagini). in questo modo anche il temutissimo smartphone può diventare uno strumento di lavoro utile alla causa.