Il parco La Goccia, rudere di una civiltà industriale passata

A Milano esiste un luogo che in pochi conoscono. Anche gli abitanti della Bovisa e gli studenti che ogni giorno ci passano davanti scendendo dal treno diretti al Politecnico non sanno della sua esistenza.

Il parco La Goccia, rudere di una civiltà industriale passata

A Milano esiste un luogo che in pochi conoscono. Anche gli abitanti della Bovisa e gli studenti che ogni giorno ci passano davanti scendendo dal treno diretti al Politecnico non sanno della sua esistenza.

È il parco La Goccia, così chiamato per la forma ovale delineata dalle due linee ferroviarie che lo circondano e lo nascondono. È abbandonato dal 1994, anno in cui viene chiusa la centrale elettrica al suo interno.

Da allora in pochi sono riusciti ad entrare, solo previa autorizzazione.

La Goccia è stato il centro nevralgico della produzione di energia per la città, e non solo. La sua importanza è cresciuta in concomitanza con la nascita della linea ferroviaria: nel 1873 Bovisa viene annessa al Comune di Milano e tre anni dopo nasce la ferrovia che trasforma tutta l’area in un bacino produttivo, soprattutto per gli stabilimenti chimici — il primo produttore di acido solforico fu Giuseppe Candiani e il suo stabilimento nato in Bovisa nel 1882.

Gli ampi spazi e le vie di trasporto trasformano la zona nel soggetto trainante del progresso cittadino del Novecento milanese. Nascono le industrie Ceretti & Tafani, Montecatini, Smeriglio e la Cristalleria Livellara — oggi sede del locale Spirit de Milan.

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Nel 1908 inizia a ospitare i primi gasometri costruiti dalla francese Union de Gaz e tutta l’area diventa presto il più grande centro di produzione e distribuzione di gas, primato che mantiene fino agli anni Settanta quando, con il passaggio dal gas al metano, gli impianti vengono smantellati e negli anni Ottanta la proprietà passa ad Aem.

Nel corso degli anni Settanta chiudono gli stabilimenti Smeriglio, Montedison e Ceretti & Tanfani — oggi sede della facoltà di Architettura. Nel 1985 già il 20% delle industrie milanesi ha chiuso e con loro diminuiscono i lavoratori che da 12.000 passano a 6.000 solo in Bovisa.

Negli anni Novanta Bovisa è ormai una ex area industriale e inizia a presentarsi il problema dei vuoti urbani presenti in tutta l’area. Già nel Piano Regolatore Generale del 1953 la Bovisa era stata menzionata come zona industriale da mantenere e completare; nel Piano Regolatore Generale successivo, quello del 1978, viene ribadita l’intenzione di attuare una riqualificazione dell’area. Effettivamente nel 1990 nasce il Progetto Politecnico: un grande polo viene trasferito da Piazza Leonardo alla Bovisa per recuperare i vuoti urbani delle ex industrie. L’ampio progetto interpreta perfettamente la politica di rilancio del quartiere e sembra fare proprio da volano per la ripresa di tutta l’area. Ma così non sarà: il ruolo fondamentale rivestito dalla ferrovia nella crescita di tutto il bacino industriale della zona diventa il motivo del suo isolamento alle porte del nuovo secolo. La Goccia, circondata dalla stazione, resta nascosta e la vegetazione al suo interno inizia ad avere la meglio sui capannoni abbandonati, un parco di 40 ettari cresce su territori inquinati da cent’anni di attività industriale.

Nel 1997 l’Accordo di Programma fatto tra i tre proprietari dell’area — Comune di Milano, Politecnico e Aem — porta nel 2000 a un bando di gara, ma il progetto si blocca per gli alti costi della bonifica.

Nel 2002 il Comune incarica Metropolitana Milanese Spa che si occupi della bonifica in un progetto ancora più costoso di quello precedente. Tutti i tentativi sono stati interrotti dai costi della bonifica, anche perché l’unico modo per rientrare nelle spese sarebbe quello di vendere i diritti edificatori a terzi, ma a questo il quartiere si oppone.

I cittadini, rappresentati dal Comitato La Goccia, nato nel 2012, hanno più volte fatto notare al Comune che il quartiere Bovisa non ha bisogno di nuovi edifici, visti i numerosi vuoti e invenduti, lasciati dal passato industriale. Il progetto della giunta Moratti, ereditato poi dalla giunta Pisapia, prevedeva la pavimentazione di 730mila metri quadri su cui edificare, a bonifica avvenuta.

Un altro punto critico riguarda proprio la bonifica: i rilevamenti hanno segnalato la presenza di inquinanti, ma non è stata fatta l’analisi di rischio della contaminazione del terreno, dell’aria e della falda acquifera.

“L’analisi di rischio sanitario-ambientale” come si legge sul sito dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) “è attualmente lo strumento più avanzato di supporto alle decisioni nella gestione dei siti contaminati che consente di valutare, in via quantitativa, i rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali.”

Tuttavia i lavori per la bonifica del primo lotto, il Lotto A1, sono cominciati nel 2015 gestiti da MM Spa, ma il Comitato ha fatto ricorso al Consiglio di Stato che ha fermato i lavori. La bonifica comporta due rischi: eliminare completamente il verde e utilizzarla come scusa per rendere il terreno edificabile.

“Il Comune ha affermato che l’analisi di rischio dell’area è inutile, allora è intervenuto il Consiglio di Stato, ma ad oggi non ci hanno ancora comunicato i risultati della fase consultoria. I dati della bonifica non sono nemmeno stati pubblicati nell’albo pretorio che raccoglie le pubblicazioni ufficiali del Comune” ci racconta Giuseppe Boatti, ex docente di architettura al Politecnico di Milano e membro del Comitato La Goccia. Boatti è inoltre stato il promotore del progetto che vedeva il parco La Goccia e lo scalo Farini collegati in un unico corridoio verde che collegava la Bovisa alla città nuova.

Nell’incontro pubblico del 26 novembre 2013 il Comitato ha chiesto all’ex-assessore all’Urbanistica Ada Lucia De Cesaris, l’impegno del Comune nel rispetto del verde in linea con le volontà cittadine espresse nel referendum consultivo del giugno 2011, in cui il 96,56 per cento dei cittadini milanesi votanti ha richiesto al Comune di mantenere le aree verdi esistenti e di fermare il consumo di suolo; ha chiesto inoltre di rispettare l’indagine del verde esistente effettuata dal Corpo forestale dello Stato del 1994 che riporta più di 2000 alberi secolari. Inoltre il Comitato chiede di poter entrare nell’area chiusa dal 1994 e che la Goccia non sia interdetta ai cittadini.

Dunque l’analisi di rischio deve essere fatta in modo preciso, cercando gli inquinanti nella falda, nell’aria e nel terreno e la bonifica non deve prevedere la distruzione del verde.

Ma il Comune nel 2014 decide di intervenire con rilevamenti invasivi, e quindi il Comitato fa ricorso al Tar: la risposta del Comune è un workshop per consultare la volontà di cittadini e studenti e coinvolgerli nella fase decisionale. Ma i lavori sul primo lotto vengono avviati solo verso la fine dell’anno scorso.

Ora, entrando nel parco dal Lotto A1, sovrastato dai due grandi gasometri, il paesaggio è spettrale, ci sono alberi divelti e terra smossa. Il resto del parco invece è intatto. Accanto ai gasometri ci sono le strutture produttive della ex-Union de gaz, capannoni bassi in mattoni rossi. Gli infissi ossidati hanno assunto un colore verde acqua.

La natura in vent’anni di abbandono si è ripresa lo spazio tolto dall’uomo e dalle industrie, creando una sorta di rudere di una civiltà industriale passata — che però è proprio la nostra. “Un anacronismo affascinante che fa di quel luogo un unicum nella nostra città” come ci racconta Marco Albino Ferrari, giornalista e scrittore che nell’agosto 2014 è riuscito ad entrare nella Goccia per conto della Stampa. Le strutture tipiche del Novecento sono state inglobate dai rampicanti e dalle piante infestanti.

Attorno agli impianti cresce un vero e proprio parco con boschi e prati: sono in tutto quasi 40 ettari — grossomodo la stessa dimensione del Parco Sempione.

All’inizio del 2015, il 18 febbraio, il parco La Goccia arriva al secondo posto in tutta la città di Milano nel concorso dei luoghi del cuore del FAI.

Oggi la Bovisa è ancora un quartiere popolare e operaio, con caratteristiche uniche, intatte perché la ferrovia lo separa dal resto della città, la stessa ferrovia che ne aveva favorito lo sviluppo prima e il crollo poi. Quello che nella prima metà del Novecento era il polo trainante dell’industria milanese, oggi è un quartiere che arranca tra una decisione e l’altra del Consiglio Comunale. ll quartiere, circondato dai luoghi dei racconti di Giovanni Testori,  tra via Mac Mahon, la Ghisolfa e dalle vie in cui Visconti ha girato Rocco e i suoi fratelli, sta pian piano perdendo quel fascino decadente postindustriale che lo caratterizzava.

“L’uomo della Bovisa non poteva immaginare / che il suo avvenire, così presto, / sarebbe diventato preistoria” scrive Maurizio Cucchi, poeta che la Bovisa industriale l’ha vissuta.


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