Come le politiche di Trump hanno influenzato la corsa agli Oscar

Questa sera verranno consegnati i primi premi Oscar dell’era di Trump e l’Academy dovrà regolarsi di conseguenza.

Come le politiche di Trump hanno influenzato la corsa agli Oscar

Questa sera verranno consegnati i primi premi Oscar dell’era di Trump e l’Academy dovrà regolarsi di conseguenza.

La serata degli Oscar, a differenza di molti festival europei, non è mai stata caratterizzata da una particolare impronta politica. Spesso i marginali tentativi di usare l’evento per mettere in luce questioni di rilievo pubblico sono passati in secondo piano, scalzati dagli appariscenti red carpet e da tutto il circo mediatico costruito intorno alla serata. Non è un segreto infatti che gli Oscar siano l’occasione per Hollywood di promuoversi in uno sconfinato (e spesso un po’ pacchiano) atto di solipsismo.

Il 2017 però è un anno diverso: questa sera verranno consegnati i primi premi Oscar dell’era di Trump. Se effettivamente l’intera comunità hollywoodiana è decisa a mandare una forte risposta contro le politiche della nuova presidenza – come peraltro ha dimostrato finora – l’Academy dovrà regolarsi di conseguenza, mettendo da parte i piaceri del momento e concentrandosi su decisioni più concrete in grado di influenzare il tessuto sociale anche quando le luci di scena si saranno spente.

Qualche passo in questa direzione è già stato fatto attraverso le nomination che quest’anno – sia in risposta agli #OscarSoWhite che all’ondata di razzismo post elettorale – hanno sottolineato la questione della diversità all’interno dell’industria cinematografica. Ben quattro film su cinque nella categoria Documentari è stata diretta da registi afroamericani, Viola Davis, Octavia Spencer e Naomie Harris sono state candidate come migliori attrici non protagoniste e per la prima volta due persone di colore sono state candidate come Miglior fotografia e Miglior montaggio — rispettivamente Bradford Young per Arrival e Joi McMillon per Moonlight.

Il momento più atteso della notte sarà però l’annuncio del vincitore per Miglior film, categoria in cui, a conti fatti, si sfidano La La Land di Damien Chazelle e Moonlight di Barry Jenkins — due opere diametralmente opposte per estetica, temi e linguaggi. La contrapposizione dei due film diventa una metafora della rottura sociale che l’America sta vivendo dal post elezioni. Da una parte l’amore (omosessuale) e l’accettazione dei propri sentimenti, dall’altra un rifiuto dei valori, ancora prima dei sentimenti — in cui il bianco (Gosling) vuole salvare il jazz, mentre il nero (Legend) fa la parte del venduto.

La vittoria del film di Damien Chazelle è quasi scontata, anche se le premiazioni che in queste settimane hanno preceduto gli Oscar – come i Writers Guild Awards o gli Independent Spirit Awards – hanno premiato Moonlight nelle categorie più importanti. Non è detto dunque che l’esito della premiazione di questa notte sarà quello che tutti si aspettano. Vista l’aggressività delle politiche di Trump nelle ultime settimane, la premiazione di Moonlight potrebbe essere, al di là delle valutazioni stilistiche, la risposta più adatta alla sofferenza del Paese.

Molto attesa è anche la premiazione per Miglior film straniero, in cui gareggia il film The Salesman, diretto dal regista iraniano Asghar Farhadi. A causa del muslim ban, al regista è stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti, rendendo impossibile la sua presenza alla cerimonia. Farhadi ha criticato la scelta della nuova presidenza attraverso una dichiarazione ufficiale: “Umiliare una nazione con il pretesto della sicurezza di un’altra non è un fenomeno nuovo nella storia e ha sempre posto le basi per la creazione di future divisioni e inimicizie”.

A questo si aggiunge la notizia di pochi giorni fa del divieto di entrare in America per un altro nominato: il giovane regista Khaled Khateeb, autore di The White Helmets, film candidato nella categoria Miglior documentario breve, è stato escluso dalla cerimonia a causa delle sue origini siriane. È inevitabile dunque che in una categoria di risonanza internazionale come quella di Miglior film straniero, l’Academy dovrà chiarire una volta per tutte la propria posizione.

Il sito Goldderby, che ogni anno monitora le fluttuazioni all’interno delle previsioni degli Oscar, ha segnalato il rapido cambio – dopo l’approvazione del muslim ban – nella categoria Miglior film straniero: il film tedesco Toni Erdmann, fino a quel momento dato per vincitore dagli esperti, ha lasciato rapidamente il posto all’iraniano The Salesman.

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Quest’anno gli Oscar avranno bisogno di un altro tipo di intrattenimento – lontano dalla naïveté di La La Land e più vicino alla presa di coscienza di Moonlight – per riportare al centro del dibattito culturale, sociale e politico i problemi legati a diseguaglianza e disparità. La speranza è che questa notte la comunità hollywoodiana decida di sfidare l’America di Trump in una simbolica chiamata alle armi per resistere alla deriva estremista che gli Stati Uniti, e tutto il mondo, stanno subendo.