The Shining raccontato da nuove polaroid scattate sul set
Recentemente sono riaffiorate delle polaroid misteriose che immortalano, con un’estetica in pieno stile Overlook Hotel, i protagonisti del film.
Non è un mistero che il regista Stanley Kubrick fosse un grande appassionato di fotografia, fu proprio la sua passione per i processi fotosensibili infatti a introdurlo al mondo del cinema.
Già a diciassette anni, con la macchina fotografica regalata dal padre, il giovane Kubrick si muoveva tra le vie di New York immortalando i suoi abitanti con uno sguardo curioso e deciso, privo di quell’innocenza che ci si potrebbe aspettare da un giovanissimo fotografo.
Ma l’immagine statica non era abbastanza per il suo genio, che voleva dare vita e voce a quei soggetti già catturati su pellicola. Ben presto lo sguardo di giovane fotografo si trasforma con Paura e Desiderio, The Killing e Orizzonti di gloria in quello di un cineasta maturo e consapevole dell’arte che sta esercitando. Ma per quanto la sua attenzione si sia dedicata per quasi tutta la carriera alla macchina da presa, la passione per la fotografia non lo abbandonò mai, soprattutto durante i faticosi mesi di produzione delle sue opere più famose.
Tra un ciak e l’altro, il regista documentava il set scattando foto agli attori, alla troupe, alle scenografie e spesso anche a se stesso — diventano inconsapevolmente uno dei primi fotografi a sperimentare il selfie.
Da 2001: Odissea nello spazio a Full Metal Jacket, l’internet straborda di foto scattate sui set dei film di Kubrick che raccontano il dietro le quinte delle pellicole che ci hanno incantati, spaventati e spesso stupiti. Anche The Shining, undicesimo lungometraggio e unico horror del regista, ha la sua buona dose di materiale extra scenico, ma recentemente sono riaffiorate delle polaroid misteriose che immortalano – con un’estetica in pieno stile Overlook Hotel – i protagonisti del film.
Le riprese del film, che inizialmente dovevano durare solo 16 settimane, si prolungarono per più di un anno a causa della metodologia quasi maniacale di Kubrick, il quale pretendeva perfezione in ogni singola ripresa.
Per Shelley Duvall le riprese diventarono un vero e proprio tour de force, in cui non mancarono pesanti discussioni con il regista su recitazione, sceneggiatura e tutto ciò che riguardava il suo personaggio.
Il copione veniva cambiato in continuazione, tanto che Nicholson, a cui veniva fornito ogni due giorni una nuova versione, non perdeva neanche tempo a leggere gli aggiornamenti e buttava via i copioni che gli venivano dati di volta in volta aspettando i minuti prima delle riprese per imparare le battute.
Quello che stupisce delle nuove polaroid è il loro aspetto trascurato, con l’impressione che siano state lasciate per anni a invecchiare nell’armadio della vecchia sede di qualche studios di Hollywood — e riscoperte dopo tanti anni da un giovane stagista alla ricerca di perle nascoste. O così ce lo siamo immaginati.