Dopo più di 20 anni di battaglie, il 26 luglio 2017 ha visto finalmente la luce la legge organica 60/2017 relativa alla lotta contro la violenza sulle donne, approvata dal parlamento tunisino all’unanimità dopo un lungo iter, con 146 voti a favore. Un giorno storico per i diritti delle donne tunisine e per il contrasto alla violenza di genere.
“La nuova legge tunisina fornisce alle donne i giusti strumenti per rivendicare la tutela contro gli atti di violenza da parte dei mariti, familiari o altre persone” dichiara Amna Guellali, direttrice dell’ufficio di Human Rights Watch a Tunisi. “Il governo ora è tenuto a finanziare e sostenere le istituzioni che permetteranno di tradurre questa legge in protezione reale.
https://twitter.com/Kulsoom_Abrar/status/891620627311992832
La Tunisia viene considerato il paese pioniere dei diritti delle donne nel mondo arabo – un percorso cominciato nel 1956 con il Codice di Statuto Personale promulgato dal presidente Habib Borguiba. Ma la realtà è molto più amara, e le donne tunisine subiscono ancora oggi numerose violenze, sia nello spazio pubblico che in quello domestico. Le cifre pubblicate da un recente studio del CREDIF (Centro di ricerca, studi di documentazione e di informazione sulla donna) sono desolanti: circa il 78,1% delle donne tunisine ha infatti dichiarato di aver subito violenza psicologica nello spazio pubblico, mentre il 41,2% sostiene di esser stata vittima di violenza fisica e il 75,4% di violenza sessuale, soprattutto nei trasporti pubblici. Il tasso di violenza nel contesto famigliare é ugualmente elevato; il 47% delle donne ha dichiarato di aver vissuto, nel corso della propria vita, un’esperienza di violenza nel contesto familiare, secondo quanto emerge nel report del 2010 dell’ONFP (Office National du Planning Familial).
La presente legge, che punta a garantire il rispetto di quanto enunciato dall’art. 46 della nuova Costituzione adottata nel 2014 — ovvero l’impegno dello Stato di proteggere i diritti acquisiti, di garantire la piena parità tra uomo e donna e di impiegare ogni mezzo per sradicare la violenza sulla donna — compie un passo in avanti comprendendo anche disposizioni nei confronti delle molestie negli spazi pubblici, dell’impiego di minori come collaboratrici domestiche e della discriminazione economica, con ammende per i datori di lavoro che intenzionalmente discriminano le donne a livello salariale.
È estremamente importante il concetto di violenza contenuto nel nuovo testo, che definisce come “Ogni aggressione fisica, morale, sessuale ed economica contro le donne, sulla base di discriminazione di genere e infliggere danni o sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche, economiche, compreso il fatto che la minaccia di tale aggressione, esercitare pressioni o privato dei suoi diritti e delle libertà, sia nella vita pubblica o privata.” La violenza definita in ogni sua forma, da confinata nel privato, diviene così questione pubblica e competenza dello Stato.
Inoltre, la legge dà il via ad una serie di azioni di prevenzione con programmi di formazione per il personale sanitario ed educatori, oltre a prevedere sostegno medico, economico e psicologico per le vittime di violenza domestica. L’enorme sfida per lo Stato sarà riuscire a garantire le necessarie risorse economiche per far sì che questo impegno venga effettivamente realizzato.
Nessuna impunità per gli stupratori.
Oggetto di grande sdegno, è stato finalmente emendato l’art. 227 bis del codice penale, che prevedeva la possibilità per lo stupratore di evitare la pena in caso di matrimonio con la vittima. La decisione del tribunale del Kef che nel dicembre scorso ha autorizzato il matrimonio di una giovane di 13 anni con l’uomo che l’ha violata e messa incinta ha fatto scoppiare grande indignazione in tutto il paese e messo in atto una forte pressione da parte di vari collettivi e ONG.
In un’intervista rilasciata a France 24, Amina Guellali ha definito l’articolo 227 “una disposizione infame che ha lasciato giovani ragazze violentate in una situazione di pericolo e di forte vulnerabilità.” “Con l’abrogazione di questo articolo — continua Amina — torniamo ad un diritto moderno, un diritto che tiene conto dello stato delle vittime e del loro benessere psicologico, piuttosto che di concetti vaghi come la protezione dell’onore della famiglia che prevalevano nella disposizione precedente”
Per molte donne tunisine, però, questa legge non è che una piccola conquista: una parità di genere formale, sì scritta nero su bianco, ma non reale, in quanto a dover essere rivoluzionata — oltre al codice penale — è la mentalità della società, oggi ancora fortemente maschilista. Un grande ostacolo alla realizzazione di tale parità è inoltre la condizione di fragilità economica di cui soffre larga parte popolazione, situata soprattutto nella fascia centrale e meridionale del paese.
Con forti difficoltà, ma con molta speranza, il percorso della Tunisia verso la piena parità ed il contrasto alla violenza di genere continua. Questa legge è una lezione per tutto il mondo arabo, e non solo.
Abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso. Potete sostenerci qui. Grazie.