Riflessi dall’Europa dell’est. Ventidue anni in viaggio con Fabio Sgroi
“Ho sempre guardato il mondo così, del resto anche la macchina fotografica è un filtro con vetri e specchi.”
Diaframma è la nostra rubrica–galleria di fotografia, fotogiornalismo e fotosintesi. Ogni settimana, una conversazione a quattr’occhi con un fotografo e un suo progetto che sveliamo giorno dopo giorno sul nostro profilo Instagram e sulla pagina Facebook di Diaframma.
I lavori fotografici più classici sono quelli che oggi guardiamo con maggiore scetticismo. Siamo soggetti a guardare e proporre stili, visioni, metodologie sempre nuove: chi propone visioni coerenti con la storia dell’immagine fotografica è quindi esposto adun grosso rischio: il pubblico. Possiamo più agevolmente di altre decadi sentirci osservatori e autori di immagini. In tanti usiamo Instagram o Pinterest, i giornali e le riviste online le osserviamo per forza di cose, cosa che qualche anno fa non avremmo fatto, chissà. Mentre anni fa potevamo considerarci (forse dovrei dire potevate considerarvi) ricettori attivi, oggi siamo ricettori passivi. Ogni nuovo input, anche se inconsapevole, lo archiviamo nel nostro cervello come nuova competenza acquisita. Si tratta di cambi repentini, come possono essere quelli che ha attraversato l’Europa negli ultimi anni, storie e fatti che si susseguono e che facciamo fatica a tenere insieme e a cui possiamo dare una risposta certa. Dovremmo guardare così il lavoro di Fabio Sgroi, con la risolutezza di uno stile sicuro della storia che lo precede e con l’attenzione necessaria per cogliere quelle differenze stilistiche tra formati e composizioni che indagano una Europa che viene vista mentre si costruisce o, forse, ricostruisce.
Il libro di Fabio Sgroi è edito da Crowdbooks.
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All’interno del libro Past Euphoria Post Europa sono raccolte 74 fotografie, scattate nell’arco degli ultimi 22 anni. Il libro parla di Europa. Nel corso di questi anni la tua idea di Europa è rimasta costante, o è cambiata mentre passavano gli anni?
Il mio viaggio è stato abbastanza lungo e diramato nel tempo, un percorso che parte dal centro Europa per allargarsi verso est, dove in questi anni, come in tanti altri paesi, alcune cose sono cambiate. Basti pensare all’attuale premier polacco Duda, che io ho ripreso in una fotografia contenuta nel libro durante una festa religiosa; il centro urbano di Skopye, capitale della Macedonia, è cambiato dalle mie prime visite, sono state costruite diverse statua per dare una identità al popolo.
Con le mie fotografie ho voluto registrare questi cambiamenti e porre degli interrogativi: l’Europa è grande e ne fanno parte diversi stati, oltre ad essere in continua evoluzione, ma non posso io dire se si tratta di un successo o di un fallimento.
Oltre alle 74 foto che citi, all’interno del libro ci sono anche 16 scatti di manifesti elettorali strappati durante le elezioni che danno anche un ritratto politico dei vari paesi.
L’evoluzione che ha subito l’Europa, soprattutto in termini di espansione geografica, aspetto che viene sottolineato anche nella postfazione, dove l’hai potuto constatare maggiormente? Nelle città, i paesi, le persone, giovani e anziani, o la lingua?
Nelle fotografie potrei dire che ho provato a dare la parola a tutto quello che mi ha catturato. La selezione finale delle foto non è stata facile per via del gran numero di immagini che ho archiviato, ma l’atmosfera che ho voluto ricreare è una sola ed ha un suo filo logico.
Il lavoro è impostato in maniera tale che il lettore possa avere molteplici vie di riflessione. Si tratta di un viaggio personale, non sono io quello che deve dare giudizi o prendere posizione.
In una intervista a Parole di Luce affermi che hai “viaggiato seguendo le intenzioni dell’Unione Europea.” Le intenzioni di cui si parla si traducono nell’allargamento dei confini europei verso est. Come mai questa scelta? La Germania è il paese rappresentato nel libro più a ovest dell’Europa.
Nel libro ho inserito una fotografia del 1994 scattata durante la Love parade di Berlino, qualche anno dopo la caduta del Muro, una foto significativa per l’intero progetto: il momento di euforia, speranza, unione e libertà che si stava cominciando a vivere dopo il crollo del muro sovietico e la fine della guerra fredda.
Il viaggio del libro però inizia nel 2004, negli anni in cui l’espansione della Comunità Europea andava verso i paesi dell’Est come la Romania, la Croazia, la Polonia. Questo è il risultato della mia ricerca, fino ad arrivare al 2016 con l’innalzamento di nuovi confini e ristrettezze per interi popoli.
Nell’introduzione, scritta da Giovana Calvenzi, viene tirata in causa anche la street photography. Comunemente viene associata a un’idea di rapidità, di scatto rapido e rubato. Come si coniuga la velocità del singolo scatto rubato, tipico della street photography, con un lavoro così lungo?
Non penso che ci sia un conflitto fra le due cose, e una persona attenta come la Calvenzi l’ha notato definendo il lavoro come street photography del duemila. All’interno del libro ho associato il paesaggio in formato panoramico, più statico, a fotografie più tipicamente street, e dunque più dinamiche. Credo che la fotografia debba essere più ponderata, anche se viviamo un in tempo che divora sé stesso.
L’idea di realizzare un libro quando è arrivata? O c’è sempre stata?
Fin dall’inizio ho raccolto le mie fotografie in un archivio cartaceo insieme a provini a contatto, piccole stampe, catalogate per temi, luoghi; man mano ho prodotto piccoli dummy (libri autoprodotti, ndr) che poi negli anni ho modificato.
Il bianco e nero: nella tua carriera è una costante. Come mai questa scelta, direi, a priori?
Ho sempre lavorato in pellicola in bianco e nero ed in progetti a lungo termine. Anche quando è entrato il digitale nel mio lavoro, per me la visione dell’immagine è rimasta sempre la stessa, ho sempre cercato di tenere una costante nei miei lavori.
Mi parleresti del formato fotografico invece? Nel corso della carriera ne hai usati diversi, soprattutto il formato panoramico, tutti presenti all’interno del libro. Come influisce il formato sulla realizzazione di uno scatto e, nel tuo caso, come può interagire in un discorso così ampio e così lungo?
Ho iniziato con il 35 mm e sono sempre stato affascinato da un formato più lungo, più cinematografico insomma. Prima della mia prima macchina panoramica, provai ad usare una 6×6 tagliando il fotogramma. A New York poi ho incontrato Thomas Roma, che allora modificava i corpi macchina, ma per me il costo era troppo elevato, si trattava di pezzi in pochi esemplari.
Nelle tue fotografie ricorre spesso l’utilizzo di quinte, specchi, vetri, reti, rami, che celano, almeno in parte, i veri soggetti delle fotografie. È una scelta, voluta e consapevole, anche all’interno di un lavoro di editing per il libro, o è il tuo modo naturale di osservare il mondo?
Ho sempre guardato il mondo così, del resto anche la macchina fotografica è un filtro con vetri e specchi. Questa è una caratteristica che trovi in tutti i miei lavori, una ricerca personale all’interno della composizione del singolo fotogramma.
Visto che si tratta di un lavoro che ha richiesto molto tempo, volevo chiudere con una domanda molto semplice. Sei contento del tuo lavoro? Parlamene pure liberamente.
Si, sono abbastanza soddisfatto. Il primo libro monografico è anche una presentazione che fai di te ad un pubblico più vasto, creando un impronta iniziale ad un percorso che spero possa continuare. Ho ancora molto da mostrare e da fotografare. Con Stefano Bianchi, editore, e con Vito Battista,, il grafico, ho avuto una perfetta sintonia; certo non è stato semplice, ma avevo già una traccia pronta su cui abbiamo lavorato. C’è’ stata una lunga collaborazione prima di arrivare al volume definitivo, fino a seguirne personalmente la stampa da EBS a Verona, la migliore tipografia in Italia con una lunga esperienze di libri fotografici.
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Fabio Sgroi è nato a Palermo nel 1965. Si avvicina alla fotografia nel 1984 da autodidatta, scattando fotografie ai suoi amici, giovani vicini alla musica punk e underground; nel 1986 per due anni entra a far parte dell’agenzia di Letizia Battaglia e Franco Zecchin, Informazione fotografica, per conto del quotidiano “L’Ora” di Palermo. Fin dall’inizio dedica il suo lavoro alla sua città e alla sua terra, la Sicilia, concentrandosi sulle ricorrenze annuali, le cerimonie religiose e la vita quotidiana. Viaggia e lavora attraverso l’Europa e in diverse parti del mondo. Nel 2000 si concentra anche sul formato panoramico dedicandosi al paesaggio urbano e all’archeologia industriale. Prende parte a mostre collettive ed espone in mostre personali, in Italia e all’estero. La sua carriera include la partecipazione ad alcuni progetti internazionali e residenze. Il suo primo libro “Past Euphoria Post Europa” è uscito a fine dicembre del 2017, stampato da Crowdbooks, una piattaforma on line di raccolta fondi specializzata in libri fotografici.