Un graphic novel su Henri Cartier-Bresson

Pubblicato da Contrasto, Henri Cartier-Bresson, Germania 1945 comprende un graphic novel sui tre anni di prigionia del celebre fotografo.

Un graphic novel su Henri Cartier-Bresson

Contrasto ha pubblicato per la prima volta un graphic novel, adottando un linguaggio diverso da quello testuale e fotografico per cui la casa editrice è famosa.

Si tratta di Henri Cartier-Bresson, Germania 1945, ed è diviso in due parti: un graphic novel, appunto, sceneggiato da Jean-David Morvan & Séverine Tréfouël, con disegni di Sylvain Savoia, che si concentra sui tre anni di prigionia di Cartier-Bresson, durante i quali dovette separarsi forzosamente dalla sua amata Leica.

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In questa prima parte del libro, si scopre e si reinventa — i testi sono liberamente ispirati — un Henri Cartier-Bresson prigioniero, che ha tempo per ripensare agli errori commessi in passato, in particolare con riferimento alla Guerra di Spagna, durante la quale aveva girato esclusivamente documentari senza realizzare alcuna fotografia, e programmare gli sviluppi futuri.

HCB — come viene spesso chiamato il famoso fotografo e co-fondatore della leggendaria agenzia fotografica Magnum — può vantare grande notorietà presso un vasto pubblico, non solo di settore. Una delle peculiarità del personaggio è la straordinaria speculazione che è stata fatta attorno al mito del momento decisivo. Come lui stesso ha scritto:

Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere.

Cartier-Bresson ha sempre difeso quest’attenzione nel cogliere la frazione di secondo capace di essere portatrice di significati universali e duraturi nel tempo; ha difeso il proprio approccio imponendo i bordi neri nelle pubblicazioni, cosicché i fruitori potessero sempre rendersi conto del fatto che il risultato finale era il medesimo di quello iniziale, senza nessun ritaglio: nessuna operazione sull’immagine doveva permettere un risultato estetico finale diverso da quello catturato all’interno del rullino.

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Per questo, com’è noto, HCB ha sempre custodito gelosamente i propri provini, senza mai svelarli: quell’aura doveva reggere e questo — seguendo il suo assunto — non sarebbe stato possibile se di volta in volta avesse mostrato le proprie indagini preliminari. Premesso questo, vero è che una delle sue fotografie più famose è di fatto il ritaglio di un negativo: con questo certo non si vuole screditare il personaggio, ma porre l’accento più su HCB fotografo, quindi umanizzarlo, e non su HCB personaggio mitico, come spesso lo si maneggia.

Ci sono un paio di ritratti famosi, realizzati da altrettanto famosi fotografi, che lo ritraggono in azione e in meditazione. In azione lo ha ripreso René Burri, sottolineando una posa plastica quasi iconica, mentre sulla parte meditativa (di attenzione nell’atto fotografico) si è concentrato Dennis Stock, separando lo sguardo attraverso il mirino e lo sguardo diretto dell’occhio.

Questi due aspetti si ritrovano insieme in una breve sequenza cinematografica, in cui due soggetti vengono ripresi da HCB che si sposta con passo veloce fino a un punto in cui inquadra, scatta, e immortala in un solo negativo la scena. È in questo atteggiamento che risiede la grande capacità di saper cogliere quel famoso momento decisivo, vedere una scena nel suo complesso e trovare in anticipo l’inquadratura che meglio la può rappresentare.

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Nella quarta di copertina del libro Cartier-Bresson, Germania 1945, quest’aura viene ribadita senza essere messa in discussione: “Esistono fotografie che sono un emblema, come questa scattata da Cartier-Bresson: potrebbe essere l’ultima della Seconda guerra mondiale o la prima della Liberazione. Ma è anche uno degli esempi più eloquenti dello stile del suo autore. Un’immagine colta in modo rapido, mai riquadrata, dove però tutto sembra studiato, ponderato, calcolato al millimetro. Un’icona che invita a riflettere sull’arte e sulla libertà.”

La fotografia di cui si parla è questa, anch’essa tra le più famose dell’autore, e la ritroviamo infatti in copertina, insieme a un ritratto fatto a fumetto. Questa fotografia non è una scelta di solo appeal, ma ha anche una sua coerenza interna alla struttura del testo.

Nella prima parte di Henri Cartier Bresson, Germania 1945 si delinea il carattere di un uomo deciso, che tenta più volte di fuggire dal campo di prigionia, fino al terzo tentativo, quello decisivo, in compagnia di Claude Lefranc — “un buon amico, tanto tranquillo quanto io sono nervoso, per poco non veniamo alle mani” — il 10 febbraio 1945. “Per tutta la vita ricorderò quel 10 febbraio 1945.” Dopo la fuga, ritrova amici, la sua Leica e un incarico, che gli permetterà di immortalare la Liberazione in compagnia di cine-operatori: “Ma non voglio commettere lo stesso errore della Guerra di Spagna: lascerò la mia troupe a filmare e io adopererò la mia macchina fotografica!”. Da qui, la genesi del famoso scrapbook, il libro che realizzò in preparazione della mostra che si sarebbe svolta al MOMA di New York.

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La seconda parte del libro è dedicata a un dossier di Thomas Dode, intitolato Henri Cartier-Bresson. La libertà, il movimento e l’attimo. Dode si concentra su un HCB coinvolto nelle riprese di documentari, soffermandosi in particolare sulla realizzazione di Le Retour, documentario girato da prigionieri per prigionieri. Si sofferma soprattutto su uno spezzone del girato, il momento in cui una donna viene identificata come informatrice della Gestapo da parte di una ex-prigioniera. La scena — da minuto 12:40 a 14:20 — racconta in sequenze sempre più ravvicinate l’ingresso in scena prima della informatrice della Gestapo, poi dell’ex prigioniera che la riconosce come tale, fino al momento di rabbia e frustrazione di quest’ultima, che colpisce la donna indagata.

Ma la sequenza all’interno del documentario non è che uno dei tanti momenti. Quel momento in particolare non sarebbe passato alla storia se HCB, che si trovava alla sinistra dell’operatore, non l’avesse fissato in una singola fotografia. E quel momento è diverso da tutti i 40 secondi che raccontano quella sequenza del documentario: 1/100 di secondo circa si rivela capace di essere portatore di messaggi ben più ampi. Nella fotografia l’informatrice non ha ancora subito il colpo, quello che emerge è piuttosto la frustrazione dell’ex prigioniera: in questa immagine si trovano allo stesso tempo il presente, il passato e, in qualche misura, il futuro. La frustrazione di una e la desolazione dell’altra, l’impassibilità dell’uomo seduto che assiste a un evento che forse è inutile controllare, così come la folla, attenta, coinvolta, in alcuni casi distratta, è il corso della storia che sta prendendo una nuova piega. È possibile che le persone sullo sfondo stiano aspettando di presentare i propri documenti per poter finalmente lasciare libero il campo, e la poca empatia con la frustrazione dell’accusatrice deriva forse da questo.

Il graphic novel e il dossier — il libro tutto — non si pongono interrogativi sulla fotografia di Henri Cartier-Bresson, ma le suggestioni che derivano dalla maggiore concentrazione posta su altri mezzi visuali ci possono aiutare a rivalutare quell’aura del personaggio. O forse a confermarla.