Il teatro autogestito di Lume
Una serata a Lume, spazio occupato in vicolo santa Caterina, dietro la sede di via Festa del Perdono dell’Università Statale.
Lume (acronimo di Laboratorio Universitario Metropolitano) è uno spazio occupato in vicolo santa Caterina, dietro la sede di via Festa del Perdono dell’Università Statale.
Una delle prime cose che attira lo sguardo prima di entrare è il murales, che raffigura una scena di vita pubblica cittadina del 1600, durante la dominazione spagnola — dove ora c’è Lume, un tempo c’era l’antica Osteria la Pergola dove Manzoni avrebbe fatto cenare il suo Renzo, una volta giunto a Milano.
Muri pieni di volantini, locandine di vecchi eventi, adesivi, qualche foto e la scritta “no one is illegal” che campeggia qua e là. Preso in gestione da un gruppo di studenti, Lume è un simbolo politico di ripresa degli spazi da parte del cittadino, in una città molto densa di offerte culturali, ma tendenzialmente non molto popolari. Da poco più di due anni, Lume offre musica, cinema, teatro, danza e chi più ne ha più ne metta, a tutti e per tutti senza barriere di prezzo.
“Non è facile gestire uno spazio simile, far quadrare i conti, offrire un panorama di attività variegato e accessibile. Sono le solite cose che si dicono, ma la verità è che oltre agli sbatti c’è tanto divertimento.”
L’offerta teatrale di Lume è studiata e animata dai ragazzi che se ne occupano — molti di loro sono allievi di accademie o già membri di compagnie teatrali. Altri ancora sono registi, sceneggiatori o semplici amatori.
Da appassionata di teatro ho cercato di seguire il più possibile l’offerta del “tavolo” teatro, che da subito mi è sembrata molto ricca e varia. Almeno queste erano le mie intenzioni: alla fine sono riuscita ad assistere soltanto allo spettacolo Alice, Cara Grazia con Valentina Picello, attrice ben più che avviata.
Uno spettacolo allo stesso tempo disturbante e sorprendente, perché tocca con grazia tutte le corde della sensualità e dell’erotismo, combattenti valorosi ma affaticati da avversari antichi, quali le convenzioni, il moralismo, e avversari nuovi, come la sessualizzazione di qualsiasi cosa e soprattutto il pudore, a tratti eccessivo, circa l’esprimere un sentimento.
Da sinistra: Giorgio detto Giorgione, Gaia, Alessandro e Cecilia
Scritto e diretto dall’attrice stessa, grazie anche all’aiuto della “scenografia attiva” di Eleonora Rossi, lo spettacolo mi ha convinto a tornare sabato sera per La crème de la jam che, come si può intuire dal titolo, ha chiuso in bellezza la stagione teatrale con una jam session, in questo caso da declinare come una sfilata di scene teatrali famose, tratte da La trilogia della villeggiatura passando per Don Chisciotte, che i ragazzi del tavolo teatrale, avevano già fatto in accademia o in altri spettacoli.
Questa volta non c’è stato nessun ospite dall’esterno, “solo” i ragazzi di Lume Teatro con due serie di sketch, una nella cripta e una al piano di sopra, il tutto riproposto per due volte di fila in modo che nessuno spettatore fosse obbligato a scegliere, ma potesse comodamente vedere entrambe le serie.
Il pienone e gli applausi sentiti, oltre alle pacche sulle spalle e le birre offerte agli attori, hanno certificato il successo della serata finale.
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