Benvenuti a Eco
la rassegna stampa settimanale dedicata a energia, ambiente, ecologia e sostenibilità.
In questa puntata, colpi grossi — la scoperta di un mega giacimento di petrolio in Alaska — colpi difficili — smantellare Fukushima — e colpi al cuore — la brutta fine dell’EPA sotto Scott Pruitt.
1. Smantellare Fukushima è quasi impossibile
Con tonnellate di materiale radioattivo ancora da rimuovere e due reattori praticamente inesplorati, la bonifica della centrale nucleare di Fukushima rischia di protrarsi per decenni — a voler essere ottimisti. Nemmeno i robot riescono ad avventurarsi all’interno dei reattori: l’ultimo, progettato della Toshiba e chiamato Scorpion, è finito fuori uso dopo soltanto due ore di esplorazione. Ed è un bel problema, perché i livelli di radiazione in alcune parti della centrale sono ancora altissimi, capaci di uccidere un essere umano dopo pochi minuti di esposizione. Unico aspetto non particolarmente negativo? Nei centri abitati evacuati dopo il disastro si sono trasferiti molti cinghiali selvatici.
2. Il petrolio ha una brutta CERA
Lunedì, a Houston, si è tenuto il primo giorno del CERAWeek, il più grande evento mondiale per l’industria petrolifera. Quest’anno i meeting sono iniziati con sorrisi e pacche sulle spalle tra i produttori statunitensi di shale, che dopo un biennio di fallimenti e processi per bancarotta hanno visto un netto miglioramento dell’efficienza produttiva che ha permesso ai produttori superstiti di adattarsi a prezzi del petrolio sempre più bassi — tant’è che gli analisti hanno iniziato a parlare di un vero e proprio shale boom 2.0. Mercoledì, inoltre, l’ultimo rapporto dell’EIA ha rivelato che le riserve di petrolio americano sono aumentate per la nona settimana di fila, causando timori di un nuovo oil glut. Le conseguenze? Il prezzo del greggio di riferimento WTI ha registrato il più grave ribasso da un anno a questa parte. Ora, il mood alla conferenza è cambiato, e i toni tra Sauditi e Americani sono stranamente concilianti — che si siano resi conto dell’interdipendenza che li lega?
3. Repsol (e l’Alaska) festeggiano
La compagnia petrolifera spagnola ha messo a segno un colpaccio, di quelli storici, scoprendo il più grande giacimento statunitense on-shore degli ultimi trent’anni in Alaska, dove Repsol bazzica ormai dal 2008 — i vertici di Exxon, che ha abbandonato le operazioni in Alaska lo scorso anno, probabilmente si staranno mangiando le mani, così come quelli di Shell. La scoperta dovrebbe rimpolpare le casse dello Stato — la cui economia è particolarmente legata al settore oil&gas — e potrebbe essere una manna dal cielo per il Trans-Alaskan Pipeline System (TAPS), tra i più estesi oleodotti al mondo, che si sviluppa dall’estremo nord dell’Alaska fino alla città di Valdez, nel sud del Paese. Il TAPS, infatti, da anni patisce il basso flusso di petrolio, che causa numerosi problemi tecnici, tra cui il rischio che si formi ghiaccio quando la produzione è inferiore ai 500mila barili giornalieri.
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4. “L’uomo non è la principale causa del riscaldamento globale”
A dirlo non è il proprietario di una miniera di carbone indiana, ma Scott Pruitt, amministratore dell’Environmental Protection Agency (EPA) — di cui abbiamo parlato più volte — con le seguenti parole: Penso che misurare con precisione l’effetto dell’attività umana sul clima sia molto difficile da fare e c’è un enorme disaccordo sul grado dell’impatto, quindi no, non sarei d’accordo a dire che quello che vediamo è una delle principali cause del riscaldamento globale, rilasciate alla CNBC. Questa frase sembrerebbe coronare i timori riguardo il destino dell’Agenzia — che, tra l’altro, ha rimosso la parola “scienza” dal proprio statuto — oltre ad essere una tetra dichiarazione d’intenti. Promemoria: Pruitt è la stessa persona che fece causa all’EPA quattordici volte, anche quando era Procuratore Generale dell’Oklahoma.
5. I guai del sistema ETS
L’Emission Trading System (ETS) è un insieme di vincoli legislativi vigenti in Europa che stabilisce le quote massime di gas climalteranti che ogni ente pubblico e privato può immettere in atmosfera. Allo stato attuale però, la suddetta convenzione non sarebbe abbastanza restrittiva, in quanto non permetterebbe di raggiungere i target climatici stabiliti dal Paris Agreement. Il sistema necessiterebbe dunque di urgenti riforme, che però il Parlamento europeo si rifiuta di approvare. L’Italia in particolare è uno dei paesi che più si è opposto all’approvazione di un sistema ETS rigoroso. Ciliegina sulla torta: ad aprile dell’anno scorso un’indagine di QualEnergia aveva svelato come il sistema ETS italiano abbia una gigantesca falla attraverso la quale i soldi tornano a chi inquina.
6. Saudi Aramco dovrà svelare qualche segreto
Come abbiamo riportato nell’ultimo numero di Eco, il 5% di Saudi Aramco è prossimo ad essere messo in vendita, seppure vi siano dubbi sul reale valore della compagnia. Le domande senza risposta, però, sono ancora parecchie, tra cui: i membri della famiglia reale sospenderanno i presunti pagamenti segreti destinati a finanziare attività talvolta illecite? Come si gestirà lo strettissimo rapporto — tanto da parlare di Stato nello Stato — tra governo saudita e Saudi Aramco? Quanta trasparenza ci sarà nel fornire informazioni — il cui accesso è sempre stato difficile — sullo stato finanziario della compagnia? Si tratta di domande sacrosante, ma a cui gli investitori non hanno ancora avuto accesso.
Eco è a cura di Giovanni Scomparin, Nicolò Florenzio e Tommaso Sansone.
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