La guerra di Call of Duty: WWII è una scelta di marketing o una decisione artistica?
Niente trailer, data di rilascio o specifiche di console, solo la certezza del periodo storico in cui i giocatori si muoveranno.
Lo scenario bellico del nuovo titolo della serie Call of Duty rispecchia prima di tutto una volontà artistica della casa di produzione Activision, o alle spalle c’è una chiara scelta di marketing?
La casa di produzione Activision ha annunciato che il prossimo titolo della serie Call of Duty sarà ambientato durante la Seconda guerra mondiale — niente trailer, data di rilascio o specifiche di console, solo la certezza del periodo storico in cui i giocatori si muoveranno.
Negli ultimi anni i videogiocatori hanno assistito all’accendersi di una spiccata rivalità tra i due brand videoludici Call of Duty e Battlefield — gli Apple e Samsung del mercato FPS (First Person Shooter). Ogni anno la sfida si apre a colpi di annunci stampa e release sul web, in cui le rispettive case di produzione devono conquistare l’attenzione e l’interesse dei propri giocatori, mantenendoli vivi per tutti i mesi che precedono l’uscita del titolo. In questa rivalità lo scenario storico, ancora prima delle dinamiche di gioco, sembra essere diventato motivo di successo o fallimento per le due saghe.
Nel 2016 la EA – casa di produzione della serie Battlefield – ha dimostrato particolare sensibilità storica, adattando gli scenari della Grande Guerra al videogioco Battlefield 1. Il risultato è stato apprezzato dalla critica di settore, che ha elogiato soprattutto la difficile scelta di adattare con la dovuta sensibilità un periodo storico così drammatico, anche se a una più attenta analisi aleggia ancora adesso il dubbio sulla definitiva riuscita dell’operazione. Il pregio più grande dell’ultimo titolo della saga EA rimane comunque quello di aver dimostrato che un videogioco può rappresentare la drammaticità della I guerra mondiale, conflitto che spezzò le illusioni del nuovo secolo, senza distorcerne simboli e significati.
Dopo anni passati a immergere i propri giocatori in guerre futuristiche, terrorismo high-tech e zombie, anche la saga di Call of Duty, con l’annuncio di Activision, segue l’esempio del rivale e torna alle origini — storiche e videoludiche.
Sia Call of Duty che Battlefield infatti nascono come saghe ambientate durante la Seconda guerra mondiale, un conflitto che ha sempre attirato l’attenzione di storytellers e creativi per il suo grado di definizione dei ruoli. A differenza della Grande Guerra, in cui le fazioni non avevano una netta distinzione di valori, il secondo conflitto mondiale ha sempre fornito una chiara divisione tra buoni e cattivi. Adottata, elogiata, esasperata e a volte abusata, l’uso della Seconda guerra mondiale è diventato – volente o nolente – uno scenario comune in cui ambientare una storia in cui rappresentare la polarizzazione dei valori e il loro successivo scontro.
In un contesto politico e sociale come quello attuale, in cui gli estremismi e gli scontri tra le opposte forze politiche sono all’ordine del giorno, il ritorno al secondo conflitto mondiale per la saga di Call of Duty sembrerebbe una chiara scelta politica, veicolata da un messaggio culturale, così come lo era stato sul piano storico quello di Battlefield 1.
Il riaffiorare di movimenti neo-nazisti (camuffati da destre alternative) e la diffusione di odio razziale nell’America di Trump sembrerebbe richiamare la mobilitazione di tutti gli strumenti possibili per ricordare a cosa portò mezzo secolo fa una deriva sociale, culturale e politica di questo tipo.
Ma siamo sicuri che la scelta della Activision si sia mossa da queste premesse, o alle spalle c’è solo una strategia di marketing ben calcolata?
A partire dal 2010, la saga di Call of Duty ha mostrato una diminuzione delle vendite, coincisa con l’introduzione all’interno della serie di elementi moderni e futuristici. Il trailer dell’ultimo capitolo, Call of Duty: Infinite Warfare, raggiunse pochi giorni dopo l’uscita su YouTube i 3 milioni di “non mi piace” — diventando il video con il più alto numero di dislike, secondo solo a Baby di Justin Bieber. Le vendite invece segnarono un calo del 50% rispetto al titolo dell’anno precedente, Call of Duty: Black Ops III.
Il forte campanello di allarme ha spinto quindi i responsabili dell’Activision ad ammettere ai propri investitori che “le performance di Infinite Warfare erano state scarse a causa di una bassa risonanza degli scenari futuristici all’interno della community dei giocatori”, aggiungendo che il prossimo titolo della serie “avrebbe riportato Call of Duty alle proprie origini.”
Gel Schofield è il direttore della Sledgehammer Games, casa di produzione interna alla Activision e responsabile della produzione di Call of Duty.
Con queste premesse è difficile interpretare la decisione dei produttori come una scelta artistica, prima ancora che di marketing. Per capire se Call of Duty: WWII seguirà le orme di Battlefield 1 dovremo aspettare ovviamente l’uscita del gioco, ma prima di cadere in studiate strategie di marketing è bene conoscere il contesto in cui ci si muove e giudicare un prodotto per quello che realmente è.