Il 5, 6 e 7 maggio si terrà ad Andria, in Puglia, la primissima edizione del Festival della Disperazione, festival organizzato dal Circolo dei Lettori di Andria.
Incuriositi dal bizzarro titolo, abbiamo fatto due chiacchiere con uno degli ideatori per capire come e perché si crea un festival sulla disperazione.
Ciao Andrea, inizierei dalla domanda che probabilmente verrebbe in mente a tutti: come nasce un festival sulla disperazione?
L’idea fondamentalmente nasce da un testo di Paolo Nori, il quale in uno dei suoi ultimi libri – “Manuale pratico di Giornalismo Disinformato” – racconta di un viaggio estivo che lo porta a scoprire festival dai nomi più strani, come il festival dell’amore. Parlando con un suo collega arriva a dire che se fosse per lui farebbe un festival della disperazione, che peraltro risulterebbe un festival molto letterario poiché la disperazione è stata propedeutica alla scrittura di un sacco di opere di successo. Ispirati da questa riflessione, abbiamo deciso di farlo davvero [ridendo].
Come si sviluppa quindi il festival?
Sostanzialmente si articola in due sezioni: il programma principale, che prevede sette incontri, tra cui gli interventi di Gianpaolo Ormezzano, Gianluca Moro, Patrizia Valduga, Matteo Caccia, Francesco Piccolo, Gabriella Caramore e Carlo Lucarelli. Al loro fianco ci saranno una serie di extra, composti da due mostre e il coro dei malcontenti, ovvero un coro formato da una ventina di persone che si rifà alla tradizione dei complaint chores…
I complaint chores?
Esatto, la tradizione per cui si forma un coro i cui membri cantano le proprie lamentele.
Ma come funziona esattamente il vostro coro dei malcontenti?
Prima dell’inizio del festival abbiamo raccolto con dei box posizionati in giro per Andria le lamentele di chiunque si volesse lamentare, le abbiamo lette, selezionate e adattate per il coro. L’esibizione sarà una specie di happening, breve ma intenso…
Un po’ come la disperazione insomma.
Esattamente. Ai cori poi si aggiungerà il corso di rassegnazione, ideato dall’attore Vittorio Continelli, che insegnerà ai partecipanti come lasciare i propri sogni nel cassetto.
Mi sembra di capire che, a dispetto del nome, il festival sia un po’ una provocazione: alla fine i contenuti sono tutt’altro che disperati.
Questo è stato un po’ il problema cardine dell’organizzazione del festival, trovare cioè l’equilibrio giusto tra taglio ironico, che non appesantisse l’evento, e allo stesso tempo parlare seriamente di un sentimento che ci riguarda tutti, soprattutto nell’ultimo periodo. La maggior parte degli avanti avranno sicuramente una trattazione non pesante o paranoica, ma sicuramente seria. Invece con gli appuntamenti extra ci siamo un po’ divertiti a provocare un po’.
Cosa vuol dire parlare di disperazione oggi?
Quello che ci teniamo a fare è un distinguo importante: la disperazione non è depressione. La disperazione risulta un sentimento molto più ampio e, a differenza della depressione, è un sentimento che prevede, invece di staticità, una reazione. Abbiamo inteso il festival non tanto come un inno alla disperazione, ma come un guardare alle sue possibili declinazioni, proprio perché è un sentimento con cui dobbiamo fare i conti e che spesso possa fungere da molla.
Nella riflessione ci ha ispirati una frase di Samuel Beckett in cui spiega come abbia iniziato a stare bene solo dopo aver rinunciato alla speranza, nel momento in cui ha iniziato a fare le cose che voleva fare in maniera disillusa e cinica la sua vita è migliorata. Per dirla con un motto: più che la disperazione come rassegnazione, la disperazione come molla.
Curiosando sempre sul sito ho letto una cosa interessante: tra gli sponsor avete il birrificio Hops, che fornirà la birra ufficiale del festival.
Guarda tocchi un tema interessante. Per la creazione del festival non abbiamo avuto fondi pubblici, anche perché non li abbiamo chiesti… essendo un festival della disperazione ci sembrava coerente provare a finanziarcelo da noi [ridendo]. I fondi provengono tutti da realtà private del luogo, persone a cui abbiamo parlato del progetto ed entusiaste ci hanno dato una mano.
Mi sembra un ottimo segnale a livello locale.
Sì assolutamente, tra questi sistemi di finanziamento rientra appunto la Disperatissima, la birra dei veri disperati, prodotta circa sei mesi fa e pronta oggi per il festival. La particolarità è che sull’etichetta di ogni bottiglia si potranno trovare massime sulla disperazione di autori classici della letteratura.
Quindi l’appuntamento è per il 5, 6 e 7 ad Andria.
Esatto, la città apre le sue porte a disperati e curiosi. Anche perché, come diceva sempre Beckett: “La speranza non è che un ciarlatano che non smette di imbrogliarci.”