Tutte le foto cortesia di Lisa Sicignano
Ieri sera, prima del concerto di Janaki’s Palace e Younger and Better nella prima serata di raster, abbiamo avuto l’occasione di incontrare la fotografa e attivista Raquel Lourenço.
Lourenço era a Mare Culturale Urbano per presentare il proprio progetto Voices of Women, una piattaforma, tutta ancora in fase di costruzione, per mettere in collegamento ONG e realtà del volontariato che si occupano della condizione femminile nel mondo.
Lourenço, che prima di imbarcarsi con il progetto Voices of Women si occupava di marketing nella finanza ma aveva alle spalle già esperienze con ONG in Africa e in Asia, crede nella possibilità della costruzione di un network che faccia in qualche modo “massa critica,” permettendo di potenziare in maniera sostanziale i progetti delle organizzazioni che prenderanno parte.
La necessità di un’organizzazione del genere è diventata chiara a Lourenço durante un viaggio in Asia, attraverso Vietnam, Thailandia e India, dove ha assistito in prima persona a condizioni di vita per le donne che lei descrive “indietro di almeno un secolo rispetto all’Europa.”
Abbiamo incontrato Raquel Lourenço dopo la sua presentazione a Mare Culturale Urbano per farci raccontare alcuni degli episodi che l’hanno segnata del proprio viaggio, e qual è il futuro di Voices of Women.
Lourenço riconosce in qualche modo la maternità del proprio progetto all’incontro con Shu Shu, donna che l’ha ospitata durante il suo viaggio attraverso il distretto di Sapa, a nord del Vietnam. Nel paese sono tantissime le famiglie che ospitano viaggiatori e turisti, e per Shu Shu il lavoro di guida e padrona di casa è a tutti gli effetti un lavoro a tempo pieno — quando non deve badare alla propria famiglia, di sei persone.
“Shu Shu mi ha impressionato tantissimo. È una donna forte, intelligente, che lavorava per ospitarci e, tra la sua famiglia e gli ospiti, cucinava per 10 persone. Un giorno, dopo averci fatto da guida durante la giornata, a casa non c’era niente da mangiare, e ha anche dovuto uccidere un pollo. Shu Shu avrebbe potuto fare molto altro nella vita, e invece era lì. E alla fine della nostra permanenza, il costo del pernottamento non l’ha potuto nemmeno decidere lei, ma ce l’ha fatto il marito.”
Dall’incontro con Shu Shu, gli episodi di sessismo quotidiano a cui ha assistito durante il proprio viaggio sono troppi per essere contati. Dalla diffusa pratica dell’“acquisto” — di fatto — di compagne in Thailandia all’ostracismo delle donne dai templi buddhisti in Myanmar.
“L’esperienza piú intensa del viaggio è stata in India. Stavo cercando di scattare qualche foto a donne musulmane, ma non riuscivo, perché non mi rispondevano nemmeno. Poi un giorno sono riuscita a visitare in una casa, eravamo solo donne, e nel contesto familiare erano persone completamente diverse! E tutte avevano dei sogni — chi voleva fare l’insegnante, chi la hostess — ma appena ho nominato il matrimonio si è scurito a tutte il volto. Hanno sogni, e sanno di non poterli realizzare. Ho chiesto di scattare qualche foto, ma la madre mi ha detto che non potevo — che era meglio se a essere fotografe fossero solo donne piú adulte, sposate. Non possono fare niente, nemmeno rimanere in contatto con altre ragazze su Facebook. Sono condizioni che ti rovinano la testa.”
La mancanza di rispetto da parte della società asiatica rende evidente la necessità di costruire un piú forte rapporto di sorellanza tra tutte le donne, molto piú presente in paesi dove le donne sono in difficoltà che in Occidente.
L’India non è solo un luogo oppressivo per le donne, ma effettivamente pericoloso — Lourenço ci racconta, “Il mio primo giorno in India, mi sono persa. Dovevo prendere un treno, ma non sapevo dove comprare il biglietto, ed ero da sola, e non potevo dire a nessuno che ero persa, o peggio ancora da sola.” In India è strettamente necessario dichiararsi sempre sposate, in situazioni pubbliche. “Alla fine mi sono avvicinata a queste tre studentesse, e ho detto loro che avevo bisogno di aiuto — e hanno mollato tutto pur di aiutarmi. Prendere un biglietto del treno per una persona non indiana è un processo sorprendentemente burocratico, e anche loro non sapevano come fare, per cui mi hanno aiutata finché non abbiamo capito come fare. Ad un certo punto ci siamo trovate a un ufficio in coda, e non ne volevano comunque sapere di lasciarmi da sola. In India le donne sanno che la vita è difficilissima, e bisogna aiutarsi l’una con l’altra.”
È lo spirito che Lourenço spera di portare in Occidente con il proprio progetto: costruire una rete di supporto piú vasta possibile per assistere organizzazioni che aiutano le donne. Riconoscere che l’identità di genere non conosce confini, e che accontentarsi della posizione della donna in Occidente è impossibile — perché anche nel primo mondo la parità è lungi dall’essere raggiunta, e perché le donne occidentali sono una minoranza. Gli incontri di Voices of Women come quello a Mare Culturale sono fondamentali per iniziare a costruire i nodi di questa rete.
Un esempio di realtà a cui Lourenço spera di dare maggior rilevanza è quella di Hope Unending, ONG che si occupa del dramma delle donne vendute come spose schiave dal Vietnam, soprattutto verso la Cina. Hope Unending sta raccogliendo risorse attraverso una campagna di crowdfunding, ma “queste realtà non hanno bisogno solo di soldi, ci sono modi infiniti per aiutarle — dal proprio lavoro come volontari alle proprie competenze. La prima necessità è fare in modo di mobilitare piú persone possibili in tutto il mondo.”