Come si è arrivati a questo punto? Quando è successo che il Pd ha smesso di sentire “il polso” della sinistra?
La scorsa settimana Pietro Bussolati, segretario del Pd di Milano, ha presentato “Noi, Patrioti Europei”, un’operazione di rara infelicità, che cerca di creare un trait d’union tra 25 aprile e identità europea. Una scommessa persa in partenza di rara miopia: è difficile pensare a qualcosa con meno appeal mediatico dell’integrazione europea, in questo momento, ed è francamente sconvolgente che il Pd milanese non si sia reso conto di quanto scoprisse il fianco a critiche e attacchi da sinistra. (Sì, come questo post)
L’operazione ricorda vagamente gli assembramenti dei Pensionati alle manifestazioni del Pd: tutti insieme con le loro bandierine, in un angolo ma ben in vista, tutti poco desiderati — chi è stato a qualche manifestazione romana ricorderà addirittura un paio di risse sfiorate tra Pensionati e Giovani democratici, una pagina molto breve di storia politica in cui qualcuno in quelle formazioni pensava di contare qualcosa.
La scelta di presentarsi al 25 aprile milanese in total blue nasce chiaramente da un disegno programmatico: non perdersi a discutere di valori evidentemente complessi come il ruolo della sinistra “resistente,” di antifascismo. È molto più semplice arrivare alle primarie, così vicine e che Renzi deve assolutamente vincere, parlando dei veri argomenti forti del Partito Democratico: tipo quale sia la legge elettorale di cui il partito fiorentino ha voglia questa settimana, in quella che ormai sembra una fissazione da fasi dello sviluppo psicosessuale secondo Freud.
Il sospetto è che, dentro il Pd, non ci sia più la percezione del problema. Insomma, che in realtà non ci sia niente di strano in questa partecipazione #tuttoblue — ? —, che il Pd dentro adesso sia e si senta così. Molti vorrebbero votare un partito progressista di sinistra con audaci ambizioni maggioritarie, e invece quel partito non c’è più.
Al suo posto c’è un partito che vive il 25 aprile come un impegno dovuto, a cui deve trovare escamotage per partecipare in modo da sentirsi a proprio agio.
Come si è arrivati a questo punto? Quando è successo che il Pd ha smesso di sentire “il polso” della sinistra? La risposta sembrerebbe essere, ovviamente, il Jobs Act. In realtà, il problema va molto al di là delle singole posizioni politiche, tante dettate — in entrambi i sensi — dal contesto dell’Unione Europea, quella per cui il Pd sfilerà martedì. La deriva del Pd è stata soprattutto nei mezzi, nel parlato, nelle posture — tutte muscolari ma nessuna convinta, in difesa di questo presunto nuovo establishment progressista che doveva rilanciare il paese ma che alla fine sembra capace di rilanciare solo se stesso, e nemmeno troppo quello. È una deriva che è andata un tweet menefreghista alla volta, fino a quel referendum perso — da cui non si è imparato nulla — fino alla fuoriuscita dell’ala di sinistra del partito, che, a questo punto, era tutta quella che tratteneva il Pd nell’ambito del centrosinistra.
Solo osservando con questa lente il comportamento del partito — che non parteciperà alla manifestazione del 25 Aprile romana — si può provare a comprendere la risposta del tutto avulsa da ogni logica che il Partito ha dato all’ANPI di Roma: accusare l’Associazione di creare divisioni è creare ulteriori divisioni, non accorgersi dell’effetto che fa è imbarazzante per chi ha firmato la nota. Il divorzio tra Comunità Ebraica di Roma e Partigiani in realtà si è già consumato lo scorso anno: è incomprensibile come il Pd sia arrivato così disarmato, così incapace di gestire la situazione all’invito di partecipare al corteo a Roma di quest’anno, per il settantaduesimo anniversario della Liberazione.
È impossibile pensare che l’attuale ciclone sulla questione del 25 aprile sia desiderato nel Pd. Questo, però, è solo un problema del Partito. Il problema del paese, invece, è che il Pd non sia stato in grado di prevederlo, di prendere un’altra posizione, di capire cosa dire: perché se non si sa gestire una crisi fatta in casa come questa, cosa si fa di fronte alle crisi vere? Il deterioramento del rapporto del Pd con l’ANPI non è una storia di queste ore — tra le due forze si era già aperta una spaccatura estremamente larga quando l’ANPI aveva indebitamente espresso opinione sulla questione referendaria e il Pd aveva deciso di rispondere a tono — cercando di farsi giudice di chi fossero i partigiani “veri” e i partigiani “falsi.”
Quello che sembra sfuggire completamente a chi pilota il Pd in queste settimane — ma qualcuno lo sta pilotando? — è che nessuno si aspettava una presa di posizione filopalestinese: abbiamo tutti aspettative troppo basse — o troppo centriste, la stessa cosa — per immaginare dichiarazioni del genere. No, dal Pd ci si aspettava una funzione unificante: un po’ il suo motivo originale d’esistenza. La posizione della Comunità Ebraica è estremista, ma perfettamente comprensibile da un punto di vista interno — il Pd avrebbe dovuto svolgere il ruolo di moderato paciere: se la comunità non voleva assolutamente sfilare con ANPI e palestinesi, il Pd poteva fare una cosa semplice: sfilare con entrambi. Tanto, se la posizione più estrema che il partito si sente di esprimere è quella di portare bandiere europee, non si offendeva nessuno. In fondo, chi potrebbe prendersela col popolo blue.