Il Club to Club, la droga e la cultura del clubbing in Italia

Spesso davanti a un proibizionismo di facciata non si è poi invece capaci nemmeno di attuare una strategia di assistenza, informazione e di riduzione del danno.

Il Club to Club, la droga e la cultura del clubbing in Italia

Si è conclusa ieri la diciassettesima edizione del Club To Club, in programma a Torino dall’1 al 7 novembre.

Dancing cheek to cheek è stato il mantra di quest’anno, con cui il direttore artistico ha cercato di recuperare una dimensione più intima e individuale del festival, collegata ai dolci movimenti di Fred Astaire e Ginger Rogers in Cappello a cilindro (1935).

Sul palco principale si sono succeduti alcuni tra gli spettacoli più belli: nei due giorni di chiusura Arca e Jesse Kanda con una performance schizofrenica e inquietante, che poi ha ceduto il palco a Bonobo per un’oretta molto più chill.

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Nicolas Jaar, presente sia venerdì che sabato, ha fatto ballare la platea per ore. Il giovanissimo artista nato a New York ma cresciuto a Santiago del Cile è uno dei producer più sperimentali della scena elettronica.

Il suo ultimo lavoro risale al 2016, e ora aspettiamo il suo nuovo album ambient, the majority of.

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Non solo musica elettronica, ma anche avant pop. Il più atteso di tutti è stato Liberato, l’anonimo napoletano che ha sorpreso tutti con uno spettacolo all’altezza del contesto e con un brano inedito. Per i nomi un po’ più piccoli e da scoprire c’era invece il padiglione 2 in cui si sono esibiti tra gli altri l’italiano Not waving, Jaques Greene, Lorenzo Senni, e molti altri.


A coronare la ricchissima line up lo spettacolo in 3D degli storici Kraftwerk, che hanno suonato un album a sera costruendo una sorta di retrospettiva rivolta al futuro, di suoni analogici ma immortali, all’interno delle vecchie Officine Grandi Riparazioni, che aggiungevano un effetto scenico da archeologia industriale.


Ma il C2C ha un po’ di problemi.

I controlli all’entrata sono abbastanza blandi. Per me, provvista di pass stampa, nulli.

Alcuni miei amici sono stati controllati sommariamente e una volta dentro abbiamo confrontato i trattamenti subiti, tutti diversi: a qualcuno avevano fatto lasciare fuori l’accendino, ad altri il caricabatterie del cellulare, ad altri il power bank, ad altri la sigaretta elettronica. Però avevano ricevuto un free drink analcolico, a differenza mia.

L’area del Lingotto è enorme, problemi di capienza non ce ne sono. Ci sono due sale, tre banconi all’interno e uno fuori.

I guai iniziano quando decido di andare a prendere da bere, spendendo 10 euro per un gin tonic, e perdendo mezz’ora in coda — ma ok.

Poi però mi accorgo che se invece di bere un drink avessi deciso di farmi di qualcosa sarebbe stato tutto molto più semplice: innanzitutto me lo sarei potuta portare da casa senza essere controllata, altrimenti avrei potuto rispondere di sì alla domanda “MD, ecstasy, bamba?” rivoltami da più persone nel corso della serata.

“oh se non posso bere però mi calo”

Se qualcuno fosse arrivato al Club to Club indeciso se sballarsi o meno, il fatto che l’alcol fosse per pochi e invece l’acqua gratis l’avrebbe spinto verso una scelta molto intuibile.

Questo non significa che una sbronza sia da considerare meglio o peggio di sballarsi di anfetamine, né che il fatto che l’una sia legale e l’altra no abbia una particolare influenza sul mio giudizio.

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Semplicemente un evento come il C2C non dovrebbe metterti  nelle facili condizioni di poterti drogare. Dovrebbe proteggere e garantire la qualità della tua serata e della tua vita.

Ovviamente è possibile fare il festival da completamente sobri — anche se per qualcuno potrebbe essere un’esperienza nuova: come ci hanno detto dall’ufficio stampa, il C2C non è “un’organizzazione di lotta al consumo di droga, ma non ne incoraggiamo nemmeno l’assunzione. In 17 anni abbiamo cercato di allontanarci dai pregiudizi sulla club culture ancora presenti in Italia.”

Ma quando chiedo come sia possibile che all’ingresso ti facciano svuotare la borsa e le tasche, buttare accendino e power bank, ti facciano annusare dai cani antidroga, poi però una volta dentro puoi facilmente trovare del crack, la risposta di Matteo Torterolo, dell’ufficio stampa del Club to Club, è “i controlli li gestisce la questura.”

Quello che mi aspetto all’interno di un festival così strutturato, curato e con quasi vent’anni di esperienza è assistenza e banchetti informativi e uno c’era, uno. Gestito dal Progetto PIN, partner di Club to Club dal 2009.

Proprio perché l’obiettivo del festival è non seguire la tendenza a demonizzare il clubbing, a collegare musica elettronica e sballo, dovrebbe esserci un impegno maggiore verso la limitazione del danno.

Non voglio qui aprire un vaso di pandora sul diritto di ognuno di drogarsi, né aggiungere carne al fuoco del moral panic da droghe sintetiche: bisogna essere consapevoli di quello che si sta assumendo e di quali effetti avrà a contatto con personali condizioni psicofisiche — tenendo conto che negli ultimi anni i prezzi sono calati e quindi anche la qualità delle sostanze.

Ma il rischio è che la facciata sia quella del proibizionismo e poi invece non si è capaci nemmeno di attuare una strategia di assistenza, informazione e di riduzione del danno.

Ovviamente il C2C è solo uno degli esempi di tanti festival in cui in Italia si fa uso di droghe: nel corso della stessa settimana c’è stato il Movement a Torino durante il quale sono state arrestate tre persone.

Negli anni ’90, quando il clubbing diventa di massa, il consumatore di droga cambia: non è più parte di comunità come lo erano gli hippie, viene meno l’idea di identità culturale. Per capirci, è quando in Italia nasce il Cocoricò ed esplode la costiera romagnola.

Non si tratta di nostalgia moraleggiante o retorica, del tipo “prima ci si drogava meglio.” Ma si tratta di capire come sia cambiato il modo di assumere stupefacenti a braccetto con i cambiamenti storici.