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Cremeno è un piccolo paese della Valsassina che conta millecinquecento abitanti e un centro di accoglienza molto affollato.

Più di cento richiedenti asilo, soprattutto di origine africana, sono ospiti del CAS (ex-CARA) Artigianelli, una vecchia colonia estiva per bambini convertita per ospitare rifugiati.

Il centro è sperduto sui monti sopra Lecco, in un paesaggio bucolico, isolato da tutto e tutti. Il centro, aperto dal 2014, si è trovato così a rispettare quasi per caso le nuove linee guida ministeriali in materia, che impongono il concentramento dei richiedenti asilo lontano da troppi occhi votanti.

Per raggiungerlo bisogna salire fino a più di ottocento metri sul livello del mare lungo la principale arteria della valle e svoltare dopo qualche chilometro a Maggio, frazione di Cremeno. Il CAS è un vecchio rustico che si staglia ai piedi del bosco, alla fine di una stradina di campagna. Sui cancelli d’ingresso si legge ancora CARA, Centro d’Accoglienza Richiedenti Asilo, nonostante il sindaco ci abbia poi confermato che la struttura sia stata convertita in CAS, ovvero un Centro di Accoglienza Straordinaria.img_1589

Le differenze tra un CAS e un CARA sono poco chiare

I CAS in origine erano centri d’emergenza, da attivare nel caso di molti arrivi nello stesso luogo. Col tempo, però, hanno iniziato a costituire una modalità ordinaria di accoglienza. Le strutture che ospitano i CAS vengono individuate dalle prefetture in convenzione con cooperative e strutture alberghiere.

I CARA, invece, sono stati istituiti nel 2002 con il nome di CDI, centri d’identificazione, e sarebbero chiamati ad ospitare i richiedenti asilo in attesa dell’esito della procedura di richiesta d’asilo. Dal 2008 avrebbero dovuto assumere un carattere più strettamente umanitario, sancito per legge dal decreto legislativo D.Lgs. n. 25/2008. Tuttavia a causa dell’avvicendarsi dei governi questo regolamento non è mai stato approvato, lasciando in vigore le norme del 2004.


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Il centro è gestito da Tre Fontane, una cooperativa che fa parte del Consorzio Gruppo La Cascina. Il consorzio è stato implicato nelle vicende di Mafia Capitale di Roma, ma sono risultate coinvolte solo alcune tra le ditte che ne fanno parte, non Tre Fontane, che è uscita pulita dalla vicenda, e ancora oggi si occupa di vari centri di accoglienza in giro per l’Italia. Fuori dai cancelli ci sono alcuni ragazzi nigeriani che chiacchierano con aria assente. Per chi intende entrare nel centro è necessario un permesso della prefettura di Lecco. Parliamo un po’ fuori dai cancelli con N., un ragazzo nigeriano che è nel centro da quasi un anno. Le condizioni generali sono discrete, i bagni vengono lavati regolarmente e il pocket money — i due euro e cinquanta a cui i richiedenti asilo hanno diritto ogni giorno — viene erogato correttamente alla fine del mese. N. dice di non aver mai avuto problemi con gli abitanti del luogo.

Maggio, la frazione di Cremeno più vicina al centro, è un tipico borgo di mezza montagna lombarda: quasi spopolato e disertato anche dai turisti milanesi e brianzoli che fino a qualche anno fa garantivano un piccolo introito alla comunità. A Maggio c’è una via, una chiesa, un negozio di alimentari e un bar — più qualche albergo sonnolento. I richiedenti asilo, in giro per il paese, non si vedono quasi mai. Probabilmente, quando i migranti hanno abbandonato le loro vite per incominciarne una in Europa, si aspettavano qualcosa di diverso da un esilio in alta Valsassina.

“Sono quasi tutti ragazzi intorno ai vent’anni,” ci racconta la gestrice del bar. “Qua li si vede poco. Meglio. Noi in paese non li vogliamo.” L’atmosfera generale è razzistoide — è difficile anche farsi dare le indicazioni necessarie per raggiungere il centro, dato che sollevare l’argomento provoca spesso smorfie di scontento tra le persone del paese.

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La tensione sociale è causata anche, forse soprattutto, dalla clamorosa sproporzione tra il numero di richiedenti asilo e la popolazione di Maggio. I criteri di accoglienza diffusa del 2016 indicano la proporzione tra rifugiati e persone residenti in comune come non più di tre richiedenti asilo ogni mille abitanti. Attualmente al CAS sono ospitati 104 migranti, in un comune che in totale conta 1507 anime. La decisione di alloggiare i migranti agli Artigianelli è stata presa dalla prefettura e il comune non ha potuto fare altro che subire la decisione.

In seguito alle sue rimostranze, che non hanno avuto seguito, il sindaco Pier Luigi Invernizzi, eletto con una lista civica, ha dichiarato di stare prendendo in considerazione, in accordo con il senatore della Lega Nord lecchese Paolo Arrigoni, di perseguire il modello di accoglienza SPRAR, Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati. Questo modello permette ai comuni che lo adottano di rifiutare CAS o CARA nelle aree sotto la loro giurisdizione. Sarebbe una soluzione disperata per il comune e un semplice palliativo nei confronti dei migranti attualmente alloggiati — o meglio, confinati — agli Artigianelli.

“Se avere uno SPRAR mi permette di avere sei richiedenti asilo invece che 120, io lo preferisco,” ci ha confidato Invernizzi. Il problema del futuro alloggio dei migranti tornerebbe sul tavolo del prefetto di Lecco. “Noi adesso cercheremo di occupare cinque o sei ragazzi in attività socialmente utili,” ci ha detto il sindaco.

Il caso del centro Artigianelli è un chiaro esempio di quello che non funziona nell’attuale sistema d’accoglienza dei richiedenti asilo: ancora oggi, la gestione dei richiedenti asilo in Italia è trattata come un’emergenza nazionale — anche se, dopo anni che si verifica, bisognerebbe essere in grado di gestirla in modo diverso. Quando si creano disproporzioni eccessive tra residenti e migranti, come denunciava anche l’allora presidente dell’ANCI Piero Fassino nel settembre 2016, il sistema d’accoglienza non funziona più come dovrebbe. Da un lato si trovano i migranti, costretti a passare le loro giornate senza un posto dove andare o qualcosa da fare per mesi o anni e senza sapere quando usciranno da questa situazione; dall’altra gli abitanti dei comuni in cui i migranti vengono mandati che si sentono minacciati dal numero eccessivo di richiedenti asilo. Inoltre gli stessi comuni, al contrario di quanto auspicava Fassino quando affermava che “i sindaci non possono essere semplicemente destinatari di flussi decisi dalle prefetture,” non hanno nessuna possibilità di esprimersi sui tempi, sui modi e sulle quantità di flussi migratori che sono in arrivo nei loro comuni.

Alla fine il tutto si trasforma in uno scaricabarile in cui, senza cooperare, tutti curano i loro interessi nella maniera più miope con il risultato che chi paga di più sono sempre i più indifesi: i richiedenti asilo.