Macao reinventa il concetto di istituzione fluida a Milano

In occasione dell’assemblea pubblica che si è svolta venerdì 12 gennaio a Macao abbiamo chiesto ad alcuni esponenti del collettivo cosa sarà l’ex Borsa del macello da domani.

Macao reinventa il concetto di istituzione fluida a Milano

foto di Elena Buzzo

In occasione dell’assemblea pubblica che si è svolta venerdì 12 gennaio a Macao — “Guida galattica per nuove istituzioni” — abbiamo chiesto ad alcuni esponenti del collettivo cosa sarà l’ex Borsa del macello da domani.

Durante l’evento, sviluppato in collaborazione con gli studenti e le studentesse del Politecnico di Milano e dell’Università Bocconi, sono stati presentati i nuovi progetti per la riqualificazione dello spazio, affiancati da un piano finanziario a lunga durata. L’obiettivo è la rinascita e la sostenibilità di Macao, il centro per le arti, la cultura e la ricerca che dal 2012 occupa la palazzina di Viale Molise 68, ex sede della Borsa del macello di Milano.

Lo stabile, di proprietà della Sogemi Spa, una partecipata del Comune di Milano che gestisce tutti i mercati all’ingrosso del capoluogo lombardo, è una palazzina in stile liberty che ospita una produzione artistica e musicale tra le più prolifiche della città.

Ma come tutti i centri sociali milanesi ha dovuto fare i conti con gli sgomberi e con il silenzio del Comune, come è successo recentemente con Lume e da ormai vent’anni con il Leoncavallo — che va avanti grazie a proroghe di sfratto dopo che la carta di Milano proposta il 19 settembre 1998 dal centro sociale alla giunta precedente era finita in fumo.

Con gli anni Macao ha maturato un’altra strategia per uscire dalle dinamiche di repressione e sfratto e ha deciso di comprare lo stabile. Per poterlo fare è stato chiesto l’intervento dell’organizzazione tedesca Mietshäuser Syndikat (Sindacato dei Condomini) nata negli anni ‘80 e specializzata nell’acquisto collettivo di luoghi occupati a lungo termine — grazie a loro 127 progetti in Germania hanno potuto continuare ad esistere.

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Questo aiuterebbe a fare uscire Macao dalle logiche di mercato che vedono coinvolti il Comune e Sogemi Spa. Ma il progetto è oggi in stallo per questioni burocratiche, anche se non del tutto accantonato.

Da maggio 2017 il Comune ha aperto un tavolo di confronto con Macao e forse oggi qualcosa sta cambiando. Infatti, proprio da venerdì il Comune ha preso in gestione le palazzine di Viale Molise e, appena finirà l’iter di assegnazione, lo stabile occupato da Macao sarà totalmente di proprietà comunale.

“Il dialogo potrà continuare ora con una linea più diretta,” ci ha detto Luca Gibillini, membro del Gabinetto del Sindaco, presente venerdì alla serata di presentazione del nuovo Macao.

“Macao ha dimostrato di avere la volontà di intraprendere una strada di regolarizzazione, che vuol dire superare la fase dell’occupazione in senso stretto e costruire un nuovo modello con stimoli molto suggestivi sia sulla produzione culturale, sia sull’interazione sul territorio, sia sulle leve amministrative che permettono assieme al bene comune di sviluppare progetti. Siamo in ascolto, ci stiamo confrontando e stiamo cercando di capire quali sono gli strumenti che amministrativamente possiamo avere a disposizione per rendere il dialogo effettivo e portare a casa dei risultati per la città.”

Per la prima volta il Comune ha partecipato a un evento di Macao in vesti ufficiali — forse di un centro sociale in generale.

L’assemblea di gestione del collettivo di Macao oggi è composta da un’ottantina di persone. È uno spazio aperto a nuove collaborazioni e nuove idee, nonché a nuove istituzioni, come abbiamo visto nel corso della serata di venerdì in cui gli studenti del Politecnico e dell’Università Bocconi hanno presentato il progetto di rinnovamento a 360 gradi dello stabile.

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Abbiamo chiesto ai ragazzi di Macao — Livio, Manuela, Andrea, Federica, Giovanni e Federico — di raccontarci la loro esperienza e come sarà Macao da domani.

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Come funziona Macao?

L: A livello personale ognuno di noi ha una storia diversa, Giovanni e Manuela forse sono i più veterani. Tanta gente se n’è andata e tanta gente è arrivata. Questo è un po’ il senso che vogliamo dare a questa cosa, ovvero la fluidità e la permeabilità sia dello spazio che del processo decisionale.

M: L’assemblea che facciamo ogni martedì non è un organismo fisso e definito, con delle persone che hanno delle responsabilità precise ma è fluida e accoglie tutti. Questo consente un processo di rinnovamento di idee e progetti.

Come si applica il concetto di fluidità alla città?

M: Questo progetto vuole costruire un dispositivo legale replicabile e scalabile su altri generi di spazi abbandonati, che vengano usati dai cittadini. Spesso il problema dei bandi è che non sono inclusivi e pongono condizioni restrittive soprattutto dal punto di vista economico per gruppi di cittadini appena nati. La questione della fluidità riguarda il poter utilizzare gli spazi abbandonati come gruppi di liberi cittadini che formano dei momenti di incontro e costruzione, senza essere rinchiusi in una struttura statica.

G: Da una parte la fluidità è la possibilità di esportare endemicamente questo modello, rendendolo replicabile ad altre realtà. Dall’altra parliamo di fluidità interna, sempre aperta a forme di rigenerazione da parte delle persone che lo animano.

F: Il richiamo all’acqua sul soffitto (sul quale è stato proiettato un acquario nel corso della serata ndr) non è a caso. L’acqua è alla base e fluidità significa anche avere basi sulle quali costruire questo progetto che sia capillare.

Tutto ciò si inscrive anche in un discorso di sostenibilità ambientale?

A: Ad essere franchi, in questo momento no. È uno degli obiettivi, questo sì. Il problema è che la precarietà strutturale in cui ci troviamo, noi come altri spazi, rende difficile, anzi impedisce di concentrarsi solo su quello. Per esempio, allo stato attuale, non possiamo sostenere la spesa dei pannelli solari sul tetto.

L: Le singole individualità che vivono lo spazio sono tutt’altro che estranee a certe forme di rispetto per l’ambiente. Nel momento in cui ci troviamo a dover raccogliere la spazzatura dopo una serata a cui sono intervenute 1500 persone, un minimo di cura nella suddivisione dei rifiuti la mettiamo. A livello di progetto comune, l’obiettivo è perseguire una certa via sostenibile; al contempo dobbiamo adattarci alla situazione.

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Macao dentro Milano: come volete porvi all’interno della città?

A: Un modello perseguibile, come lo sono la Cavallerizza a Torino o l’Asilo a Napoli. Sarebbe bello se Macao fosse l’inizio di qualcosa di importante qui.

G: Già in precedenza da Macao, sono partiti spunti per cose realizzate altrove. La pratica degli usi civici a Napoli ha un legame con la delibera di tre anni fa proprio sugli usi civici. Stesso discorso per la Cavallerizza. Alla base di tutto ciò, non vogliamo negare il concetto di occupazione.

L: L’occupazione fa parte della nostra storia, voler andare oltre non ne nega il valore come atto politico, semplicemente si tratta di costruire un’alternativa che permetta a tante realtà affini a noi, di costituirsi a livello legislativo ed economico. Realtà che magari non si riconoscono nell’occupare, ma nemmeno hanno la disponibilità economica per partecipare a bandi. Si tratta di una terza via che speriamo possa essere replicabile. Rappresentare un modello non vuol dire farlo solo a livello istituzionale, ma usare lo strumento istituzionale per rendere il modello accessibile al pubblico.

F: Questi spazi possono davvero portare un cambiamento e rappresentano una possibilità per quanti abbiano un’idea, un progetto, una proposta e vogliano vederli realizzati in collaborazione e condivisone con quanto esiste qui dentro. Uno dei grandi meriti di Macao a livello politico e sociale, è quello di mettere in relazione entità mosse da bandiere ideologiche diverse che discutono e costruiscono qualcosa, grazie proprio all’accessibilità.

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L’esempio dell’Asilo Filangieri viene spesso citato dai ragazzi: occupato nel 2012, l’ex asilo, palazzo storico di Napoli nel quartiere San Lorenzo, è stato riconosciuto dal comune come luogo della cultura della città grazie alla la delibera 446 del 1 giugno 2016 con la quale il comune ha legalizzato 7 spazi occupati, restituendoli ai cittadini.

Abbiamo chiesto a Gibillini perché Macao fa così fatica a diventare il Filangieri di Milano.

“Noi in questi mesi cerchiamo leve amministrative che non infrangano la legge. A differenza del comune di Napoli, il comune di Milano non vuole fare cose contro le norme dello Stato. Napoli è sotto processo amministrativo penale da un lato e deve rispondere alla corte dei conti dall’altro per alcune scelte fatte dal suo sindaco. Noi cerchiamo di trovare degli strumenti amministrativi intoccabili che permettano di portare a casa delle soluzioni senza ‘guappate’.”

Nonostante ci siano ancora numerosi punti da chiarire Macao potrebbe entrare oggi in una nuova fase, verso il riconoscimento degli sforzi fatti in direzione della cittadinanza e del riutilizzo di spazi altrimenti abbandonati, per diventare uno stimolo per tutti i milanesi a guardare all’offerta culturale con uno sguardo sempre più aperto e inclusivo.

È necessario che la partecipazione sia incoraggiata e non resti solo un concetto per chi ha disponibilità economica e di tempo da investirvi.