Dopo più di 23 anni, il Gambia infatti è riuscito a liberarsi da una dittatura che aveva reso il paese sempre più precario e vulnerabile, riuscendo in questa impresa solo grazie ad elezioni democratiche e a negoziazioni che hanno coinvolto tutti i principali paesi dell’Africa occidentale.
Ma facciamo un passo indietro. Che paese è il Gambia? Quale società rappresenta? La prima volta che l’ho sentito nominare devo ammettere che non ne sapevo molto. Il Gambia infatti è uno stato che fino a pochi giorni fa era dimenticato dai media, un paese di cui poco ci si interessava per almeno tre ragioni.
La prima è demografica: si tratta di un paese piccolo, non solo per estensione, ma anche per abitanti. Con circa due milioni di abitanti, il Gambia ha una popolazione comparabile alla Slovenia, di cui allo stesso modo sentiamo ben poco parlare. Dal punto di vista territoriale, si snoda seguendo le rive del fiume Gambia, completamente inglobato all’interno del Senegal, di cui ha condiviso la storia per molti secoli con il nome di Senegambia.
La seconda ragione è economica, il Gambia è un paese povero e senza grandi risorse strategiche. La povertà non è un fenomeno raro nel continente africano, ma qui non si tratta solo di valori economici, ma anche di bassi tassi di alfabetizzazione e di salute. In 175esima posizione su 188, il Gambia è tra i paesi con il più basso valore di indice di sviluppo umano. La maggior parte della popolazione vive in villaggi rurali, non nell’area della capitale — la cosiddetta Greater Banjul Area — e si occupa di agricoltura di sussistenza o coltiva arachidi, tra i pochi prodotti destinati anche all’esportazione.
Chi vive invece nelle zone più urbane può avere il lusso di occuparsi di ricezione turistica. Poche volte si menziona che il Gambia è stato per anni una grande meta del turismo nord—europeo. Svedesi, inglesi, olandesi hanno per anni fatto le valige per lasciare in poche ore di aereo il rigido inverno europeo e festeggiare il natale nel clima secco e caldo che il Gambia offre loro. Facilitati dal fatto che il Gambia rappresenta uno dei pochi paesi anglofoni della regione, in molti si sono fatti affascinare dalla sua vera risorsa, il sorriso. Non è un caso che il motto con cui i gambiani amano presentarsi è “the smiling coast of Africa.” Purtroppo negli ultimi anni con il diffondersi di paure legate al terrorismo islamico e all’emergenza ebola, il turismo in Gambia ha subito una forte battuta d’arresto, mettendo in crisi l’intera economia nazionale.
La terza ragione è stata la relatività stabilità che ha caratterizzato il paese negli ultimi 20 anni. Dal 1965, anno di indipendenza del paese dal Regno Unito, il Gambia ha visto solo due Presidenti: Dawda Jawara e Yahya Jammeh, che prese il potere nel 1994 con un colpo di stato, restando in carica fino alle elezioni tenutesi il 1 dicembre 2016. Jammeh è stato sempre considerato un dittatore pericoloso soprattutto per la sua imprevedibilità. Pur avendo garantito una certa stabilità politica nel paese (una rarità nel continente), Jammeh è stato responsabile di numerose violazioni dei diritti umani, soprattutto nei confronti di giornalisti e dei suoi oppositori politici, ma anche contro gay e lesbiche. Episodi di tortura, violenze e di incarcerazione coatta sono stati provati da ONG come Human Rights Watch e Amnesty, portando perfino l’Alto Commissario per la Tortura ONU a occuparsi del caso.
Tra le sue più note affermazioni si ricordano nel 2007 la pretesa di aver inventato la cura per l’AIDS e più recentemente, nel 2015 la minaccia di tagliare le gole di gay e lesbiche, la proclamazione del Gambia “Stato Islamico” (ricordiamo che più del 90% della popolazione è di religione musulmana), o invece, una nota più positiva, l’abolizione e penalizzazione delle mutilazioni genitali femminili. Tutte affermazioni che l’ex presidente ha proclamato ai media senza alcun collegamento con le altre autorità del paese, né gli organi legislative e esecutivi.
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In questo contesto politico il paese ha continuato a sopravvivere senza una vera visione del proprio futuro. Non solo la mancanza di opportunità lavorative, ma anche le recenti siccità che hanno peggiorato i raccolti, hanno fatto sì che il Gambia diventasse un paese di forte emigrazione, con un’enorme diaspora in Italia, Spagna e Stati Uniti. In Italia i Gambiani rappresentano la prima nazionalità tra coloro che cercano di raggiungere il nostro paese via mare (la cosiddetta “backway”) e sono al primo posto tra i richiedenti asilo In Italia, ma raramente fino ad ora hanno ricevuto lo status di rifugiato trattandosi in maggior parte di migranti economici.
Ciò nonostante il Gambia è un paese dotato di risorse inaspettate, e non è un caso che la storia del mitico personaggio di Kunta Kinte, raccontata nel libro “Radici” di Alex Haley, parta proprio dal Gambia.
Nel paese coesistono pacificamente più di sei gruppi etnici, i principali sono mandinga, fula, wolof, jola, serere e serahule. Si tratta di gruppi tipici della regione Senegambia, ognuno dei quali ha una propria lingua e proprie tradizioni, ma strettamente collegati ormai grazie ai sempre più frequenti matrimoni misti. Quasi tutti i gambiani parlano infatti tre o quattro lingue: l’inglese, lingua veicolare e coloniale, la lingua della propria famiglia, e spesso conoscono almeno una o due altre lingue parlate nel paese.
Lo spirito gentile, pacifico, positivo dei gambiani non è uno stereotipo, ma una certezza che si è confermata anche in questo difficile momento.
Lo stesso Jammeh, negli ultimi anni aveva cercato di rompere il fronte di oppositori che si stava facendo largo nel paese puntando su incarcerazioni, torture e anche sulle divisioni etniche, appoggiando soprattutto il gruppo dei fula. Fortunatamente il piano di Jammeh non ha avuto presa su una popolazione stanca di bugie e di atti di forza, e il primo dicembre le elezioni hanno inaspettatamente portato alla vittoria il candidato della coalizione di partiti di opposizione, Adama Barrow.
Nei mesi precedenti le elezioni la coalizione aveva subito duri colpi, arresti e attacchi di ogni natura che avevano messo fuori gioco molti dei candidati più conosciuti nel paese. Eppure, complice anche un sistema di voto unico per la sua semplicità, Adama Barrow ha vinto le elezioni con il 43,29% dei voti contro il 39,64% di Jammeh.
I fatti che hanno seguito le elezioni sono stati seguiti da molti giornali internazionali. Sette giorni dopo essersi congratulato pubblicamente nel corso di un proclama televisivo con il vincitore, Jammeh ha fatto marcia indietro, dichiarando di rifiutare il risultato elettorale, accusando brogli e interrompendo le manifestazioni di gioia che si stavano tenendo in tutte le strade del paese.
Da allora e per più di un mese, la comunità internazionale ha lavorato per convincere Jammeh a ritirarsi pacificamente. Il paese è rimasto in stallo per settimane, gli uffici chiusi, i soldati ai lati delle strade, i negozi aperti solo poche ore. La paura si è diffusa rapidamente e in poche settimane circa 26000 gambiani avrebbero attraversato il confine con il Senegal. Eppure politicamente e etnicamente il paese si è dimostrato unito, pronto a voltare pagina e a stringere le fila contro Jammeh.
ECOWAS, la comunità economica dell’africa occidentale, ha guidato le negoziazioni con numerosi dei suoi leader in prima linea. All’avvicinarsi della data di inaugurazione del mandato del nuovo presidente Barrow la situazione si è fatta sempre più tesa, ogni negoziazione sembrava fallire, fino a quando Jammeh ha dichiarato tre mesi di stato di emergenza nel paese. In una tensione sempre più crescente, con Adama Barrow rifugiato in Senegal e costretto a inaugurare il proprio mandato da Dakar, allo scadere dell’ennesimo ultimatum alcune truppe senegalesi sono entrate in Gambia per fare pressione su Jammeh affinché si ritirasse. Finalmente, il 21 gennaio Jammeh accetta di lasciare il paese, convinto da numerosi mediatori che gli promettono qualunque immunità purché accetti di andarsene senza scatenare violenze.
Jammeh parte il giorno seguente, si dice per la Guinea Equatoriale (paese non membro della Corte Penale Internazionale), chiedendo un’amnistia sui crimini commessi e la possibilità di poter partecipare alle prossime elezioni del 2019 da candidato presidente. Un volo cargo parte da Banjul il giorno seguente carico di macchine di lusso e di altri beni che avevano ormai reso Jammeh il cittadino forse più ricco del Gambia, e facendo sparire dalle casse dello stato — si dice — l’equivalente di oltre 11 milioni di dollari.
Ma usando le parole del nuovo presidente Barrow, non è tempo ora per processi e vendette con Jammeh e i suoi sostenitori, ma di verità e riconciliazione. La priorità è ora l’economia del Gambia, per dare opportunità e speranza ad un paese giovane e pieno di vitalità.
Il Gambia ora festeggia, la gente torna nelle strade, i negozi riaprono e la vita continua, con la certezza ora che il futuro di questo piccolo e coraggioso paese sarà più luminoso di prima.
Nicoletta Bortoluzzi, laureata in Scienze Politiche e Diritti Umani si occupa dal 2009 di cooperazione internazionale allo sviluppo. Dal 2014 gestisce un progetto in Gambia finanziato dall’Unione Europea sull’accesso alla giustizia e la formazione giuridica.