Irlanda del Nord: a 45 anni dalla Bloody Sunday ancora non è cessato il fuoco
Non è cessato il fuoco a Belfast, Irlanda del Nord, dove a 45 anni dalla Bloody Sunday — la Domenica di Sangue di Derry i cui scontri tra polizia e manifestanti lasciarono a terra 13 vittime civili — si spara ancora per le strade.
Non è cessato il fuoco a Belfast, Irlanda del Nord, dove a 45 anni dalla Bloody Sunday — la Domenica di Sangue di Derry i cui scontri tra polizia e manifestanti lasciarono a terra 13 vittime civili — si spara ancora per le strade.
È sempre domenica. A sparare proiettili simili a quelli di un AK-47 sono alcuni membri della New IRA, la nuova IRA, il movimento repubblicano indipendentista ricostituito direttamente dalla Repubblican Action against Drugs — il gruppo che si proponeva di combattere il problema della tossicodipendenza e dello spaccio di droga a Derry e dintorni — oltre che da altri due movimenti minori inclini alla lotta armata.
I primi attacchi risalgono all’estate 2012, anno che segna il primo vero ritorno repubblicano dopo il Good Friday Agreement del 1998 sulla scena della lotta politica irlandese (quella fatta tradizionalmente per le strade, s’intende). Da allora diversi episodi hanno guadagnato posto nelle pagine di cronaca, benché non si parli di attacchi d’entità paragonabile a quelli dei Troubles, sia per progettualità, che per strategia, che per effettiva efficacia: i due poliziotti vittime dell’attacco nella stazione di servizio a Belfast Nord la scorsa domenica non sono in pericolo di vita. Uno dei due non è nemmeno stato raggiunto dalla raffica di proiettili.
Intanto a Londra sia il Labour che il Tory devono far fronte alle pesanti accuse per cui continuerebbero a non fare abbastanza per risolvere la situazione di instabilità in Irlanda del Nord. Tacciato di negligenza in particolare è Jeremy Corbyn: “Il modo di agire del leader del partito laburista, che pare ignorare la crisi politica a Belfast, potrebbe essere in parte dovuta alla paura che i suoi presunti collegamenti con l’IRA e il movimento repubblicano vengano riproposti, e che questa scintilla susciti nuove critiche.”
Ma la situazione è quanto mai complessa: i politici devono procedere con cautela — il referendum sulla Brexit e il suo risultato hanno rinfocolato l’odio nei bracieri delle vecchie diatribe tra indipendentisti e lealisti che ora, in mancanza d’altro, giocano a contendersi l’Europa. Le istituzioni in Irlanda del Nord sono quelle, giovani, decise dall’accordo di pace del 1998, in cui la divisione dei poteri tra Londra e Belfast è fragile quanto l’equilibrio cercato tra le due comunità, quella cattolica e quella protestante.
“L’esigenza di stabilità in Irlanda del Nord dovrebbe essere inseparabile dal desiderio di giustizia. Giustizia che dovrebbe essere applicata equamente sia agli ex indagati IRA, sia a coloro che hanno lavorato per la Corona inglese.”
Queste le righe che leggevamo un paio di giorni fa nell’edizione online del Telegraph.
Ma cosa significa parlare di giustizia in un Paese che ha subìto un’occupazione violenta, della quale ancora risente e i cui effetti nella comunità e nei suoi equilibri non sono ancora scemati? Anzi: le tensioni continuano e si inaspriscono appena sotto la superficie, dove le istituzioni faticano a vedere e intervenire, dove le lotte tra bande regolano equilibri che due firme su un pezzo di carta, sole, non sono bastate e non saranno sufficienti a stabilizzare.
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