L’obiettivo era quello di creare un prodotto che potesse far leva sull’interesse del pubblico cinese, ma contemporaneamente far breccia negli Stati Uniti.
Ancora per poco nelle sale italiane, The Great Wall ha incassato più di un milione e mezzo nel nostro paese, risultando uno dei film più visti negli ultimi giorni di febbraio. Ma negli Stati Uniti e in Cina – i due mercati cinematografici più vasti per numero di spettatori – il film è già considerato un flop in termini di produzione, oltre che economici.
The Great Wall ha incassato più di 300 milioni di dollari in tutto il mondo, ma questo non lo rende automaticamente un successo. Il film è costato alla produzione, composta da partner statunitensi e cinesi, circa 150 milioni di dollari, più 80 milioni in costi di distribuzione. I guadagni, che al momento coprono a malapena i costi, sono divisi: tra 171 milioni in Cina, e 50 milioni in America e Canada. Il fatto che le cifre non siano decollate in nessuno dei due mercati è il dato più significativo.
Basta paragonare i risultati di The Great Wall con l’ultimo episodio della saga di Mission Impossible per mettere le cifre in prospettiva. Nel 2015 Mission: Impossible Rogue Nation, costato anche lui 150 milioni, riuscì a incassare 350 milioni in Cina e 195 milioni nelle sale statunitensi, per una cifra complessiva internazionale di quasi 700 milioni. Non è dunque impossibile per un film riuscire ad appagare i gusti di due mercati apparentemente così diversi come Cina e America — allora cosa è andato storto con The Great Wall?
Ve ne avevamo già parlato qualche mese fa, il film diretto Zhang Yimou (regista di Lanterne Rosse e La Foresta dei Pugnali Volanti) è il primo tentativo di fondere una produzione cinese con una statunitense per le riprese di un vero e proprio kolossal in grado di unire i caratteri culturali cinesi con quelli USA. A rappresentare la bandiera a stelle e strisce è entrata nel progetto la Universal Pictures, mentre per la quota cinese il ruolo di produttore è andato alla China Film Group — la più grande compagnia cinematografica del paese.
L’obiettivo per le due società era quello di creare un prodotto le cui ambientazioni e la trama potessero far leva sull’interesse del pubblico cinese, ma contemporaneamente far breccia sul pubblico statunitense attraverso una roboante messa in scena e con l’aiuto del nome di Matt Damon.
In Cina la performance del film è stata aiutata dalla scarsa competizione con altre pellicole durante il periodo di uscita, ma ciò non è comunque bastato a raggiungere i risultati di film come Transformers: Age of Extinction e Zootopia — rispettivamente 320 e 235 milioni. L’errore risiede nell’aver provato a vendere sul mercato cinese un film come The Great Wall con una strategia di marketing prettamente occidentale. Potrà funzionare con Michael Bay, ma se alla base del progetto risiede effettivamente la volontà di mettere in risalto la cultura orientale, è inutile costruire il film intorno a un protagonista come Matt Damon, controfigura dell’americano DOP. A questo si aggiunge una trama poco sviluppata e non del tutto coinvolgente, rendendo la visione del film niente di più che un passatempo domenicale.
The Great Wall non accede allo status di successo e rimane confinato a esperimento (costoso). Il fallimento lo rende però un nuovo punto di partenza per ulteriori tentativi che sicuramente verranno elaborati dalle produzioni dei due paesi, ormai legate da stretti legami economici. Le potenzialità dei due mercati infatti sono troppo alte per fermarsi davanti a un fallimento. L’unica soluzione è tentare finché non si sarà trovata la formula in grado di soddisfare entrambi i tipi di pubblico — come ha dimostrato The Great Wall gli ingredienti da escludere in futuro saranno sicuramente il whitelash culturale e l’anonimato narrativo.