Da American Horror Story a Homeland, gli autori di serie tv si confrontano con la presidenza Trump — che già di suo sembra un prodotto di fiction.
Gran parte del successo delle serie tv, in generale, è dovuto proprio alla loro serialità — per cui accompagnano e intrattengono lo spettatore per un lungo periodo di tempo. Ciò permette di affezionarsi a personaggi, luoghi e situazioni. Le serie offrono al telespettatore quel “dopo che succede?” che al cinema è possibile solo attraverso i sequel, recuperando i moduli della suspence tipici dei romanzi d’appendice ottocenteschi, se vogliamo azzardare un paragone. Ma un’altra caratteristica essenziale è che, in qualche modo, offrono un dipinto della società contemporanea e rappresentano situazioni, sentimenti ed emozioni in cui ognuno si può rispecchiare.
Come si pongono le serie tv rispetto alla politica?
Già dai primi anni Duemila, sotto la presidenza di Bush, Desperate Housewives scimmiottava i comportamenti dei repubblicani. Metteva in evidenza la dura verità che tante idee conservatrici non potevano trovare concretezza nella vita di tutti i giorni, in una società in continuo cambiamento. Per lo meno, così è stato per i personaggi con un briciolo di cuore e sensibilità verso ciò che li circondava.
Erano però anni diversi rispetto a oggi. La presidenza di Bush ha mantenuto un atteggiamento laissez-faire nei confronti di Hollywood. Lo stesso è valso, se non di più, per gli otto anni di Obama.
Le cose cambiano con l’arrivo alla Casa bianca di Donald Trump.
Ryan Murphy ha avuto un’idea geniale: la prossima stagione di American Horror Story avrà come tema centrale le elezioni politiche statunitensi del 2016. La politica può essere spaventosa come una casa infestata dai fantasmi o un manicomio posseduto dal demonio. Di più, forse, perché la politica è reale, streghe o fantasmi no: è un incubo per cui non basta accendere la luce per rendersi conto che va tutto bene. Chissà se dobbiamo aspettarci una stagione in stile La notte del giudizio – Election Year. Già questo film ci ha fatto vedere le possibili conseguenze raccapriccianti di alcune leggi dello Stato.
In realtà, Murphy non è nuovo a prese di posizione politiche esplicite. Gli appassionati di AHS avranno notato le denunce sociali presenti in ogni stagione: l’elettroshock per curare il lesbismo e dover nascondere i matrimoni tra bianchi e neri in Asylum, la paura del diverso in Freakshow, e così via. Memorabile la scena di Coven che coinvolge Obama e la questione razziale:
Oltre ad American Horror Story, Ryan Murphy produce altre serie tv che contribuiscono a chiarire la sua posizione politica. Sappiamo già che la quarta stagione di American Crime Story si addentrerà nel caso di Monica Lewinsky e nello scandalo del Sexgate. Nella seconda stagione di Scream Queens, invece, oltre ad aver assistito a una certa demonizzazione di Ivanka Trump, abbiamo visto una donna di colore – l’agente speciale Denise Hamphil – che , dopo essere stata per mesi in coma criogenico, si sveglia convinta che le elezioni siano state vinte da Hillary Clinton — riflettendo le speranze di molti.
Singolare è invece il caso di Homeland. È in onda da poco la sesta stagione, che si apre con l’elezione di un nuovo Presidente degli Stati Uniti: Elizabeth Keane. Il fatto che sia donna ha fatto pensare a un chiaro riferimento alla Clinton. In realtà Alex Gansa, uno degli autori della serie, ha raccontato che l’intenzione era creare un mix tra Clinton, Trump e Sanders.
Elizabeth Keane ha idee radicali su come cambiare il Paese, e per questo è odiata da molti. La questione centrale però, è un’altra: Homeland, per tutte le stagioni precedenti, trattava di atti di terrorismo in altri Stati. La nuova stagione, invece, denuncia un terrorismo diverso — quello presente all’interno dello Stato americano stesso. Un sistema corrotto ha inevitabilmente bisogno di un presidente col pugno di ferro per spazzarlo via: suona come un chiaro invito a cambiare prima se stessi prima di demonizzare l’altro.