L’Europa nella spirale della destra
L’ascesa della destra negli Stati membri dell’Ue è stata accompagnata da un parallelo declino dei partiti di sinistra tradizionali.
L’ascesa della destra negli Stati membri dell’Ue è stata accompagnata da un parallelo declino dei partiti di sinistra tradizionali.
Bruxelles. In Germania il partito neonazista AFD è arrivato terzo alle scorse elezioni, in Francia Marine Le Pen ha sfiorato la presidenza, per non parlare dell’Ungheria di Viktor Orban e della Polonia nelle mani del partito dei fratelli Kaczyński. Che si tratti dei Paesi dell’Europa orientale o occidentale, la destra è chiaramente in crescita sullo scacchiere politico dell’Unione europea. E tale tendenza pare destinata a proseguire, come dimostrano le recenti vittorie del giovane Sebastian Kurz in Austria e del magnate populista Andrej Babis in Repubblica Ceca (soprannominato “Babisconi” da alcuni, da altri “il Trump di Praga”). Basti pensare che oltre il Brennero si apprestano a formare un governo di coalizione con un partito capitanato da un leader che in gioventù aveva avuto numerosi contatti con gruppi neonazisti.
L’ascesa della destra negli Stati membri dell’Ue è stata accompagnata da un parallelo declino dei partiti di sinistra tradizionali. In particolare, le formazioni appartenenti alla famiglia dei socialisti europei sono incappate in una serie di sconfitte sanguinose nelle ultime elezioni nazionali. Il caso più catastrofico è quello del partito socialista francese, che alle scorse politiche ha ottenuto un misero 5,7% (al secondo turno), perdendo circa 250 seggi e vedendosi costretto a vendere la sua storica sede parigina. Sebbene in proporzioni meno clamorose, anche la SPD in Germania è in forte calo di popolarità: alle elezioni dello scorso settembre il partito di Martin Schulz è crollato al 20% dei voti, e il suo leader non è arrivato neanche vicino a scalfire la conferma di Merkel alla guida del Paese.
Dietro al crollo della sinistra in Europa, per il quale non va sottovalutato il peso di ogni contesto nazionale, ci sono alcune cause comuni ormai evidenti.
Tra queste, spicca l’incapacità dei socialdemocratici di proporre una visione alternativa allo status quo, attraverso un programma progressista in senso economico, sociale e culturale. Da anni le principali formazioni di sinistra in Europa hanno abbracciato le politiche neoliberiste (meno tasse a chi possiede il capitale e deregolamentazione del mercato per “favorire la crescita”) appartenute in origine alla destra, nonostante queste ricette si siano ampiamente dimostrate inefficaci, se non controproducenti. Così hanno non soltanto deluso ampie fette del proprio elettorato, ma soprattutto reso arduo distinguere la sinistra dalla destra.
Questo “appiattimento” della sinistra su posizioni storicamente di destra è tra le cause principali del declino dei partiti socialdemocratici europei.
Tale convergenza di politiche non è avvenuta solo nel caso di governi di coalizione, come in Germania (tra SPD e CDU-CSU), o nel Belpaese (da ultimo con l’alleanza tra Renzi e Alfano), ma paradossalmente anche laddove la sinistra godeva di una maggioranza di governo. Emblematico in questo senso il caso del PS francese, il cui crollo è avvenuto al termine di una legislatura in cui Francois Hollande ha eroso con le proprie mani la base elettorale del partito, fallendo nella lotta alla disoccupazione e adottando misure molto dure in termini di ordine pubblico.
Come visto, i fenomeni in questione, l’ascesa della destra e il declino della sinistra, sono spesso due facce della stessa medaglia, specie nei Paesi dell’Europa occidentale. Ciò spiega in gran parte il declino della sinistra, ma non basta per comprendere fino in fondo il successo delle formazioni di destra in Europa. Perché la destra non condivide il destino della sinistra, visto il fallimento delle sue ricette economiche?
Da una parte, la destra moderata continua ad attirare il consenso dei ceti più agiati, a partire dalle élites economiche, che sono favorite dalle sue politiche neoliberali e dalla mancata redistribuzione della ricchezza, ma anche nel suo approccio blando all’evasione fiscale. In alcuni Paesi, come la Germania, essa resta sintomo di stabilità e di benessere economico, sebbene sempre meno solido.
È ormai evidente come in gran parte d’Europa la destra stia spostando il proprio baricentro, e quindi la propria agenda politica, sempre più lontano dal centro.
D’altra parte, e sta qui l’asso nella manica di alcune forze conservatrici europee, la destra ha guadagnato consensi anche tra le classi popolari puntando sui temi cari alle sue frange più estreme, come il contrasto con tutti i mezzi all’immigrazione e un nazional-populismo basato sulla difesa della cultura comune (alcuni lo chiamano “etnonazionalismo”). È ormai evidente come in gran parte d’Europa la destra stia spostando il proprio baricentro, e quindi la propria agenda politica, sempre più lontano dal centro, nel tentativo di vincere i voti dei partiti estremisti e spesso xenofobi. Una strategia semplice quanto cinica, che per ora sta funzionando.
Tale strategia è evidente nella recente vittoria di Sebastian Kurz in Austria. Il giovane leader (31 anni) dell’ÖVP (Partito popolare austriaco) ha più volte attaccato i piani europei per l’accoglienza dei richiedenti asilo quando era ministro degli esteri, arrivando a definire l’Ue un “trafficante” di rifugiati e facendone uno dei cavalli di battaglia durante la sua campagna elettorale. Kurz si è presentato come una sorta di difensore del popolo agli occhi degli austriaci, ma ha di fatto abbracciato l’agenda dell’FPO, il partito di estrema destra con cui probabilmente formerà un governo di coalizione entro Natale.
La storia del successo di Andrej Babis in Repubblica Ceca è diversa, ma non del tutto. Anche Babis, come Kurz, è riuscito a fare dei migranti una questione chiave nella campagna elettorale. Un vero gioco di prestigio, visto che la Repubblica Ceca non è mai stata il punto di arrivo di fenomeni migratori dal Medio oriente o dall’Africa, né ha ospitato un afflusso improvviso di richiedenti asilo come successo in Austria. I toni populisti di Babis ricordano quelli di Orban, e denotano anche in questo caso un chiaro richiamo alla pancia xenofoba del Paese per puri calcoli elettorali. Il suo scopo, come sottolinea l’Economist, è quello di instaurare un’oligarchia per tutelare i suoi interessi personali.
Antisemitismo e nazismo fanno parte del mondo politico austriaco da sempre
L’Europa appare oggi condannata ad andare sempre più a destra. Da un lato, nel nucleo forte dell’Ue, a causa di una sinistra incapace di ritrovare la propria identità, promuovendo un cambiamento a livello nazionale ed europeo per aiutare i molti cittadini piegati da anni di misure di austerità; dall’altro perché la destra moderata, specie nei Paesi dell’Europa centrale, ha scelto la via più breve per vincere le elezioni, ossia fomentare l’odio verso lo straniero usando toni populisti.
E Bruxelles? Le istituzioni dell’Unione appaiono ancora una volta impotenti di fronte a svolte politiche come queste. I fatti degli ultimi anni hanno dimostrato che se qualcuno vuole costruire un muro al confine, lo può fare senza grossi problemi (chiedendo anche un risarcimento). Se l’Unione non è a rischio nel breve periodo, lo è sicuramente il progetto di una maggiore integrazione. In assenza di un Parlamento europeo dotato di pieni poteri, molto dipenderà ancora una volta dalla volontà degli Stati chiave, ossia Germania, Francia e, forse, Italia.
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