Come se la passano i cinema indipendenti in Italia
I cinema indipendenti fanno comunità, stimolano un altro tipo di approccio sia alla relazione che alla fruizione culturale.
Una conversazione sul futuro della sala cinematografica del tuo quartiere.
Nicola Curtoni ed Emilia Desantis hanno speso metà autunno girando tutta la penisola per stanare le sale cinematografiche indipendenti e scoprire come se la passano. Hanno raccontato il loro viaggio sul sito Il giro dei cinema. Abbiamo parlato con Nicola del progetto e di come cambieranno queste sale nell’era dei multisala e di Netflix.
Ciao Nicola. Innanzitutto, perché avete intrapreso questo viaggio?
Volevamo conoscere lo stato dell’arte dei cinema indipendenti in Italia. Non c’erano lavori sul tema.
Qualche dato?
Siamo stati in giro 45 giorni, incontrando più di 80 esercenti e visitando 42 cinema. Siamo partiti dalla Lombardia, poi Piemonte e Liguria. Costa tirrenica fino a Roma, Salerno e Reggio Calabria. Sbarco in Sicilia, in seguito Matera e Puglia. Tutto l’Adriatico per concludere a Pordenone.
Com’è la situazione delle sale indipendenti italiane?
Un viaggio così lungo non può che restituire una realtà molto variegata, con situazioni molto distanti tra loro. In generale, direi che abbiamo incontrato molti esempi economicamente sostenibili. Esistono vari tipi di operatori (imprenditori, volontari o fondazioni private) che riescono a tenere aperte le sale: c’è vita fuori dal multisala. Il circuito ha retto, nonostante la crisi; il pubblico d’essai è ancora attirato dalla visione in sala. Se negli anni ’90 le mono-sale sembravano destinate a sparire, l’anno scorso c’è stato un saldo positivo tra chiusure ed aperture (+88 sale).
Indicaci i due problemi principali che i gestori devono affrontare.
Il primo è l’accesso ai film. Le agenzie hanno molto potere contrattuale, la negoziazione per una sala di piccole o medie dimensioni è sempre un processo complicato. Il guadagno sul prezzo del biglietto è basso, attorno al 40%, e raramente hai il bar ultra-fornito che ti moltiplica gli introiti, come nei multisala.
Il secondo è il ricambio di pubblico. Specie dove la gestione è in mano alle stesse persone da decenni, ci sono poche idee, poca voglia di innovare e aprirsi ad un pubblico più eterogeneo. Ci si aspetta ancora che basti mettere la locandina e la sala si riempia. Non è più così: oggi bisogna creare un “evento” attorno al film. A volte, allora, capita che istituzioni storiche muoiano per risorgere in una nuova veste. Penso all’Alcazar di Roma, che ha riaperto proponendosi anche come sala concerti e bistrot.
Che rapporto esiste tra la sala indipendente e la comunità a cui si rivolge?
La parola chiave è coinvolgimento, nel senso inglese di engagement. Il pubblico è attivamente coinvolto nella programmazione, propone cineforum e rassegne. E la comunità sente il cinema come proprio, un bene pubblico da difendere, tramite il volontariato, ma non solo. Succede anche che creativi professionisti mettano a disposizione le loro competenze gratuitamente, in nome della solidarietà con il cinema. È successo al Beltrade di Milano, dove, senza chiedere nessun compenso, un gruppo di grafici professionisti ha realizzato dei manifesti con scritto “Ci vediamo al Beltrade”. Un buon esempio di quello che intendo: i cinema indipendenti fanno comunità, stimolano un altro tipo di approccio sia alla relazione che alla fruizione culturale.
Sottolineo anche che la parrocchia ha una responsabilità primaria. La Chiesa gestisce qualcosa come 800 sale in Italia, riunite nell’ACEC (Associazione Cattolica Esercenti Cinema). Contrariamente a quanto si possa pensare, non esercita una particolare censura. La programmazione è lasciata molto libera.
I cinema indipendenti fanno comunità, stimolano un altro tipo di approccio sia alla relazione che alla fruizione culturale.
Inoltre, questi cinema permettono di educare e lanciare autori locali. Al Mexico di Milano proiettano corti di autori emergenti della zona, prima della proiezione. Il Portici di Fossano allestisce una rassegna di documentari realizzati da registi in erba.
Tre esempi positivi?
Primo, il Cinema Verdi di Candelo (Biella), la dimostrazione che anche in provincia si può proporre una programmazione di qualità. Sono riusciti ad intessere un forte legame con il territorio e le associazioni. Hanno fatto crescere il pubblico, arrivando ad aprire una seconda sala.
Secondo, il Cinema dei Piccoli di Roma. Poche volte ho trovato una simile attenzione allo spettatore: prima delle proiezioni pomeridiane, rivolte ai bambini, si accertano che nessuno abbia la visuale coperta, sistemano i cuscini. Alle classi della materna, introducono in dettaglio l’esperienza cinematografica: si spegnerà la luce, non abbiate paura, il film è solo sullo schermo, inizia e poi finisce..
Terzo, il Cinema Zero di Pordenone. Hanno un approccio pienamente orizzontale al pubblico. Mi ha impressionato come non impongano la propria visione di cinema, non si pongano mai in maniera saccente. Gestiscono anche una Mediateca, molto fornita, dove gli utenti possono prendere in prestito dvd e riviste, e organizzano un Cineclub rivolto agli under 25, dando ai ragazzi la possibilità di interagire con professionisti per realizzare cortometraggi.
Tu hai lavorato due anni nel settore in Francia. Che differenza vedi con l’Italia?
In Francia c’è più apertura alla sperimentazione, unita ad una progettualità più a lungo termine. Credo abbiano compreso in toto il ruolo sociale del cinema per le piccole comunità: la proprietà è spesso municipale, i comuni investono per tenere le sale aperte, rinnovare le strutture e favorire la professionalizzazione del personale. In tv si parla molto più spesso di cinema, non di rado lo spettatore ha già sentito nominare il film che si ritrova proiettato nel quartiere.
Un tuo parere sul nuovo disegno di legge Cinema, approvato a novembre.
Da gennaio ci saranno 120 milioni su 5 anni per aprire o ristrutturare nuove sale. Un segnale di attenzione lodevole, ma ci vedo una scarsa conoscenza del settore. Il totale dei biglietti venduti è stabile da 20 anni: perché aprire sale che difficilmente saranno sostenibili? Il finanziamento statale dovrebbe piuttosto puntare ad ampliare il pubblico, investendo in politiche a sostegno della qualità per far uscire il cinema indipendente dalla nicchia.
Parliamo del futuro. Come andrà a finire?
La sala indipendente continua ad avere appeal, ma deve diventare più inclusiva, più aperta.
La sfida, è, come dicevo prima, trasformare la proiezione in un evento. Per i più giovani, oggi, vedere un film è una parte dell’uscita serale; ci si può abbinare un aperitivo, una presentazione, un dibattito. Molte sale si stanno quindi evolvendo in biblioteche, bar, addirittura discoteche. Credo si debba, soprattutto, curare meglio la comunicazione, senza continuare ad aspettarsi che il pubblico si informi autonomamente sui film in uscita. Adattarsi, insomma, a target differenti.
La sala indipendente continua ad avere appeal, ma deve diventare più inclusiva, più aperta.
Io sono ottimista. Vedo voglia di uscire e stare insieme, di contatto fisico; di condivisione. Penso al Post-modernissimo di Perugia. Riaprendo, ha contribuito ad attrarre persone nel centro storico, un tempo malfamato e lasciato decadere.
Nell’era di internet, andare al cinema non è demodé?
Netflix et similia non si stanno sostituendo alle sale. In Francia è nella fascia 14-18 che si è visto l’aumento più sensibile tra chi esce per andare al cinema. Il 2016 è stato il secondo miglior anno per biglietti venduti in Francia degli ultimi 50 anni.
E il vostro futuro?
Vorremmo scrivere un libro partendo dall’esperienza di quest’autunno.
Consigliaci 2 film che avete visto durante il giro.
Sicuramente “A ciambra” [candidato come film italiano agli Oscar, poi escluso, ndr], visto a Catania. È un film molto autentico, scevro di retorica, senza moralismi: racconta di una comunità rom dedita al furto di macchine a Reggio Calabria (dove avevamo parcheggiato noi). Il secondo direi “Glory,” un film bulgaro che abbiamo visto a Pisa. Paradossalmente, a noi è piaciuto, ai gestori no.
Tutte le foto via girodeicinema.it. In copertina: Cinema Il Piccolo, a Matera.
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